Crescere con i segreti. Etero o gay sono figli miei
Riflessioni di Marta*, semplicemente una madre
Era piccolo, molto piccolo quando usciva di corsa dal portone di casa, attraversando il prato di confine, se solo immaginava che ci fosse di là la figlia dei vicini, poco più grande di lui, la sua amica da sempre. Non so come avessero fatto a scoprirsi, loro due. Forse camminando sul prato di confine.
Forse in un pomeriggio di primavera, quando Marco aveva poco più di un anno, e Lucia ne aveva solo due. Si sono guardati, ed hanno iniziato a chiacchierare. Oddio! Chiacchierare è un termine impegnativo. Ma si guardavano, e in qualche modo giocavano.
In autunno, ad un anno e mezzo, Marco usciva di corsa dal lettino, nelle mattine di domenica, quando eravamo a casa, e me lo ricordo ancora con il pannolone, il pigiamone, eppure di là, a cercare la sua amica Luia, Lucia.
A volte per farlo uscire di corsa dal letto, bastava dirgli che c’era Lucia ad aspettarlo.
Era bello vedere la pazienza con cui giocavano. Stava molto più volentieri con la dolce, gentile Luia, che con il rude fratello, intenzionato sempre di più a mettere in atto i propositi di eliminarlo dalla sua vita di figlio unico spodestato. Marco ha da sempre preferito la compagnia delle femmine. Non so se per istinto, per libera scelta, oppure per evitare i rischi che fin da piccolo aveva corso con il fratello.
Sono 26 mesi di differenza, loro due. E i primi sei mesi di Marco sono stati relativamente tranquilli. Ma dai sei mesi di Marco in su ho visto la gelosia fraterna in scena ad ogni ora, e in ogni modo. Per quanto avessimo tentato di evitarlo, dando anche a lui l’affetto di cui aveva bisogno, Alberto aveva mal tollerato l’arrivo di quel fagotto che gli rubava le attenzioni degli adulti, della madre, del padre, dei nonni. Fino a quando se ne stava tranquillo, dando segni di sé stesso solo per mangiare ed essere cambiato, tutto poteva andare bene. Ma quando poi questo fagotto iniziò a condividere la sua stanza, i suoi giochi, allora io ho avuto modo di vedere che cosa la gelosia può mettere in atto, al punto da farmi decidere che uno dei due doveva sempre essere sotto il mio controllo, per evitare che di nuovo Alberto prendesse per il collo Marco, fino a farlo tossire.
“Cosa gli hai fatto?”, gli gridai, scendendo di corsa le scale, per raggiungere la creatura che tossiva come a riprendere faticosamente fiato. Era tutto rosso, Marco, mentre Alberto si allontanava da lui velocemente. “Cosa gli hai fatto?”, urlai presa dal panico. E Alberto, mimando l’azione di stringergli il collo, mi rispose: “Così gli ho fatto, così!”.
Istintivamente, ma stupidamente, gli chiesi perché, “Perché è brutto”, mi rispose, nell’ingenuità dei suoi non ancora tre anni.
Fu l’ultima volta che li lasciai da soli. Era troppo rischioso. Uno dei due doveva essere sempre sotto controllo. Solo così mi sentivo sicura di evitare altri momenti ad alto rischio per Marco.
Era un periodo molto duro della mia vita. Il matrimonio, con due figli piccoli, e un marito incapace di prendersene cura, iniziava a fare acqua. Io ero stanca. Tra lavoro, casa, bambini, e matrimonio traballante, non riuscivo neppure a riflettere su quanto accadeva.
Furono alcuni anni così. Anni nei quali riuscire a garantire la quotidianità era già tanto. Anni dispersi tra pannolini, pappe, capricci, nanne, ciucci, biberon, seggioloni, giocattoli in ogni dove, urla ogni tanto, e coccole quando possibile. Furono anni faticosi. Molto faticosi. Anche perchè il padre iniziò a non farsene per nulla carico. A stare sempre di più fuori casa. Ad allontanarsi. E le poche volte che provava a stare con i bambini, non ne era capace.
