La lotta degli attivisti LGBT contro l’AIDS a San Francisco
Articolo di Sarah Hotchkiss* pubblicato sul sito KQED (Stati Uniti) l’11 giugno 2019, liberamente tradotto da Silvia Lanzi, parte prima
Quando il Surgeon General of the United States [Chirurgo generale degli Stati Uniti – portavoce delle questioni di salute pubblica all’interno del governo federale, n.d.t.] pubblicò il primo report sull’Acquired Immune Deficiency Syndrome (AIDS), già 27.000 americani erano già morti, o stavano morendo, di AIDS.
UN PO’ DI STORIA QUEER
Pubblicato verso la fine dell’ottobre 1986, il libretto del chirurgo generale C. Everett Koop conteneva informazioni sulla salute pubblica di cui c’era molto bisogno, spogliate dalla retorica politica che caratterizzava praticamente tutti i discorsi di Washington sull’AIDS, ma non fu un atto tempestivo.
Il report apparve quasi cinque anni e mezzo dopo che i Centers for Disease Control (centri per il controllo della malattie) identificarono il primo paziente di quella che sarebbe stata nota come AIDS. Nel frattempo, la copertura dei media nazionali aveva alternativamente ignorato e fatto del sensazionalismo sull’epidemia, ripetendo spesso informazioni errate sulla trasmissibilità della malattia o facendo attenzione solo ai pazienti della “popolazione in generale” invece che agli uomini gay, che erano, in quel momento, la maggioranza dei contagiati.
Il presidente Ronald Reagan non avrebbe fatto il primo accenno pubblico alla faccenda prima della fine di maggio 1987.
Confrontandosi sia con le mancanze del governo federale, sia con la scarsa responsabilità dei giornalisti tra gli anni del primo report dei CDC e quello in ritardo di Koop (e per gli anni seguenti), la task force contro l’AIDS si dava da fare per cercare fondi ed educare il pubblico sull’epidemia, soprattutto le persone che vivevano con l’AIDS e chi si prendeva cura di loro, creando strutture di supporto, stampando opuscoli, organizzando feste di beneficenza, notiziari e veglie.
Si possono trovare tracce di questi sforzi nelle collezioni di opuscoli sparse in diversi archivi della Bay Area, compresa la San Francisco Public Library, sede del James C. Hormel LGBTQIA Center. Anche se i manifesti di queste collezioni — insieme a volantini, opuscoli, adesivi e corrispondenza — non raccontano completamente la storia dell’attivismo locale contro l’AIDS negli anni ’80, danno il senso del materiale che circolava in quel periodo, offrendo una prova tangibile della lotta di una comunità per la propria vita.
THE KS POSTER BOY
Prima che le persone con un sistema immunitario indebolito, che soffrivano delle relative infezioni, fossero “raggruppate” sotto la sigla AIDS (termine che i CDC avrebbero usato per la prima volta nel settembre del 1982), una diagnosi “standard” per molti dei primi pazienti fu il sarcoma di Kaposi, un raro cancro della pelle insolitamente aggressivo, che provoca lesioni violacee.
Bobbi Campbell, abitante a San Francisco e infermiere professionale, è stato il primo paziente con sarcoma di Kaposi a rendere pubblica la sua condizione, con un articolo del dicembre 1981 sul San Francisco Sentinel, un giornale gay a diffusione nazionale. Nello stesso periodo convinse un drugstore del quartiere gay di Castro ad affiggere in vetrina fotografie delle sue lesioni, per mostrare com’erano e avvertire gli altri uomini della realtà di questa nuova malattia.
Campbell appare nella guida del 1982 dell’International Lesbian/Gay Freedom Day Guide (nome che il Pride aveva allora), sotto il titolo “Com’è avere il sarcoma di Kaposi?”, il primo accenno all’AIDS nel materiale della celebrazione annuale.
