Cosa hanno in comune la GMG e il Pride? Ma non è quello che pensi!
Riflessioni di John L. Allen jr.* pubblicate sul portale cattolico CRUX (Stati Uniti) il 26 luglio 2023, liberamente tradotte con Google Translate, revisione testi di Luigi e Valeria di Bari
Quando la Giornata Mondiale della Gioventù si aprirà a Lisbona, in Portogallo, … rappresenterà l’ultima edizione della versione di maggior successo di una “politica dell’identità” nel mondo religioso strutturato di oggi. Un modo chiaro e indiscutibile di proclamare che il cattolicesimo non sta scivolando verso l’estinzione ma rimane vivo e vegeto.
Per intenderci, gli organizzatori della Giornata Mondiale della Gioventù si premurano sempre di insistere sul fatto che non vogliono che sia una occasione identitaria in senso negativo o esclusivo, sottolineando che è aperta a chiunque. Allo stesso tempo, è evidente che rappresenta la più grande manifestazione pubblica di simboli, linguaggio e pratica cattolici nel mondo, tant’è vero che viene spesso soprannominata i “Giochi Olimpici” o la “Woodstock” della Chiesa Cattolica.
Per quanto ne sappiamo, il primo uso della frase “politica dell’identità” risale al 1977, quando fu coniata dal Combahee River Collective, un gruppo di femministe socialiste lesbiche nere, che volevano rivendicare un riconoscimento socio-culturale per le loro specifiche prospettive ed esperienze.
In breve, il concetto di una politica dell’identità si diffuse a una molteplicità di altri gruppi, molti dei quali si consideravano in opposizione a un insieme di norme e pregiudizi culturali che associavano all’influenza della religione organizzata. Questo è stato particolarmente evidente con il movimento del Pride, che a metà degli anni ’80 aveva trasformato le sue manifestazioni in una delle espressioni di più alto profilo della politica identitaria nel mondo.
In verità, tuttavia, nella misura in cui queste affermazioni identitarie consideravano la religione come il determinante etico dominante della società, si trattava di una reazione anacronistica.
All’inizio degli anni ’80, infatti, la secolarizzazione aveva già trasformato la fede religiosa da una maggioranza che plasmava la cultura in Europa e Nord America a una sottocultura, i cui membri si sentivano per molti versi assediati, incompresi e, sempre più, persino perseguitati, esattamente come i corrispondenti appartenenti al movimento del Pride, pur rappresentando ovviamente un sistema di valori e aspirazioni completamente diverso. Anche a questa situazione faceva riferimento il futuro papa Benedetto XVI quando citava Arnold Toynbee, secondo cui il destino della religione organizzata, almeno nel mondo sviluppato, era di essere una “minoranza creativa”.
La grande intuizione di Papa Giovanni Paolo II fu quella di riconoscere che il cattolicesimo aveva bisogno di una propria politica identitaria, soprattutto in Occidente, non soltanto per arrestare un graduale declino di visibilità e influenza, ma anche per contrastare una mentalità che si andava progressivamente affermando, secondo la quale la religione sarebbe un affare puramente privato, da non ostentare in pubblico.
In effetti, la GMG rappresentava la risposta di Giovanni Paolo II a questa mentalità, simile alla risposta di Johnson che prende a calci la roccia di Berkeley e dice: “Lo confuto così!”**
Oggi, la Giornata Mondiale della Gioventù è tra i pochissimi grandi raduni periodici dell’umanità nel mondo, rivaleggiata solo da eventi come il festival Kumbh Mela dell’induismo e il pellegrinaggio di Arba’een nell’Islam sciita – che sottolineano entrambi, tra l’altro, che è difficile sostenere che la fede religiosa sia nell’elenco globale delle specie in via di estinzione.
Prima di andare avanti, lasciatemi essere chiaro al 100%: non sto paragonando la GMG a un raduno del Pride per fare una sorta di affermazione sarcastica su una “lobby gay” nel sacerdozio, o su gay e lesbiche nascosti nella Chiesa, o su comportamenti osceni dei delegati a una Giornata Mondiale della Gioventù, o qualcosa del genere.
Per la cronaca, ho seguito sia la Giornata Mondiale della Gioventù del 2000 a Roma, che ha attirato circa due milioni di persone, sia il raduno del World Pride di Roma del 2000, che ha coinvolto tra 500.000 e un milione di partecipanti. I due eventi sono avvenuti a circa un mese di distanza, rispettivamente all’inizio di luglio e all’inizio di agosto, e posso testimoniare per esperienza personale che le caratteristiche e gli obiettivi dei due gruppi di persone erano inequivocabilmente diversi.