Alberto e Marco sono stati due bambini diversissimi fin dalla gravidanza. Davvero diversi, come spesso accade con i fratelli. Alberto desiderava stare il più possibile con il padre, e lo seguiva appena lui glielo permetteva. Mio marito trascorreva, all’epoca, ore ed ore nel laboratorio di falegnameria ricavato sotto casa, facendone il suo regno.
Lì ci stava volentieri anche Alberto, a giocare con un martello, un chiodo, un pezzo di legno. Appena l’età glielo consentì, iniziò anche Marco a trascorrere del tempo con papà, nel suo regno. Solo che mio marito aveva la pessima abitudine di arrabbiarsi, di gridare, di imprecare per un nonnulla.
Così una domenica mattina, mentre io ero nelle faccende di casa, lo sentii urlare ed imprecare nella versione più violenta che riusciva a fare. Mi spaventai moltissimo, e scesi di corsa le scale, con il cuore in gola, sapendo che con lui c’erano i bambini, immaginando chissà quale disgrazia.
Marco se ne stava già tornando su, ciuccio in bocca, e frusciare di pannolino ancora in uso: “Non vado più da papà, io, non ci vado più!”, biascicava, piangendo. E non ci andò più. Chiuse così con suo padre. Alberto era accucciato in un angolino. “Cosa è successo?”, gli chiesi. “Non ho fatto niente, io!…” si scusò, tremante ed impaurito.
Conoscendo mio marito, capii che si era arrabbiato con se stesso per un errore che aveva fatto da solo, dando in escandescenze in modo vergognoso, davanti ai bambini: il grande aveva si e no cinque anni, ma continuò ad andare con papà. Il piccolo invece no. Marco chiuse lì le sue esperienze con il bricolage paterno. Stava con il padre, ma non più con lui in laboratorio.
Che cosa viene prima? L’uovo o la gallina? Certo, il rapporto con suo padre fu difficile fin dall’inizio. Ma che cosa davvero lo rese difficile? Io non ho una risposta. Ho i ricordi. Nitidi. Ed ho tante domande. Ma non ho risposte. Perché il padre era lo stesso, ma i due figli, figli molto diversi. Da sempre.
Chiedere ad una mamma se i suoi figli sono belli, è una domanda sciocca. Perché per una madre, per tutte le madri, i propri figli sono bellissimi, sempre. Alberto aveva sin da piccolo il portamento fiero, lo sguardo di sfida, e mai fermo, ma sempre intenzionato a fare qualcosa, in qualche modo.
Marco sin da subito è stato un osservatore. Ha assorbito con gli occhi il mondo. Sguardo dolcissimo, a 2 mesi rideva già, di riso intenzionale e diretto ai volti delle persone, conosciute o sconosciute. Rideva. Marco è nato sereno e felice. Tranquillo.
Tanto si girava e rigirava Alberto nella culla, altrettanto Marco stava dove lo mettevi, fermo, tranquillo. Aveva un sorriso bellissimo, dolcissimo sin da piccolo.
Ma era anche molto determinato. Sapeva quello che voleva, e sapeva come arrivarci. Dolce e resistente. Dolce e determinato. “Hai avuto il coraggio di fare il secondo – mi disse un giorno la pediatra – e Dio ti ha premiato con questo bambino sereno, e dolce”. Già. È così che vedo Marco, ancora oggi. Un Regalo. Un prezioso regalo.
.
* Conosco Gionata.org ormai da anni. È stato il luogo che più ho frequentato in internet per cercare di capire un’altra vicenda fondamentale nella mia vita. Qui ho conosciuto persone molto belle. E ho avuto modo di conoscere di persona anche i webmaster.
Giorni fa, parlando con Innocenzo, gli ho detto che mi piacerebbe scrivere di queste mie vicende su Gionata, ma che non so neppure da dove cominciare, tanto è un groviglio, che non è facile dipanare.
“Fallo a puntate”, mi ha risposto. E allora, se volete, questa può essere una puntata, un po’ diario, un po’ ricordo. Un racconto in itinere. Che un po’ va avanti, e un po’ torna indietro, per cercare di capire, e trovare il filo di una vicenda normale, perché normale è innamorarsi e amare, anche se l’orientamento non è quello normalmente considerato normale.
Non ho idea di come andrà a finire, perché si sta ancora svolgendo. E io non ho ancora compreso tutto. Anzi, a volte mi pare di non aver capito niente.