Cosa succede quando un gruppo scout Agesci incontra i cristiani omosessuali?
Riflessioni di Giuliana Arnone* tratte dalla sua tesi di laurea su “Il difficile equilibrio tra azione e contemplazione: strategie di riconoscimento di un gruppo di omosessuali credenti”, Università Ca’ Foscari di Venezia, Corso di Laurea magistrale in Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica, ottobre 2013, pp.103-106
L’11 maggio 2013 il gruppo Emanuele (omosessuali cristiani di Padova) venne inviato a partecipare ad una riunione di un gruppo Agesci di Tregnano per affrontare il tema della omofobia. Per l’occasione partiamo, da Padova, io, Carlo, Alessandro, Davide e Daniele. Attraversiamo, in autostrada, la campagna veneta. Dalla macchina scorgo alberi di ulivo e delle montagne con una folta vegetazione. La primavera, nascosta dietro le nuvole, lascia il posto a delle tonalità fredde e tutto assume un’elegante aria autunnale. Arrivati a Tregnano, scopriamo che è un elegante borgo medievale. Scorgiamo dei ragazzini vestiti con la divisa dell’Agesci che camminano riparandosi sotto l’ombrello. Ha iniziato a piovere, infatti. Arriviamo di fronte alla chiesa madre. Lì ci attendono Elia e Carolina, i capi scout.
Elia si dimostra molto socievole. Ci spiega che quella è la zona della val d’Illasi e che quel posto è conosciuto come ‘battiferro‘. Scorgo nelle facciate delle case, difatti, alcune statue o decorazioni in ferro battuto. Ci invitano a entrare in quella che, ci spiegano, è la loro sede temporanea, nel refettorio di una parrocchia del paese. È una cucina molto grande, con un tavolo rettangolare. Le pareti in legno aiutano chi entra a realizzare di trovarsi in una zona di montagna.
I ragazzi si accomodano. Hanno all’incirca quattordici anni. Le ragazze, sei circa, si siedono da un lato e i ragazzi, di ugual numero, dall’altra. Al centro ci siamo noi e i capi scout. Elia ci presenta. Prima dell’incontro ci confessa di non aver detto nulla ai ragazzi del “piccolo particolare”, come lo definisce, del gruppo (ospite).
Dopo un breve preambolo, in cui ricorda ai ragazzi il fatto di aver sollevato un tema, come quello dell’omofobia, lascia subito la parola ad Alessandro, che comincia a presentarci. Dopo un breve attimo di silenzio, che nascondeva un forte imbarazzo, è un ragazzo, che aiuta i capigruppo, a fare la prima domanda, chiedendo perché alcune persone si sposano e poi si lasciano e si scoprono omosessuali. È la prima volta che sento parlare il gruppo (di cristiani omosessuali) in maniera così esplicita sull’omosessualità ad un gruppo di persone verosimilmente eterosessuali, per raccontare cosa sia la stessa e per offrire una consulenza su qualsiasi dubbio sull’argomento.
È Alessandro a rispondere. Dice che le persone che di solito si scoprono omosessuali sono persone di una certa età, appartenente ad una generazione in cui l’omosessualità non veniva definita, oppure veniva associata ai travestiti. Quelle persone, secondo lui, non si sono rese conto della propria omosessualità perché non avevano modelli di riferimento.
Dello stesso parere è Davide, che ammette che nel gruppo (cristiani omosessuali) ci sono delle persone che sono state sposate, “loro la raccontano proprio come un’esperienza che li ha aiutati a capirsi”, confessa. “Dal momento che lo ammetti a te stesso, ti scrolli via alcuni stereotipi” (Davide 11/05/13, Tregnano).
Daniele, così , prende la parola e la terrà per gran parte dell’incontro. È la prima volta che lo sento parlare di lui. Del suo difficile coming out, avvenuto appena due anni prima, del suo compagno Davide. Daniele cerca di convincere gli altri della normalità della sua condizione. È la prima volta che viene alla luce il tema del coming out. Dalle parole di Dennis, non risulta quasi mai essere un processo pacifico. Una persona omosessuale impiega del tempo per realizzare di esserlo. O tra il realizzarlo e il cominciare (a viverlo).
