Ho imparato da padre Dan a non fare dei preti gay dei capri espiatori
Articolo di Margaret Brennan pubblicato sul mensile cattolico U.S. Catholic (USA) del Febbraio 2006, Vol.71, n.2, pag.50, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Molti preti gay hanno servito e continuano a servire bene la nostra Chiesa. Non facciamone dei capri espiatori per i peccati degli altri. Nella nostra Chiesa e nei mass-media si è molto parlato delle istruzioni del Vaticano sul discernimento delle vocazioni e i seminaristi gay. In quanto donna di mezza età, sposata e madre di due adolescenti, che ha lavorato per molti anni in parrocchia, perché dovrei preoccuparmi di aggiungere qualcosa al dibattito? Non dovrei forse evitare di commentare questa notizia?
Come madre credo che sia deprecabile che la Chiesa, che definiamo nostra madre – proprio la nostra madre santa – abbia giudicato alcuni dei suoi figli inadatti e quindi indegni degli ordini sacri per quello che sono. C’è più di un’evidenza che l’omosessualità non è una scelta ma una condizione innata, probabilmente genetica. C’è anche una prova più che sufficiente che i preti gay hanno servito a lungo la Chiesa e i suoi fedeli bene e puntualmente.
Sono stata la cappellana di un ospedale, ho lavorato per una casa editrice religiosa e ora mi occupo di pastorale universitaria. Posso dire senza esitazione che i preti gay sono tra i nostri ministri religiosi, musicisti, liturgisti, accompagnatori pastorali e maestri, migliori e talentuosi.
Mentre stavo giusto iniziando a discernere se diventare religiosa o lavorare solamente in tale ambito, ebbi come mentore un prete – lo chiamerò padre Dan – che mi ha aiutato a sviluppare la mia identità pastorale e le mie abilità. Ho lavorato con lui un certo numero di mesi prima di sapere che fosse gay. Mentre lo osservavo assistere una vasta gamma di persone – studenti, pazienti, dottori e infermieri – ho iniziato a capire che la sua volontà di essere sincero verso chi lo conosceva era in relazione alla sua efficacia come prete, accompagnatore pastorale e supervisore
Nell’esempio di padre Dan vedo che essere gay non è incompatibile con l’essere prete. Piuttosto conoscersi ed accettarsi come creati ad immagine di Dio e amati da lui è un prerequisito per sviluppare la “maturità affettiva” (questo termine è usato nel nuovo documento) necessaria se si vuole dedicare interamente la propria vita, la propria persona, al servizio della Chiesa e al gregge di Dio. Credo che questo sia vero per coloro che svolgono un ministero, sia religiosi che laici, sia gay che etero.
Sono rattristata, se non sorpresa, da questo documento. Se è inteso come un correttivo agli scandali degli abusi del clero, la logica è sbagliata e fuorviante. Anche suggerire una connessione tra omosessualità e pedofilia è ingannevole e pericoloso. Rischia di far diventare un gruppo di persone capri espiatori per i peccati degli altri – quelli che hanno commesso gli abusi e quelli che hanno coperto i crimini.
Per me questo documento è ancora un altro segno che la Chiesa, come il resto del mondo, è ferita e ha bisogno di essere sanata. È difficile immaginare che bene si può fare con ciò. Non posso fare a meno di credere che un domani guarderemo al punto di vista che oggi la Chiesa ha degli omosessuali come oggi guardiamo al rifiuto del fatto che la terra giri intorno al sole o alla convinzione che la schiavitù era accettabile. Sono convinta che verrà visto come un rifiuto del leader della nostra Chiesa di fare i conti con le nuove conoscenze sulla creazione e una migliore conoscenza della natura dell’essere umano. Finché non ci avvicineremo al mistero della creazione con umiltà e riconosceremo che Dio ha creato il maschio e la femmina; il gay e l’etero, il nero, il rosso, il giallo e il bianco – e li ha trovati tutti buoni, saremo incapaci di avere una discussione aperta e sincera della sessualità.
Nello stesso tempo spero e prego che coloro che hanno il compito di discernere le vocazioni, in particolare I rettori dei seminari, continueranno a cercare uomini che abbiano le qualità emozionali, intellettuali e spirituali che li rendano capaci di diventare pastori e leaders spirituali. Nella Chiesa cattolica (ora e nel prossimo futuro) questo significa, tra le altre cose, uomini capaci di vivere una vita celibataria – siano essi omosessuali o eterosessuali. Il vero compito è come aiutare i seminaristi e i preti ad integrare la loro sessualità in un celibato sano e fecondo.
La nostra Chiesa meglio, il nostro mondo, la bisogno di preti come padre Dan, preti che capiscano la loro vocazione come servi del vangelo e pastori dei fedeli, che cercano di conoscere, amare e servire Dio. Questo dovrebbe essere il criterio per l’ammissione in seminario, e non l’orientamento sessuale.
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Testo originale: What I learned from Father Dan: Let’s not scapegoat gay priests