Cosa spinge un gay cristiano a credere in qualcosa che va contro ogni logica?
Dialogo di Katya Parente con Lorenzo Michele Noè Caruso
Qualche tempo fa ha fatto scalpore un’uscita piuttosto infelice del Papa – uno scivolone piuttosto maldestro: Francesco ha affermato infatti che nella Chiesa ci sarebbe troppa “frociaggine” (cfr. ad esempio “C’è già troppa frociaggine”: le parole di Papa Francesco (riportate dai vescovi) sul no all’ingresso degli omosessuali in seminario – Il Fatto Quotidiano). Giustamente le sue parole hanno suscitato un piccolo terremoto e fatto storcere il naso a parecchie persone.
Qualcuno ha fatto di più che criticare più o meno apertamente il Pontefice: gli ha scritto una lettera e, ora, ha acconsentito di rispondere a qualche nostra domanda. Sto parlando di Lorenzo Michele Noè Caruso. Iniziamo subito.
Cosa spinge un ventenne gay a credere in qualcosa che va contro ad ogni logica?
Penso che credere in Dio è contro ogni logica di questo mondo, ma non è contro la logica del mistero del Dio fatto uomo per noi. La logica della ragione ci mette davanti a delle necessità di causa-effetto che spesso rischiano di bloccarci in un vortice di pensieri che non danno spazio alla verità che abita nel profondo di ognuno di noi. Sì, spesso la ragione ci aiuta nel nostro cammino per non perdere completamente la bussola e il senno, ma Cristo lo incontriamo nel profondo dei nostri sentimenti e nelle relazioni che costruiamo. Cristo si è fatto vita e verità ai miei occhi attraverso gli occhi delle persone che mi ha fatto incontrare.
L’ho incontrato nelle signore che vanno giornalmente a messa, ma anche negli occhi del più ateo e bestemmiatore che conosco. L’ho incontrato nella gioia della fede, ma anche nel rancore rabbioso di un miscredente. L’ho incontrato nel prete che è un vero pastore di anime, ma anche nel prete incastrato nel suo ruolo e nell’ideologia in cui si identifica all’interno della Chiesa. L’ho vista in un cattolico, ma anche in un musulmano, in un indiano, in un ebreo, e anche in un buddista. L’ho visto in un amico, ma anche nel disprezzo di una persona nei miei confronti.
L’ho visto in chi non ha mai conosciuto la povertà, e anche in colui che non ha conosciuto altro se non la povertà. Cristo l’ho visto in tante persone, ed è attraverso esse che lui opera nella mia vita come in quella di tutti noi. Dobbiamo solo avere il coraggio di prescindere dalla nostra particolare personalità e aprire gli occhi del cuore. Vorrei concludere la risposta a questa domanda, con una riflessione. La fede non è fatta di certezze! Esse sono per chi vive della logica di questo mondo.
La fede è un’incontro fatto di incertezze, dubbi, perplessità e talvolta anche rinnegamento, e sono proprio queste condizioni che ci fanno scoprire noi stessi e la relazione che abbiamo con Dio. L’unica cosa su cui ho la certezza, ma non una certezza della ragione ma una certezza del cuore che sente, è che Dio mi ha creato, che mi ama e che lui dimora nel profondo di tutti noi. Queste certezze non le devo pensare, ma le sento vere, e sono esse le verità che Cristo ha disvelato con la sua vita.
Perché diventare sacerdote?
Il desiderio di diventare sacerdote è un desiderio che ha sempre albergato nel mio cuore. Però non è il desiderio di un certo ruolo, ma un desiderio di servizio che non viene da me: io l’ho solo accolto. Sento la richiesta di essere strumento e servo nelle mani del Signore. E’ una necessità profonda che sente la mia anima, come il mio corpo sente la necessità di bere dopo ore sotto il caldo cocente di una giornata d’estate. Ovviamente anche questo cammino non è senza dubbi e senza incertezze che spesso mandano la mia mente in palla, ma sono queste incertezze che mi dicono, come fa una cartina al tornasole, che questo desiderio, una necessità profonda che sento, è vivo. Non è un’idea, un sogno, come può essere un sogno visitare una città, ma una vera e propria missione che chiama costantemente a un’analisi della propria coscienza e del proprio impegno nel compierla.
