Come suora cosa ho imparato dal mio cammino con le persone transgender
Testimonianza di suor Luisa Derouen* pubblicata sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 25 febbraio 2021, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Courtney Sharp è stata la prima donna transgender che ho incontrato nel 1999, e da allora siamo rimaste amiche. Recentemente mi ha scritto una email, in cui mi dice di avere appena letto il documento sulle persone transgender pubblicato nel giugno 2020 dall’arcivescovo emerito (statunitense) Robert Carlson. Il suo primo commento è stato: “Sto pensando a quanto i cristiani riescano ad avere una visione semplicistica delle cose, e a giungere molto rapidamente a conclusioni pericolose che confermano i loro preconcetti”. Ciò che l’arcivescovo ha scritto su di lei e sulle altre persone transgender non riflette per nulla l’identità della mia amica, e io, al pari di lei, sono rimasta profondamente delusa dalle sue dichiarazioni.
Ciò che viene detto sulle persone transgender mi riguarda personalmente, dato che, da più di ventidue anni, queste persone influenzano profondamente il mio ministero e la mia vita in Dio. Quando il mio ministero iniziò, la maggior parte della gente nemmeno conosceva la parola “transgender”. Da allora sono divenute molto più visibili, ma dato che, su 330 milioni di americani, ci sono solamente un milione e mezzo circa di persone trans, la maggior parte degli americani non conosce personalmente una di loro, e il risultato è che esiste molta confusione sul significato di “transgender”, e su come le persone cisgender cattoliche dovrebbero comportarsi con le persone transgender che vivono tra loro.
Monsignor Carlson è solo l’ultimo di una serie di vescovi ad aver emanato direttive a proposito dei e delle fedeli transgender della loro diocesi. La dichiarazione di monsignor Carlson, come altre che l’hanno preceduta, inizia avvertendo quanto sia importante che le persone transgender vengano rispettate e trattate con compassione e delicatezza, in quanto figli/e di Dio.
Ma subito dopo, ecco che arriva il messaggio fondamentale: non è possibile che esistano le persone transgender, perché non è stato Dio a crearle: esse soffrono di una malattia psicologica, e il nostro compito è aiutarle a comprendere, con gentilezza e rispetto, che esse non sono chi dicono di essere. E non è tutto: mettono a rischio la loro salvezza eterna, in quanto si pongono al di sopra di Dio credendo di poter cambiare il loro corpo, una convinzione basata su sensazioni superficiali e desideri egoistici, quando non sulla cosiddetta “ideologia gender”.
Per quanto questi vescovi possano essere benintenzionati, non trovo parole abbastanza dure per affermare che è impossibile esibire rispetto e compassione per qualcuno, e al tempo stesso dichiarare che non esiste.
La mia amica Courtney continua dicendo che alcuni “credono che basti guardare ai cromosomi X e Y e a Genesi 1:27 per capire cosa Dio voglia da noi. Dio ci ha creati maschio e femmina: è semplicissimo, non c’è altro da sapere”. Ma questo non è affatto vero: nessuna vita umana può essere ridotta a binarismi assoluti.
Per anni ho frequentato persone transgender: anni prima che iniziassero la transizione, e per molti anni dopo la transizione. Ho passato migliaia di ore con loro, a casa loro, a casa mia, nella loro parrocchia, nella mia parrocchia, con le loro famiglie, in occasione di compleanni e funerali. Ho pianto e gioito con loro. Le persone transgender sono abituate, molto più della maggior parte di noi, a comprendere che noi esseri umani siamo realtà complesse e misteriose, creazioni di Dio composte da corpo e spirito, e non chiedono altro che rendere onore a tale realtà.
Il processo di transizione a cui vanno incontro le fa crescere nella completezza e nella santità; ciò che vivono è la conversione di vita della tradizione cristiana, la trasformazione in Dio. Sono stata testimone centinaia di volte, osservando le loro vite, di ciò che noi cattolici chiamiamo mistero pasquale.
Il senso interiore della nostra identità e il modo in cui gli altri ci percepiscono coincidono: questo è quello che accade alla maggior parte di noi. Questa congruenza la diamo per scontata, e non immaginiamo che per qualcuno possa essere altrimenti. Ma per una piccola percentuale della famiglia umana tale congruenza latita, per motivi che ancora non comprendiamo bene. Chi non è transgender spesso fatica a immaginare il pozzo di sofferenza che consiste nel tentare di essere chi non si è, il che sovente conduce alla depressione, all’isolamento, a comportamenti autodistruttivi.
