Cosa chiedono i cattolici omosessuali al Sinodo con la conferenza “Le strade dell’amore”?
Riflessioni di Gianni Geraci, co-portavoce della conferenza internazionale “Le strade dell’amore”
Stanno moltiplicandosi le adesioni alla Conferenza teologia internazionale “Le strade dell’amore. Quale pastorale con le persone omosessuali e transessuali” che si terrà a Roma due giorni prima dell’inizio del Sinodo straordinario sulla famiglia voluto da papa Francesco per preparare il Sinodo ordinario che si svolgerà l’anno prossimo.
La domanda che ci viene fatta più spesso da quanti vengono a sapere di questa iniziativa è: “Ma cosa chiedete alla chiesa?”.
Per rispondere sono andato a rileggermi l’appello finale di un’altra conferenza che, quindici anni fa, con il titolo: “Le persone omosessuali nelle chiese: problemi, percorsi, prospettive” voleva aiutare le chiese presenti in Italia ad annunciare meglio il Vangelo di sempre a lesbiche e gay.
Tra le altre cose i partecipanti alla conferenza osservavano che, durante i lavori erano emerse:
– l’inadeguatezza di un magistero ecclesiale che alterna i troppi silenzi a un approccio prevalentemente normativo, alimentando la solitudine e l’angoscia delle persone omosessuali;
la necessità che la Chiesa cattolica ribadisca con chiarezza che, in Gesù Cristo, tutti gli uomini e tutte le donne, gay e lesbiche compresi, sono chiamati da Dio alla salvezza e riconosca il diritto/dovere degli omosessuali di manifestare senza ipocrisie la proprio identità;
– le discriminazioni, le violenze fisiche e le pressioni psicologiche di cui le persone omosessuali sono spesso fatte oggetto, anche nella Chiesa, a causa della loro diversità;
– le testimonianze di alcune comunità ecclesiali in cui il ruolo di gay e lesbiche credenti viene pubblicamente riconosciuto e valorizzato;
– l’esemplarità con cui tante persone omosessuali vivono una vita cristianamente ispirata e la fedeltà con cui continuano a lodare Dio e servire il prossimo nelle loro parrocchie
– l’urgenza di un’assistenza pastorale e di un accompagnamento spirituale rispettosi della diversità di gay e lesbiche e che li aiutino a sviluppare un’affettività matura in cui integrare la loro tendenza sessuale e la loro vita di fede.
A distanza di quindici anni mi sembra che i problemi siano rimasti gli stessi e che i tanti silenzi del magistero siano stati riempiti da una sempre più rumorosa polemica portata avanti da chi vuole negare l’esistenza stessa di un’omosessualità vissuta come accettazione responsabile del proprio orientamento sessuale.
Già allora il nocciolo della questione era estremamente semplice: come fa la chiesa a proporre alle persone omosessuali di vivere una scelta di castità se insieme non si fa carico dei percorsi che possono aiutare lesbiche e gay a maturare quell’autostima che è la premessa indispensabile per intraprendere qualunque cammino di cambiamento e a vivere quelle esperienze che possono aiutarle ad approdare a quella maturità affettiva che è la condizione indispensabile per poter parlare seriamente di vocazione alla castità?
Il guaio è che in quindici anni quasi nessuno, all’interno della chiesa cattolica si è preoccupato di rispondere a questa domanda scomoda. Molti hanno preferito polemizzare con una “lobby omosessuale” inventata di sana pianta, hanno iniziato a fantasticare di rapporti poco chiari tra non meglio spiegate “teorie del gender” e origini dell’omosessualità, altri ancora hanno importato dalle sette fondamentaliste nordamericane alcune tecniche di riconversione dell’orientamento sessuale che, quando va bene, non servono a nulla e, quando va male, distruggono psicologicamente i poveri malcapitati che si illudono di poter guarire dalla loro omosessualità.
Adesso, dopo le parole con cui papa Francesco, nell’intervista che aveva concesso alla Civiltà cattolica, rimetteva le cose al posto giusto («Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione») la chiesa di tutto il mondo si incontra in un Sinodo per riflettere su come mettere la famiglia al centro della sua azione pastorale.
Visto che gli omosessuali vivono molte relazioni famigliari (sono figli nelle famiglie che non sanno come comportarsi di fronte all’omosessualità di un figlio, sono fratelli, sono sorelle, sono zii, sono talvolta genitori e si chiedono se dire o meno la verità ai propri figli, sono spesso partner di persone del loro stesso sesso e si chiedono come possono vivere in maniera responsabile la loro condizione) è molto utile che teologi e pastori si incontrino qualche giorno prima del Sinodo per dare ai vescovi alcuni elementi utili per rispondere alle domande che quindici anni fa avevamo posto alla chiesa italiana e che non hanno mai avuto una risposta.