Cosa vorrei dire alla chiesa cattolica sull’omofobia? Forse nulla
Riflessioni di Marta*, semplicemente una madre
Veglia per le vittime dell’omofobia. Preghiera e riflessione per tutti. Che cosa direi io alla Chiesa? O, meglio, a molti rappresentanti della Chiesa cattolica? Che strano. Mi pare di non avere nulla da dire. Non perché non ci sia nulla da dire, ma perché colgo la sordità di buona parte della Chiesa, per come si mostra in pubblico, su questi temi. A volte imbarazzo, di sicuro impreparazione. Completa sordità, se non anche cieca opposizione. No, non mi viene da dire nulla. L’unica immagine che mi viene è quella delle sentinelle in piedi. Che cosa vogliono? Che cosa temono? Quanto sono lontane dal mio modo di sentire e di vivere? “Sentinelle”: è un linguaggio da guerra, da esercito, da lotta. Per lottare contro cosa? Contro chi? E poi, la propaganda sulle terapie riparative, come se l’omosessualità fosse una malattia da curare. Come se fosse una libera e perversa scelta, e non una caratteristica immodificabile della persona.
Ma sentinelle e riparatori, trovano fondamento nella Parola di Dio? Quanto peso hanno queste prese di posizione rispetto alle aggressività che così spesso subiscono le persone omosessuali? Quanto dolore provocano queste presuntuose rigidità con intenti moralizzatori? La Chiesa si è mai interrogata serenamente e liberamente su questo?
Ma poi spero che anche gli uomini e le donne di chiesa conoscano il Vangelo. E partirei dal Vangelo di Giovanni, dal capitolo 15, che stiamo leggendo proprio in questi giorni, nelle S. Messe di questi giorni: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.”, disse.
Perché questo è lo scopo della Vita che Dio ci ha dato: che Lo ringraziamo, che siamo felici di come siamo, di quello che siamo, di come ci ha creati. Di amarci l’un l’altro, come Lui ci ama. E Lui, che scruta nel profondo dei nostri cuori, sa se siamo felici davvero, o se fingiamo di esserlo.
Lo scopo della Vita che ci ha donato è quello di vivere in pienezza, di realizzare la nostra individuale umanità, nell’amore reciproco, per quello che siamo, per come possiamo essere, affinché tutta la nostra Vita sia lode a Lui.
Non c’è gioia più grande per un genitore che sentire il proprio figlio che dice: “Grazie di avermi fatto nascere così come sono”. E non ci può essere gioia più grande per Dio che sapere che siamo felici di essere al mondo, in questo mondo, così come siamo. Questo penso. Penso poi alle parole del capitolo finale del libro di Giobbe: “Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine: … Dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza! “.
Quanta presunzione negli esseri umani! Soprattutto in quelli morigerati, quasi perfetti! Ma più ancora mi vengono in mente altre parole di Gesù: (Lc. 11,46): .. “Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili…”.
Il Vangelo ha, per noi piccoli e pigri esseri umani, un difetto: deve essere letto, riletto, digerito, capito, approfondito. E so bene che ognuno può, estrapolando frasi avulse dal contesto, fargli dire tutto e il contrario di tutto. Che il buon Dio si sia divertito nel non lasciarci sentieri chiari ed inequivocabili? Che non ci abbia dato “ordini”, ma solo tracce da seguire, nella ricerca della Sua Parola, e del Suo Amore? Forse sì. Forse la Sua intenzione era di fare in modo che ognuno potesse comporre il proprio sentiero, diverso da quello degli altri, ognuno potesse trovare la propria strada per giungere alla comune meta: l’abbraccio di Dio. E contemplare poi la bellezza dell’armonia delle diversità da Lui create.
Come madre vorrei che i miei figli fossero felici, pieni di felicità matura, piena, consapevole e responsabile. Vorrei che fossero contenti di essere nati, e io contenta di aver permesso che nascessero. Tutti e due i miei figli. Tutti e due. Io ho due figli, più o meno di vent’anni. Uno “normale”, l’altro omosessuale. Io li amo entrambi di identico e speciale amore.
Loro sono nell’età della contestazione, come è giusto che sia a vent’anni. E tutto quello che dice la mamma è sbagliato a prescindere. Perché loro stanno cercando la propria strada. Che inizia allontanandosi dalla mia. Vorrei parlare loro di Dio, perché prima o poi ci arriveranno. Vorrei parlare loro della mia Fede. E lo faccio. Sento però tutto il loro astio di ragazzi per quello che della Chiesa troppo spesso si coglie pubblicamente. E allora preferisco non dire nulla, perché non ho parole che possano giustificare certe prese di posizione, e certe rigidità che non sono rispettose delle caratteristiche di ogni creatura. Non mi riconosco nelle sentinelle in piedi, e tanto meno nei terapeuti-riparatori.
Non è certo questo il luogo per disquisire sulla natura dell’omosessualità, se sia una scelta, una perversione o cosa. Chiunque sia onesto intellettualmente ed abbia approfondito la questione in modo serio, al giorno d’oggi SA che l’omosessualità è solo una normale variante della sessualità umana. E che è immodificabile, pena l’infelicità profonda della persona che rinuncia a realizzare se stessa nell’amare pubblicamente un’altra persona, se è dello stesso sesso.
La Chiesa, in certi settori (così duri di cervice!) però si ostina a definirla un “disordine”, quando non anche un peccato.
E vorrei che gli uomini e le donne di Chiesa, in questo giorno dedicato alle vittime dell’omofobia, si concedessero di capire, di studiare, di approfondire serenamente, la natura della sessualità umana, creata da Dio, così da cogliere le meravigliose sfumature che Dio ha progettato nei colori della Creazione. Perché, che ne sappiamo noi di quale fosse, nel crearci, la Sua intenzione? E perché vogliamo impedire che ognuno realizzi se stesso, nel rispetto degli altri, cercando in questo modo di essere davvero pieno della Sua Gioia?
Oppure siamo come il fratello del figliol prodigo, l’altro figlio del Padre Benedicente? Quello che ha invidia quando vede che il Padre ama, a prescindere? Spaventa l’amore gratuito? Lo si vuole regolamentare? Stringere con legacci duri, caricando di pesi inumani le persone che non corrispondono agli schemi rigidi che si vuole pubblicamente imporre? No, ho poco da dire a questa Chiesa. Oggi, poi, meno che meno. Spero solo che l’Anno Santo per la Misericordia, che papa Francesco ha acutamente proclamato, possa essere aperto dalle sue sagge parole: “Chi sono io per giudicare…?”.
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* Conosco Gionata.org ormai da anni. È stato il luogo che più ho frequentato in internet per cercare di capire un’altra vicenda fondamentale nella mia vita. Qui ho conosciuto persone molto belle. E ho avuto modo di conoscere di persona anche i webmaster. Giorni fa, parlando con Innocenzo, gli ho detto che mi piacerebbe scrivere di queste mie vicende su Gionata, ma che non so neppure da dove cominciare, tanto è un groviglio, che non è facile dipanare.
“Fallo a puntate”, mi ha risposto. E allora, se volete, questa è una puntata, un po’ diario, un po’ ricordo. Un racconto in itinere. Che un po’ va avanti, e un po’ torna indietro, per cercare di capire. Non ho idea di come andrà a finire, perché si sta ancora svolgendo. E io non ho ancora compreso tutto. Anzi, a volte mi pare di non aver capito niente.