Ciò che avevano in comune, tuttavia, è che le persone in entrambe le sedi sembravano elettrizzate dalla possibilità di far parte di una vasta folla, che esprimeva orgoglio per un sistema fondante di valori e simboli condivisi.
Molti giovani cattolici con cui ho parlato alle Giornate Mondiali della Gioventù nel corso degli anni affermano che, quando tornano nel loro ambiente ordinario, a volte sono considerati “strani” perché vanno in chiesa regolarmente, o recitano il rosario a scuola, o si rifiutano di fare sesso o di bere o di fare uso di droghe, o si vestono con sobrietà, o per qualsiasi altro segno proprio dell’identità cattolica che adottano.
Allo stesso modo, se parli con molti giovani LGBTQ che partecipano a un Pride, ti diranno che si sentono incompresi dalle loro famiglie, a scuola, nei luoghi di lavoro o nel gruppo di amici e che spesso il senso di isolamento è la parte più dolorosa della loro esperienza.
Per entrambi i gruppi, quindi, la possibilità di trascorrere del tempo in un ambiente in cui sono la netta maggioranza, in cui i loro valori sono rinforzati e celebrati piuttosto che derisi, e in cui possono finalmente “essere sé stessi”, rappresenta spesso una esperienza che cambia la vita.
I raduni del Pride in tutto il mondo sono diventati mega-eventi culturali, così come le Giornate Mondiali della Gioventù, e più o meno nello stesso momento storico, perché entrambi rispondono al bisogno percepito da gruppi diversi di creare occasioni pubbliche di orgoglio e appartenenza.
Durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Panama nel 2019, i due mondi si sono scontrati. Un piccolo gruppo di coppie e sostenitori LGBTQ si è riunito fuori dalla grande Chiesa del Carmelo, che era stata un punto di incontro per le proteste contro Manual Noriega, sostenendo di voler sfruttare la visibilità mediatica creata dal festival della gioventù cattolica per affermare la propria esistenza e identità.
Naturalmente, una delle chiavi del successo delle Giornate Mondiali della Gioventù è la presenza del Papa, che galvanizza la folla imponente che l’evento genera sempre.
In effetti, si potrebbe sostenere che, in generale, una Giornata Mondiale della Gioventù sia semplicemente la versione più ampia e organica dell’impatto di un viaggio papale, che è sempre un’opportunità per i cattolici locali di abbracciare, consolidare e proclamare pubblicamente la propria identità.
Non a caso, come la GMG, anche il viaggio papale nel senso in cui lo conosciamo oggi è stato inaugurato da Giovanni Paolo II, che è stato quindi, in un certo senso, il Papa della politica dell’identità.
A Lisbona, quell’eredità sarà ancora una volta in evidenza. Per molti partecipanti, la possibilità di celebrare l’identità cattolica in compagnia di tanti giovani che la pensano allo stesso modo, provenienti da tutto il mondo, sarà il significato clou dell’evento – come se dicessero, di fatto, al mondo: “Siamo qui, siamo forti e fieri, e non ci muoveremo da qui.”
Se questo vi ricorda qualcosa, la somiglianza probabilmente non è del tutto casuale.
*John L. Allen Jr. è direttore del portale cattolico statunitense Crux, che racconta il cammino della Chiesa cattolica. Ha pubblicato undici libri sul Vaticano e sul mondo cattolico ed è anche un popolare relatore cattolico sia negli Stati Uniti che a livello internazionale.
Il London Tablet ha definito John “il più autorevole scrittore di cose vaticane in lingua inglese”. Quando John fu chiamato a porre la prima domanda a Papa Benedetto XVI, a bordo dell’aereo papale in volo verso gli Stati Uniti, nell’aprile 2008, il portavoce vaticano disse al Papa: “Santo Padre, quest’uomo non ha bisogno di presentazioni”. Suoi articoli sono apparsi anche sul The Boston Globe, The New York Times, CNN, NPR, The Tablet, Jesus, Second Opinion, The Nation, Miami Herald, Die Furche e Irish Examiner
**”Johnson che prende a calci la roccia di Berkeley e dice: Lo confuto così!”, si tratta di un riferimento, noto alla cultura anglosassone, a una discussione filosofica svoltasi nella seconda metà del 1700 tra Samuel Johnson e James Boswell sulla teoria dell’immaterialismo di George Berkeley. Per negare tale teoria, Johnson avrebbe dato un calcio a una roccia, affermandone quindi la sua materialità senza bisogno di altre argomentazioni. In analogia, l’Autore dell’articolo, suggerisce che il Papa ha istituito la GMG per dimostrare nei fatti, senza troppe argomentazioni, che la fede cattolica non è in estinzione.
Testo originale: What WYD and Gay Pride have in common (it’s not what you think)