Cosa c’e’ di piu’ ”naturale” di come io sento me stesso?
Email inviataci da Roberto risponde Gregorio Plescan, pastore valdese
La Chiesa quando affronta il tema dell’omosessualità parte dal concetto di natura, come qualcosa di dato e non scelto e questo viene suffragato dal passo della bibbia quando dice che Dio crea l’uomo e lo crea maschio e femmina. Poi aggiunge che, poichè non è bene che l’uomo sia solo, vuole affiancargli qualcosa che possa corrispondergli e crea la donna.
Penso che la Chiesa, quando parla di famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e aperto alla vita, parte da questo disegno di Dio. Penso che nessuno voglia contestarlo. Ma pongo due quesiti.
Oggi ancora da più parti si afferma che la persona con comportamento omosessuale “sceglie di essere”, quasi come se noi, violentassimo un abito che ci troviamo addosso per poi indossarne un’altro a nostro piacimento, frutto di un nostro capriccio.
Se penso alla mia vita, alle mie lotte – come di tanti altri – debbo riscontrare che questo non è assolutamente vero. E allora cosa si intende per natura? E’ qualcosa che era nel disegno di Dio all’origine, oppure qualcosa che la realtà della nostra esperienza ci fa riscontrare? A questo proposito anche la Chiesa riconosce che si può agire per condizione.
Secondo quesito. Dio vuole affiancare ad Adamo qualcuno che possa corrispondergli come compagnia. Ora la persona omosessuale, non potendo vivere da sola e si realizza in una dualità, quale compagnia gli si adatta realmente?
A questo proposito la Chiesa invita a vivere la dimensione omosessuale nella assoluta astinenza, essendo gli atti “intrinsecamente disordinati” Chiedo: si vive una condizione di verginità in forza di una vocazione libera ed accettata o per una condizione non voluta? Grazie
Roberto
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La risposta….
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Caro amico, nel rispondere alle tue domande mi chiedo fino a che punto la fede cristiana ha presentato sé stessa in maniera così sfasata rispetto alla realtà, da suonare semplicemente superflua. Cosa c’è di più “naturale” di come io sento me stesso? Cosa c’è di meno naturale – o di più artificiale – di un altro (un’entità, neppure di una persona fisica che ci “mette la faccia”) che mi dice come dovrei essere o sentirmi?
Io non so se l’omosessualità può essere definita “autentica” o “costruita”, naturale o innaturale – esattamente come non so se l’eterosessualità, nelle sue variabili infinite lo può essere – perché non ho ancora trovato nessuno che è riuscito a spiegarmi dove sta il confine tra il mio essere così perché “sono nato così” e il mio esserlo perché “sono diventato così”: però l’esperienza quotidiana dice che con questo impasto si deve convivere – pena un’esistenza vuota, insignificante, dolorosa.
Per questo mi sento di rispondere alle tue domande dicendo che la “castità” può avere senso – come tutte le altre cose, del resto – se ha senso per te, e non lo ha nella situazione contraria.
Del resto anche Gesù ha incontrato una quantità di persone, le ha ascoltate tutte, senza pregiudizi, e a tutte ha svelato che il succo della visione di Dio sul mondo si basa su un paio di principi forti: essuno si salva o si danna per quel che è (non conta che tu nasca ebreo, valdese, cattolico, gay, etero…), ma che tutti ci possiamo salvare o dannare quando facciamo del nostro essere “qualcosa” una prigione dal quale non sappiamo uscire, se non per guardare agli altri attraverso le sbarre della nostra cella. Anche se questa cella odora d’incenso.
Gregorio Plescan, pastore valdese