Molte persone, inoltre, che mi hanno contattato dopo aver letto la mia storia nei giornali, mi hanno chiesto perché io abbia scelto la Chiesa cattolica per diventare sacerdote, perché non una Chiesa che accettasse di più la mia affettività così per come si è presentata. E io ho sempre risposto che sono nato e cresciuto nella Chiesa cattolica, frequentando diversi movimenti e associazioni al suo interno, e questo, nel disegno di Dio, ha un significato. La Chiesa cattolica ha bisogno di camminare ancora tanto per uscire dall’imbuto dell’ideologia religiosa e dal clericalismo tossico che alberga in essa.
La Chiesa ha avuto una storia di lotte di potere e sfruttamento delle sue risorse per interessi personali parecchio lunga e travagliata da soggetti emergenti che la gestiscono. Uomini di Chiesa che usano i soldi della comunità per desideri personali, e spesso dimenticando i bisognosi. Uomini che hanno usato la loro posizione di potere per esercitarlo su altri. Purtroppo ancora oggi questa condizione esiste nella nostra madre Chiesa, e davanti a questa condizione noi possiamo decidere di abbandonarla, abbandonando anche coloro che ne fanno parte e subiscono questi giochi e sfruttamenti, oppure impegnarci tutti insieme per una Chiesa vera, che si occupi dell’ultimo come impegno principale, che si faccia veramente veicolo di santità e misericordia. E penso, personalmente, che il Buon Pastore non abbandona le sue pecore ma le salva dalla strada della perdizione e dell’oblio.
Questo mi spinge a voler camminare in questa Chiesa: perché Cristo mi ha dato la grazia di conoscere anche in prima persona alcune perdizioni della Chiesa cattolica, e sento che è mio dovere, anche nello spazio limitato in cui mi trovo ad operare, di portare il Suo messaggio di amore e salvezza. Ovviamente il primo a cui è indirizzata questa missione sono io stesso, affinché il mio conoscere l’amore che Dio ha avuto per noi, sia testimonianza per gli altri. Infatti è la testimonianza la via più autentica di pastorale che ognuno di noi può intraprendere.
La posizione di Papa Benedetto XVI sui seminaristi gay sembrava escludere chi non è etero dagli ordini sacri. Poi è arrivato Francesco e sembra che il vento sia cambiato. Perché, secondo te, questo mutamento così repentino?
Rispondere a questa domanda è parecchio difficile, per non ricorrere a errori di valutazione e di chiarimento delle varie posizioni. Cercherò di fare un excursus breve e chiaro, nella speranza di far comprendere come il problema è nato e qual è l’attuale evoluzione della questione.
La posizione del precedente Papa sulla questione è identificabile con ciò che è affermato nell’“Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri”, documento del 2005, in cui è scritto, cito testualmente :
“Alla luce di tale insegnamento, questo Dicastero, d’intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay
Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall’Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate.
Qualora, invece, si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo l’espressione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un’adolescenza non ancora compiuta, esse devono comunque essere chiaramente superate almeno tre anni prima dell’Ordinazione diaconale.”
Si esclude quindi, a priori, qualsiasi possibilità a un omosessuale di entrare in seminario. Inoltre afferma, ed è grave, che l’unica possibilità è che l’omosessualità sia dovuta ad un’adolescenza non ancora del tutto conclusa, come se fosse causata da un’immaturità della persona. L’omosessualità viene definita come un problema che può essere transitorio, quasi come si potesse guarire da questa condizione. Questa, in sintesi, l’idea che Papa Benedetto XVI ha voluto esprimere, e Papa Francesco ha ribadito con un documento del 2016 “Il dono della vocazione presbiterale. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis” ciò che affermava nell’istruzione del 2005, aggiungendo inoltre che:
“Peraltro, occorre ricordare che, in un rapporto di dialogo sincero e di reciproca fiducia, il seminarista è tenuto a manifestare ai formatori – al Vescovo, al Rettore, al Direttore Spirituale e agli altri educatori – eventuali dubbi o difficoltà in questo ambito.”