(…) Gli omosessuali cristiani vivono effettivamente spesso un senso di colpa e vergogna dal momento in cui diventano coscienti della loro omosessualità e spesso hanno un maggior grado di ansia nell’affrontare la propria sessualità (Yip, 1997a:165). Questo mi è stato detto da Mauro e Alessandro durante le interviste. Il fatto di aver introiettato valori provenienti dal mondo cattolico, genera nelle persone omosessuali e cattoliche, spesso, un senso di colpa con cui è difficile confrontarsi.
Spesso si tratta di decidere a quale delle due identità rinunciare. Alcune volte si rinuncia alla propria identità omosessuale – decidendo dunque di intraprendere una vita casta. Quando Mauro decise di farsi frate, decise quindi di non ‘professare‘ (la sua omosessualità), perché pensava che nella fede avrebbe potuto trovare completa realizzazione. Solo dopo tempo si rese conto che non avrebbe potuto essere così e il gruppo gli ha dato l’opportunità di poter pacificare le due dimensioni.
Una volta che viene realizzato, la volontà è quella di sentirsi quanto più normali possibili. Daniele, difatti, dice: ‘è una vita [la nostra], non diversa, a mio avviso. Anzi‘ (Daniele, 11/05/13, Tregnano). Daniele, che è insegnante, cerca di catturare l’attenzione dei ragazzi usando vezzeggiativi – li chiama ‘femminucce‘ e ‘maschietti‘ ed in realtà la sua strategia sembra funzionare. Cerca anche di smorzare i toni della discussione, e chiederà – ma è pura retorica – loro: “l’avete mai sentito lo stereotipo che dice che i gay sono femmine? Che i gay sono donne mancate? L’avete mai sentita questa cosa? Oppure che mettono su i tacchi a spillo? Calzo la taglia 46, vi immaginate me con un tacco a spillo con i miei piedi? [i ragazzini sorridono] Capite? Penso che neanche esistano i tacchi per quelli che hanno il piede come me” (Daniele, 11/05/13)
I ragazzi stanno zitti e, imbarazzati, ascoltano le parole di Daniele. I due capi Scout ascoltano con loro. Nei loro occhi vi è l’espressione di chi ha appena realizzato di aver sempre saputo qualcosa di banale: la normalità – intesa come condizione non discriminante – degli omosessuali e forse, ma questo è probabilmente frutto della mia fantasia, il senso di colpa per aver ignorato, fino ad allora, la sofferenza di alcune persone che, per qualsiasi ragione, hanno dovuto in qualche modo re-inventare parti di sé e dare senso alla realtà circostante.
Io, in quella occasione, ero parte delle loro sofferenze, parte del coming out. Ero diventata, in quella circostanza, parte del gruppo Emmanuele con il quale condividevo gioie e sofferenze e problemi legati alla visibilità.
* Giuliana Arnone si è laureata all’Università Cà Foscari di Venezia in Antropologia culturale con una tesi dal titolo “Il difficile equilibrio tra azione e contemplazione Strategie di riconoscimento di un gruppo di omosessuali credenti” (ottobre 2013) ed ha conseguito il dottorato in Studi Storici Geografici e Antropologici all’Università di Padova con una ricerca etnografica riguardante la realtà di LGBT cristiani in Italia intitolata “Tutta una questione di riconciliazione: uno sguardo etnografico sui percorsi di riconoscimento del movimento LGBT cristiano in Italia” (2016). Ha curato per il Forum Italiano dei cristiani LGBT la ricerca “Rapporto 2016 sui cristiani Lgbt in Italia” (settembre 2016) ed ha scritto con Paola Coppi e Pasquale Quaranta il capitolo intitolato “Una testimonianza: gruppi LGBT e Chiese nell’Italia contemporanea” contenuto nel volume “Tribadi, sodomiti, invertite e invertiti, pederasti, femminelle, ermafroditi… Per una storia dell’omosessualità, della bisessualità e delle trasgressioni di genere in Italia” a cura di Umberto Grassi, Vincenzo Lagioia, Gian Paolo Romagnani, Edizioni ETS, Pisa, 2017.