Nel breve articolo, colui che si autodefinisce “KS Poster Boy” usa, nel suo avvertimento, un tono positivo: “State pensando ‘Questo a me non può succedere’? Anche io credevo che non potesse succedere a me. Ma è successo”.
Accanto alla foto di Campbell c’era un testo, molto più asciutto e clinico, di due infermieri professionisti: “Qualcosa abbatte il sistema immunitario di certi uomini gay, lasciandoli vulnerabili alla malattia. In generale, in questo periodo è cruciale prendersi cura di se stessi, perché troppi uomini gay stanno morendo per cause sconosciute”.
Nel 1985 la sfilata del Pride sarebbe stata dedicata a Campbell, morto nell’agosto dell’anno precedente.
“LOTTIAMO PER LE NOSTRE VITE”
All’inizio del 1983, visto che il dipartimento di salute pubblica di San Francisco non aveva stampato ancora nemmeno un volantino informativo sull’AIDS, l’Harvey Milk Gay Democratic Club prese in mano la situazione. Attingendo a informazioni fornite dai Physicians for Human Rights (Medici per i Diritti Umani) della Bay Area, questa brochure franca e semplice forniva quello che, in quel periodo, erano le migliori linee guida per la riduzione del rischio a disposizione della comunità gay.
“Non dobbiamo smettere di fare sesso, ma dobbiamo stare attenti” recita la brochure. Continua illustrando, passo dopo passo, i vari atti sessuali, definendoli “Molto rischioso”, “A rischio minimo” o “Sì! sì! sì!” (abbracci e altre attività che, pur non implicando il sesso, erano sensuali), tutti illustrati con una serie di vignette simpatiche e insolenti.
“In questo periodo di crisi, è essenziale riesaminare le modalità delle nostre espressioni sessuali” recita la brochure, “La questione non è morale, ma pratica. Abbiamo lottato per la nostra libertà e vogliamo continuare a farlo, ma questa lotta è ancora più essenziale. Lottiamo per le nostre vite”.
SPARGERE LA VOCE
Gli archivi sono pieni di volumetti e brochure, tra cui molti diretti a specifiche fette di popolazione malate di AIDS, ma non necessariamente quelle dei report iniziali: uomini gay bianchi. Molti degli opuscoli citati sono della fine degli anni ’80, poco dopo i primi giorni di panico, disinformazione e negazione, quando i suggerimenti per un sesso sicuro avrebbero potuto essere archiviati come messaggi moralistici e omofobi.
Parecchi furono pubblicati dalla San Francisco AIDS Foundation, co-fondata da Cleve Jones nel 1982 (come la Kaposi’s Sarcoma Foundation) in risposta alla crisi sanitaria che stava allora iniziando. Descritti nel fondamentale testo sull’AIDS di Randy Shilts “And the Band Played On”, i primi giorni della San Francisco AIDS Foundation “iniziarono con una vecchia macchina da scrivere donata da un vecchio barman del posto, forniture per ufficio rubacchiate da diversi volontari ai propri posti di lavoro, e un telefono che iniziò a squillare giusto un’ora dopo essere stato installato, e che non finiva mai di farlo”.
Man mano che cresceva, la San Francisco AIDS Foundation sponsorizzò la distribuzione di preservativi durante il Pride, la prima manifestazione pubblica delle persone con l’AIDS (una fiaccolata nel marzo 1983), la prima pedalata di beneficenza per l’AIDS, la creazione di una banca del cibo, un programma di scambio di siringhe e moltissimi volantini educativi.
* Sarah Hotchkiss vive a San Francisco, è un’artista e scrive di arte. È coproprietaria dello spazio espositivo Premiere Jr. a San Francisco. Nel 2019 è stata premiata per il suo giornalismo d’arte. È un’appassionata di fantascienza, di cui scrive in un periodico semiregolare chiamato Sci-Fi Sundays. Email: shotchkiss@kqed.org Twitter: @sahotchkiss
Testo originale: While the US Government Sat Idle, AIDS Activism Mobilized in San Francisco