Forse, quello che è cambiato è il pensiero di Papa Francesco negli ultimi anni, ma ciò che ufficialmente la Chiesa afferma attraverso le sue istituzioni, è che l’omosessualità è un ostacolo al sacerdozio. Resta un fatto che all’interno della Chiesa le posizioni siano molteplici e contrastanti sull’argomento, ma le risposte della Chiesa stessa, nel tempo, forse potranno cambiare. O almeno rimane la speranza.
Dopo la sua infelice uscita hai scritto una lettera a Papa Francesco. Cosa gli hai detto? Con quale spirito?
Ammetto che la lettera era pronta già da diversi mesi, e le ultime dichiarazioni del Papa sono state solo uno sprone a mandarla subito. In essa racconto la mia storia di ragazzo, di fedele, di cristiano ma anche di omosessuale e soprattutto di candidato al seminario.
Racconto come ho incontrato Cristo e come la mia fede è cresciuta in questi anni. Racconto la mia esperienza di parrocchiano, di catechista e di ragazzo che ha percorso un discernimento vocazionale. Ho scritto questa lettera affidando al Santo Padre la mia storia e la mia vocazione sacerdotale, con lo spirito di un fedele che mostra la periferia del proprio vissuto per una nuova ottica di missione del cammino della Chiesa.
Infatti ho utilizzato le ultime parti della mia lettera per chiedere al Papa di rivedere certe regole e certi meccanismi automatici della Chiesa, ormai obsoleti e che non rispecchiano più il cammino di fede nel Vangelo. Sono state tre pagine di completa sincerità e di apertura del cuore. E la risposta del Papa mi ha colmato di gioia perché sembra che anche lui mi abbia aperto il suo cuore e le sue speranze.
Che ne sarà adesso della tua vocazione?
Come dicevo nella prima risposta è viva e anche se non si è ancora compiuta nel sacerdozio, è operante in me tutti i giorni. Ogni singolo aspetto della mia vita si misura su questa missione e anche se non dovessi mai avere la possibilità di diventare sacerdote, continuerà ad infiammare il mio cuore. Ora sto studiando Storia all’Università di Firenze.
Finiti gli studi penso riprenderò quel percorso dove l’ho lasciato e vedrò dove mi porterà. Prego ogni giorno il Signore che mi dia la grazia di poter compiere il suo disegno su di me, e spero di esserne all’altezza.
Visto che questa è l’ultima risposta, vorrei concludere rivolgendomi a coloro che hanno letto questa intervista: cercate il Signore nelle persone che vi stanno vicine, ma soprattutto in coloro che vi stanno lontane con il cuore e la mente. Siate veicolo tutti del sacerdozio universale di cui compartecipiamo in quanto tutti battezzati in Cristo.
Chiedete sempre la grazia di poter essere strumento per il suo disegno e non chiedete a Dio di farsi strumento per i nostri disegni. Questa è una cosa che purtroppo accomuna molto la nostra logica religiosa: chiedere cosa desideriamo. Dobbiamo invece domandare ciò che vuole il nostro Signore – che ha scritto ognuno dei nostri nomi lassù nel cielo. Che li Signore ci conceda la grazia di incontrarlo negli occhi di chi incontriamo.
Queste le parole del nostro ospite di oggi, che si firma “uno dei tanti servi della vigna del Signore”. Da agnostica, naturalmente mi è difficile comprendere appieno la sua devozione. Sento però che le sue parole sono sincere e piene d’amore, non solo per Dio ma anche per i propri simili, quindi non posso che augurare a Lorenzo che il suo sogno diventi realtà.