Così lontani, così vicini. Io, mio marito e la scoperta delle persone LGBT
Riflessioni inviateci da Claudia e Andrea* dopo la lettura dell’ebook gratuito “Genitori fortunati. Vivere da credenti l’omosessualità dei figli” (Tenda di Gionata, 2018)
Sorridiamo ancora, io e mio marito, ripensando a quando ci siamo conosciuti e subito innamorati di un amore intenso, sereno, ricco di progetti. Avevamo 20 e 26 anni. Alle spalle un vissuto famigliare armonioso nei rapporti, stimolante dal punto di vista culturale e sociale, nell’insieme rassicurante.
Entrambi avevamo avuto, in famiglia, una formazione cattolica, sviluppata poi in parrocchia, a scuola, in collegio universitario, in cui mio marito ha studiato. Ci siamo sempre confrontati con sacerdoti aperti agli stimoli post-conciliari.
Un matrimonio, il nostro, dalle radici solide e dal desiderio di svilupparsi, di crescere nel privato, nell’intesa di coppia, ma anche di trovare spazi di confronto nella comunità, nel lavoro, nelle relazioni.
In quegli anni lontani, sia nella città di provincia dove eravamo cresciuti, sia nella grande città dove eravamo andati a vivere, il tema della omosessualità non era trattato né in ambito famigliare, amicale o a più ampio spettro. Poteva capitare che qualcuno facesse cenno a persone omosessuali conosciute: l’argomento assumeva subito un alone di grigiore, di mormorio, di implicito giudizio negativo. Qualche volta di scherno, anche volgare.
Non eravamo interessati al tema, non avevamo percepito l’importanza di questa realtà, non ne eravamo coinvolti. Eppure ci siamo sempre sentiti parte attiva di una comunità in crescita, facendo anche politicamente scelte contro-corrente, lontani come eravamo, e come crediamo di essere, da discriminazioni ed emarginazioni di ogni genere.
È stata la vita, l’esperienza in crescita, il lavoro, l’attività nella scuola, nuove relazioni amicali in città e ambienti diversi che hanno sviluppato in noi quella parte mancante fino allora sconosciuta. Sono stati soprattutto i rapporti interpersonali e il desiderio di rendere ogni relazione sensibile, attenta e costruttiva che ci hanno permesso la caduta di inibizioni e indifferenza rispetto al tema dell’omosessualità.
Potremmo ricordare la baby sitter dei nostri figli, oggi donna matura, con cui da subito abbiamo costruito un rapparto di amicizia. Simpatica, affettuosa, sempre pronta al sorriso, alla battuta spiritosa e conciliante, per un lungo periodo si era trasformata, diventando aspra, triste, nervosa.
Un giorno, in uno sfogo doloroso ed inquieto, ci ha parlato della propria omosessualità, di come ne avesse preso coscienza a fatica, del sentirsi repressa dall’ambiente in cui non poteva manifestarsi apertamente, del confronto con la mentalità oscurantista del paese in cui viveva con la madre.
Le confidenze di quel periodo parlavano di solitudine, di amarezza, di isolamento, sentimenti acuiti da un rapporto turbolento e frustrante con una donna, di cui subiva il fascino, ma che approfittava di lei in modo vile e subdolo. Questa situazione generava nella nostra amica affanno e paura di non riuscire a gestire la situazione.
Il parlare dell’argomento con noi e poi con altri, via via ampliando il confronto, ha gradualmente reso la nostra amica più serena, più equilibrata e matura, capace di fare nuove scelte. Ha riconquistato fiducia in sé e negli altri. E una una rinnovata sicurezza, tanto da decidere di vivere apertamente in coppia con una compagna in un contesto sociale di accettazione e serenità. La solidità del legame, i sentimenti nobili e generosi che la coppia sa esprimere stimolano nella comunità accettazione e condivisione. Il cammino dell’amore, pur travagliato, ha raggiunto il suo compimento.
Meno fortunata è la storia di un bambino molto bello, simpatico, solare, che in classe prediligeva lavorare e giocare nel gruppo delle bambine, incontrarsi sempre con loro nel tempo libero e nello sport.
Nel corso degli anni la sua omosessualità è diventata più manifesta e, se da una parte le amicizie femminili continuavano a seguirlo e ad apprezzarlo, in famiglia la situazione diventava via via più critica, fino a deteriorarsi del tutto. La madre ha mantenuto negli anni un atteggiamento passivo, quasi noncurante. L’omosesualità del figlio, se c’era, non doveva essere dichiarata né in casa né all’esterno. Mai. Il padre, cattolico fervente, catechista molto vicino al parroco, ha sempre rifiutato l’orientamento sessuale del figlio.
Il giovane ha così subito nel corso degli anni pressioni fortissime di respingimento, sia in famiglia che in parrocchia. Ha così sviluppato ribellioni e trasformazioni di carattere, divenuti esasperati negli anni degli studi liceali, quando subiva anche atti manifesti di bullismo da parte dei compagni.
Pur di fronte alla evidente difficoltà di integrazione nel gruppo classe e nella scuola i docenti, compresa l’insegnante di religione, hanno sempre evitato di affrontare i nodi del problema a livello educativo e formativo, peggiorando così la situazione del giovane, che a fatica si è diplomato e poi ha lasciato la città di origine, espatriando.
