Cosa vivono sulla loro pelle le persone transgender?
Articolo di padre James Martin SJ* pubblicato sul sito LGBTQ cattolico Outreach (Stati Uniti) il 17 maggio 2022, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte terza
Per una persona transgender, l’esperienza interiore del proprio genere non coincide con il sesso che le è stato “assegnato” alla nascita. (In questo contesto, “assegnato” significa ciò che è stato registrato dai medici sul certificato di nascita.) (1)
Molte persone transgender sperimentano la cosiddetta “disforia di genere”, che l’Associazione Psichiatrica Americana definisce “il disturbo psicologico che origina dall’incongruenza tra il sesso assegnato alla nascita e la propria identità di genere”. La disforia di genere spesso emerge durante l’infanzia, “ma alcune persone possono non avvertirla se non durante la pubertà, o anche molto dopo”, e inoltre “Non tutte le persone transgender, o coloro che vivono un’identità di genere diversa da quella di nascita, sperimentano la disforia di genere”.
Alcuni pensano che il sempre crescente numero di persone transgender possa essere il risultato di pressioni esterne o delle immagini divulgate dai media, soprattutto tra i giovani. (Il numero di adolescenti che si identificano come transgender è aumentato enormemente negli ultimi anni.) Un genitore molto preoccupato, con cui ho parlato quest’anno, pensa che suo figlio adolescente abbia annunciato la sua transizione semplicemente per “integrarsi nel gruppo”, per “essere accettato” o “venire considerato figo”.
Se forse può essere così per alcuni giovani che cercano di comprendere la propria sessualità o di essere accettati dai coetanei, la maggior parte delle persone transgender adulte riferiscono di non essere state influenzate dall’esterno, né dai media, e men che meno dalla “ideologia del gender”; la loro transizione deriva da decenni di profonda insoddisfazione verso il loro genere (2): “Sin da quando ho memoria, fin da quando avevo circa tre o quattro anni, mi sono sempre sentita diversa. Da bambina ogni sera andavo a letto pregando di risvegliarmi femmina” dice Christine Zuba. “Sin da quando ho cominciato a comunicare ho saputo di essere diverso, ma non possedevo il linguaggio per comunicare quella differenza. Sapevo di non essere una bambina” riferisce Colt St. Anand, medico e psicologo che lavora con le persone transgender.
Suor Luisa Derouen OP, che dal 1999 svolge il suo ministero tra la comunità transgender, dice a proposito delle pressioni dei coetanei sui giovani transgender: “Certamente esistono, ma non sono nemmeno lontanamente così forti come la gente vorrebbe credere. Molti di loro si dichiarano transgender molto prima di poter essere influenzati dai coetanei o dai media”.
Altri fanno notare come le persone transgender, inclusi i giovani, abbiano sempre fatto parte dell’umanità e delle varie culture, anche se solo in tempi relativamente recenti hanno cominciato ad essere conosciute più a fondo. Questo fenomeno, che sembra nuovo, non è tanto una reazione a forze esterne, quanto un equilibrio raggiunto dopo anni di negazione.
Le terapie per le persone transgender vanno dalle normali cure psichiatriche alle terapie ormonali, che ritardano l’insorgere della pubertà (ma non completamente), agli interventi definitivi per gli adulti, come quelli chirurgici (riduzione del seno, rimozione del pomo d’Adamo etc.).
Tutti gli esperti ribadiscono comunque la necessità di aiuti medici e psicologici qualificati; la proibizione, per le persone transgender minorenni, di accedere a tali aiuti, come vorrebbe il governatore [del Texas] Abbott, potrebbe precludere anche l’aiuto psicologico alle persone che ne hanno più bisogno.
Tra le terapie più controverse troviamo quelle ormonali per i preadolescenti e gli adolescenti, chiamate “bloccanti della pubertà”. Molti vi si oppongono strenuamente, soprattutto perché gli effetti a lungo termine di tali terapie non sono noti; per altri, invece, tali farmaci e i relativi effetti sarebbero reversibili, “generalmente considerati sicuri per l’uso a breve termine” e alternativi agli interventi chirurgici, e offrirebbero ai giovani e ai genitori tempo per riflettere sulla loro decisione, oltre a ridurre il tasso di depressione e suicidio. Uno studio dell’Associazione dei Medici Americani indica una riduzione del tasso di depressione fino al 60%, e del suicidio fino al 73%. Altri esperti rimangono più neutrali sulla questione, e in generale la maggior parte dei medici raccomanda grande cautela nella cura degli adolescenti.
La ricerca sul mondo transgender ci mette a contatto con punti di vista diametralmente opposti, con i vari partiti che si contraddicono l’un l’altro, ognuno con la sua batteria di esperti e di dati. Forse la ricerca più vasta è quella condotta nel 2018 dalla Cornell University prendendo in esame cinquantacinque studi scientifici in lingua inglese pubblicati dal 1991 al 2017; la conclusione è che, per il 93% di tali studi, “la transizione di genere migliora il benessere delle persone transgender, mentre il 4% riporta risultati incerti o contraddittori. Nessuno studio conclude che la transizione di genere implichi un rischio per la salute”.
Sivagami (Shiva) Subbaraman, fondatrice e direttrice del Centro per le Risorse LGBTQ della Georgetown University, mi racconta del suo lavoro con i giovani transgender: “Non sono un’esperta di persone transgender, ma quello che vedo è che gli studenti, prima della transizione, versano in uno stato di disperazione, mentre dopo sono felici e in pace”. Tuttavia, il dibattito è ancora accanito.
(1) La condizione transgender è diversa da quella intersessuale, che significa nascere con una combinazione di organi riproduttivi e sessuali, ormoni e cromosomi che non coincidono con le definizioni tradizionali di maschio e femmina. Secondo alcuni studi, circa una persona su 1.500 nasce con genitali ambigui, e fino al 1,7% della popolazione rientra nella condizione intersessuale. Alcune persone intersessuali (o intersex) si considerano anche transgender, e alcune persone transgender ritengono che il transgenderismo rientri nella condizione intersessuale.
(2) Uno studio molto recente conclude che sono pochi i giovanissimi transgender che, a cinque anni dalla transizione, hanno cambiato idea, ma come scrive il New York Times “Questo studio è partito quasi dieci anni fa, e non è chiaro quanto rifletta la tendenza odierna, in cui sono molto più numerosi i giovanissimi che si considerano trans”.
* Il gesuita americano James Martin è editorialista del settimanale cattolico America ed autore del libro “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt” (Editore Marcianum, 2018). Padre James ha portato un contributo sull’accoglienza delle persone LGBT nella Chiesa Cattolica all’Incontro Mondiale delle Famiglie Cattoliche di Dublino e ha portato una sua riflessione anche al 5° Forum dei cristiani LGBT italiani (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018).
Testo originale: The church and the transgender person