Cosa può rendermi maschio? I ruoli di genere nella mia esperienza
Riflessioni di Giacomo Tessaro, volontario del Progetto Gionata
In un precedente articolo ho sostenuto di sentirmi “assolutamente maschio”. Sicuramente non ho alcun desiderio di vivere le difficoltà e le umiliazioni che sono parte integrante della vita delle donne, sempre più protagoniste e padrone del proprio destino ma anche terribilmente esposte alle vendette di un potere maschile che vende cara la parità tra i sessi per cui si lotta da decenni, senza che ancora si veda all’orizzonte un’autentica vittoria per il genere femminile: figuriamoci poi se sarei disposto a vivere una vita da transgender, per la quale certamente sono necessarie una mente e un cuore a tutta prova, da veri guerrieri/guerriere della vita, capaci di affrontare senza troppe conseguenze pregiudizi e odio tra i più sciocchi e ignoranti.
Ma cosa vuol dire “sentirsi assolutamente maschio”, come si declina l’essere maschio nella vita di ognuno di noi? Forse nel farsi servire e riverire da una donna, nel correre dietro a ogni gonnella nel tempo lasciato libero dal bar o dal calcio? Forse sono banalità, eppure credo che ancora troppi uomini siano contemporaneamente vittime e carnefici di un modello maschile (o di tutta una categoria di modelli maschili) che si sta sgretolando forse troppo in fretta, senza che la coscienza collettiva, soprattutto tra le fasce meno istruite e consapevoli, abbia il tempo necessario per metabolizzare il cambiamento di paradigma.
Nella mia vita, di uomini decisi a istradarmi verso questo modello ormai obsoleto di mascolinità ne ho incontrati ben pochi, e poco insistenti: forse perché mi sono sempre istintivamente tenuto alla larga da certi ambienti e certe usanze, diciamo così, afferenti alla cultura popolare, dove ancora si mantiene in vita l’immagine dell’uomo che pensa prima di tutto alle donne, poi al lavoro e alle chiacchiere volgari da bar. In questo contesto, tale modello di uomo è probabilmente tutt’altro che obsoleto: forse è l’unico modello che si riesce a immaginare, e forse proprio da qui proviene, in buona parte, l’omofobia, anche quando si ammanta di elevati concetti scientifici o teologici; non è facile sfuggire al tipo di educazione (direi di “iniziazione alla vita”) che siamo stati costretti ad assorbire da giovanissimi da parte di parenti, maestri e coetanei, anche quando la vita ci ha portati su lidi molto diversi e impossibili, allora, da prevedere.
Se davvero mi sento “assolutamente maschio”, come declino la mascolinità perché essa mi possa rappresentare, in quanto appartenente a un determinato genere e contemporaneamente individuo unico? Diciamo innanzitutto che mi sento a mio agio nel mio essere maschio eterosessuale: in mezzo a tante situazioni che mi trovo a vivere e che non riuscirò mai ad accettare sino in fondo (il vivere in un paese relativamente piccolo, il fatto di non essermi laureato, il vivere all’estrema periferia del mondo valdese che riconosco come mia autentica famiglia, in fondo anche l’essere eternamente single) riconosco soprattutto che l’essere maschio etero dà indubbi vantaggi e che fa pesare meno problemi sul groppone.
Mi piace farmi la barba, mi piace anche portarla un po’ lunga (anche se la mia dermatite non approva), seguo i risultati del campionato di calcio e ogni quattro anni, quando ci sono i Mondiali, mi metto perfino davanti al televisore a guardare qualche partita, non mi dispiace vedere per strada una bella automobile rigorosamente vintage o una fiammante Ferrari; soprattutto, non mi dispiacciono affatto le donne, non disdegno di guardarle e commentarle, purché venga fatto con persone fidate e in modo il più possibile educato.
Credo sia impossibile sfuggire del tutto ai ruoli di genere diffusi nella società, ma certo sono sempre rimasto molto lontano dal modello di mascolinità descritto più sopra: ho sempre avuto molte perplessità sulla caccia alle donne condita da battute volgari e racconti mirabolanti e non ho mai stimato chi esibisce questo tipo di comportamento: preferisco di gran lunga parlare di donne o con le donne stesse (ci tengo enormemente alle mie amicizie femminili) oppure con uomini anche loro alle prese con forti difficoltà in questo campo: condividendo le delusioni e, perché no, le frustrazioni, si risolve ben poco ma ci si sente capiti.
Non mi dispiace affatto cucinare e fare le faccende di casa, anzi, vi dirò di più: non mi vedrei affatto male, in un ipotetico futuro (che ormai, però, è svanito per sempre), accompagnarmi a una donna in carriera che porti a casa i soldi e lasci a casa me, maschio, a occuparmi della prole, della cucina, delle mutande e dei calzini.
Preferisco di gran lunga le amicizie femminili a quelle maschili: mi piace la loro saggezza, la loro riflessività, la loro comprensione, il loro modo di ragionare, il loro rifuggire dalla volgarità. Mi piace parlare di donne con le donne: credo che questo argomento renda decisamente ottusi gli uomini, fino in alcuni casi a non ragionare davvero più con la testa e a fare ogni sorta di atti scellerati. Sono un cultore della borsa: mi porto sempre dietro non un semplice borsello, che non soddisferebbe le mie esigenze, ma un borsone piuttosto grande e pieno, pour homme certamente e a tracolla, ma senza nulla da invidiare alla classica borsa che secondo la Littizzetto un giorno scopriranno nel genoma femminile.
Da qualche parte ho letto che i monaci del monte Athos, che non solamente fanno voto di castità ma vivono decenni senza vedere donne, a cui è proibito l’accesso al Monte Santo, rivelano nella postura e nella mimica qualcosa di tipicamente femminile, come se in tutti noi albergassero alcune caratteristiche del sesso opposto, pronte a palesarsi in circostanze particolari. Devo dire che a volte mi sento molto vicino al mondo femminile, molto più che all’opaco e ottuso mondo dei maschi. Credo che le donne sappiano capire molto bene gli uomini: assai raro è il contrario. Che il Signore mi conservi sempre le mie amiche donne, uno dei Suoi regali più belli: il contatto con la loro sensibilità e con il loro acume è un prezioso aiuto nel mio cammino verso la completezza.