La comunità, anche quella religiosa, ha di fatto respinto la crescita di questo ragazzo “colpevole” di essere omosessuale. Lontano da casa ora ha trovato una sua collocazione e un’accettazione sociale. Solo le compagne della scuola elementare mantengono sempre i contatti con lui e ancora oggi si incontrano, ricreando il clima solidale di un tempo.
Tra i ricordi più chiari ve ne sono due estremamente significativi, in certo modo complementari ed opposti. Due giovani già maggiorenni hanno reso esplicita la propria identità omosessuale parlandone nelle loro famiglie, entrambe profondamente cattoliche, use al confronto in ambito parrocchiale e alla partecipazione alle attività culturali cittadine.
Il padre dell’uno, elaborando con fatica e grande sofferenza la nuova realtà, ha maturato, anche con l’aiuto di sacerdoti attenti al problema, un convincimento di accettazione sia sul piano razionale che affettivo, arrivando a sviluppare con lui una nuova stabilità relazionale.
Il padre del secondo, invece, considerando che il figlio già era confuso fra irrisolte aspirazioni di studio e professionali, privo di una radice affettiva seria e ben radicata ha assunto un atteggiamento di respingimento. La consapevolezza poi che, da omosessuale, avrebbe comunque dovuto anche superare barriere sociali, discriminazioni e pregiudizi ha generato un’acuta sofferenza non facile da metabolizzare e condividere. Lo stato d’animo del padre, da sempre modello di riferimento, è stato percepito dal ragazzo come un sostanziale rifiuto sul piano personale, generando una catena di incomprensioni nella relazione fra i due.
In entrambi i casi le madri hanno assunto da subito un atteggiamento di naturale disponibilità, di intenso sostegno amorevole, mai contrapponendosi al coniuge e facendo da ponte con parenti e ambiente esterno.
Un caso che ci ha toccato nel profondo è quello di una giovane ragazza, seria, matura, colta, cresciuta con una forte formazione e motivazione cattolica, in un ambiente dialetticamente e politicamente vivace, aperto e proiettato alla condivisione e alla pratica solidale, che ha scelto la vita di coppia con una coetanea, a sua volta educata con lo stesso stile della compagna.
La famiglia di origine e quella allargata hanno assimilato questa scelta come la più naturale possibile, dettata dall’amore, dalla stima reciproca, dalla spontaneità del legame. Tutti hanno gioito quando la coppia ha avuto un figlio, a cui è stato dato il nome del nonno, che ha insegnato ai figli il rispetto della persona e la forza cristiana dell’amore.
Concludo con un ricordo che esula dal tema specifico dell’omosessualità, ma riguarda quello a più ampio spettro delle barriere, muri, pregiudizi che artificialmente ostacolano l’espressione dell’amore nella vita quotidiana.
Anni fa sono stata chiamata a testimoniare in una causa di annullamento di matrimonio della Sacra Rota. Ero l’ultima testimone, dopo i tanti ascoltati e non ritenuti sufficienti dai giudici ecclesiastici per giungere a sentenza: si trattava di annullare un matrimonio fallito, per permetterne un altro cristiano e tanto desiderato da una nuova coppia con tre figli, generati tra patemi d’animo e seri problemi di salute.
Quando nella silenziosa celletta del tribunale, alla presenza di un frate e di una dattilografa, dopo una serie di domande dettagliate, puntuali, approfondite, spesso pignole, sempre asettiche e senza alcun riferimento ai sentimenti, ho finalmente firmato la mia deposizione giurata, ho avuto modo di rivolgermi al frate con queste parole:
“Non so che cosa stabilirà il tribunale e non so nemmeno se questa mia testimonianza sia stata utile. Io non sono una cattolica praticante, ma sono cresciuta nel profondo valore dell’essere cristiana. Primo fra tutti l’amore, quello che Gesù ci ha insegnato a praticare. A prescindere. Le chiedo: questa coppia invoca la benedizione dell’Amore assoluto, come può essere che la Chiesa lo neghi?”
Non saprò mai se è stata questa mia domanda a favorire la sentenza positiva e a permettere alla coppia di sposarsi in chiesa. Non è importante saperlo.
Quel frate, in quella circostanza, ha scelto di abbattere il muro dell’incomprensione. Ha scelto la condivisione dell’amore.
Nascere non basta.
È per rinascere che siamo nati.
Ogni giorno (P. Neruda)
A tutti quelli che si sentono esclusi da un sistema asfittico e prepotente dedico le belle parole di Neruda.
*Il titolo del fascicolo, Genitori fortunati, mi sembra un’espressione un po’ eccessiva. Non considero una fortuna doversi confrontare con l’omosessualità di un figlio, ma piuttosto un problema serio, una prova da superare, di quelle difficili che la vita ci può proporre, e che, anche se viene risolta bene in famiglia, lascia comunque incertezze non controllabili per il futuro, quando il figlio dovrà confrontarsi da solo con i pregiudizi della società, con gli ostacoli creati dagli intolleranti, o ignorati dai non-curanti, che di fatto sono sempre in maggioranza.
Non mi sentirei di augurare questa “fortuna” ad un genitore, anche se concordo nel ritenere fortunati quei genitori che, come voi, sono stati capaci di risolverla bene mentre altri, compresi alcuni di cui abbiamo raccontato, non si ritengono tali. Per questo mi sembra che il titolo ecceda in ottimismo e andrebbe temperato. Ma non so dire come. Forse aggiungendo al titolo un punto di domanda? (Andrea)