Dawn Wright vive in Florida, e ha compiuto la sua transizione molti anni fa. Insegna analisi finanziaria alla Western Governors University, ma quando l’ho incontrata, nel 1999, aveva cinquantaquattro anni e lottava disperatamente con il fatto di essere transgender. Aveva tentato il suicidio più volte, ed era estremamente fragile. Riconosceva dolorosamente che “non ho chiesto di avere queste sensazioni: le avevo dentro, e basta. Per decenni ho pregato ogni giorno perché volevo essere un uomo, ma non è servito a niente”.
Dawn, come migliaia di altre persone, ha compiuto sforzi sovrumani per essere la persona che gli altri dicevano che fosse. Con lei non ha funzionato, e non funziona con nessuna persona transgender.
Dopo anni di tentativi, quando non riescono più a fingere di essere chi non sono, arriva il secondo momento del processo di trasformazione: prendono la decisione, profondamente rischiosa e coraggiosa, di vivere nella verità invece che nella bugia. Ammettono finalmente a se stess* di non poter più fingere, e questa fase viene solamente dopo il duro lavoro di conoscenza di se stess* con un percorso psicoterapeutico, e dopo molto tempo passato a pregare. Poi, passo passo e con cautela, cominciano a prendere la decisione di vivere autenticamente: una decisione che cambia la vita. Molt* perdono la famiglia, il lavoro, gli amici, la comunità di fede, o tutte queste cose in un colpo solo! Quant* di noi hanno pagato un tale prezzo per vivere nell’integrità?
Sara Buechner è una pianista che ha conseguito numerosi premi internazionali. La conosco da quattordici anni; oggi insegna alla Temple University di Philadelphia. La sua carriera internazionale ebbe un crollo quando cominciò la transizione: furono due anni e mezzo di disastri inimmaginabili: “Ma nel mio corpo ero perfettamente calma, era immersa nel mio viaggio interiore, ed era un viaggio che compievo con Dio, non da sola”.
Piano piano, negli anni, mentre si compie il cammino, personale e unico, attraverso le dolorose e complesse fasi della transizione privata e pubblica, l’odio per se stess* viene rimpiazzato dall’amore per se stess*. La persona riacquista fiducia nella sua percezione della realtà, è finalmente in pace con se stessa e con il mondo attorno a lei, e con Dio; è passata dalle ombre di morte a ciò che dà vita. Questo significa vivere il mistero pasquale.
Scotty Pignatella vive a Tucson, in Arizona, ed è ingegnere aerospaziale. La sua passione è la fotografia, lo conosco da quattordici anni. Mi ha ripetuto molte volte che le fotografie migliori non si ottengono alla luce del giorno o nell’oscurità della notte, ma nella luce sfumata e incerta dell’alba e del crepuscolo: “Io sono il crepuscolo. Io sono di Dio, e possiedo una bellezza che può essere vista solo da chi sceglie di vederla”.
Il cammino sacro che consiste nel vivere autenticamente in Dio non è lo stesso per tutt*, perché non siamo fatti con lo stampino, ma posso testimoniare che le persone transgender sono chi dicono di essere. Lo so perché, quando qualcuno vive nella sincerità e nella verità, Dio è presente. Posso testimoniare dei doni dello Spirito Santo nelle persone transgender che vivono in Dio la loro identità autentica: vedo pace, gioia, compassione, saggezza, amore e molto perdono.
Fanno parte del corpo di Cristo, e meritano di essere trattat* come tali. Non sono perfett*: nessuno di noi lo è. Una volta compiuta la transizione, lottano con i problemi della vita proprio come facciamo tutt* noi, ma ora possono attraversare le difficoltà mantenendo intatta la propria integrità.
Le persone transgender non sono degli illusi, e non giocano a fare Dio. Non sono vittime dell’ideologia gender: sono quello che dicono di essere. Per tutti questi anni il mantra che ho offerto loro è stato “La verità ci conduce sempre a Dio, mai lontano da l*i. Tenetevi vicin* a Dio con il cuore e tutta la vostra vita, e Dio vi mostrerà chi siete e come vivere nella verità”.
* Suor Luisa Derouen appartiene all’Ordine Domenicano della Pace e da più di ventidue anni svolge il suo ministero tra la comunità transgender degli Stati Uniti. La versione originale di questo articolo è stata pubblicata dall’Associazione Sanitaria Cattolica.
Testo originale: I’m a nun who has ministered to transgender people for over 20 years. These are some of their courageous stories.