Crescere insieme nella speranza. Un cammino di risurrezione per “Famiglie fortunate”
Riflessioni tenute da p. Pino Piva sj* all’incontro online “Famiglie fortunate” per Genitori Cristiani i loro figli LGBT e gli operatori pastorali che li accompagnano (25 aprile 2020)
In questa proposta di preghiera offerta ai genitori di figli LGBT (Lesbiche, Gay, Bisex e Trans) e, insieme a loro, ai giovani dei gruppi credenti omosessuali e agli Operatori Pastorali, vorrei offrire un breve itinerario di Risurrezione. Spero possa essere utile alla nostra preghiera personale e al cammino interiore che ciascuno di noi sta facendo. Per questo motivo iniziamo con l’ascolto di alcuni brani evangelici che hanno per protagonisti dei genitori.
I GENITORI
Il padre e il figlio sordo-muto (Cfr. Marco 9, 16-27)
Dalla folla uno gli disse: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Gesù lo interrogò: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall’infanzia; anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!». Allora Gesù minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più». Gridando e scuotendolo fortemente, uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi.
Come in una Via Crucis questo padre è costretto a percorrere varie “stazioni” di Passione accanto a suo figlio, perché possa essere liberato da questo spirito muto; uno spirito che gli ha tolto la parola, che gli impedisce di “dirsi”, di esprimersi, di mostrarsi…
Questa come altre guarigioni nel vangelo di Marco sono simboliche (ciechi e sordi): non indicano tanto infermità fisiche, quanto blocchi interiori, chiusure che anche i discepoli vivono: sono sordo-muti alla parola di Gesù che libera; oppure sono ciechi ai segni di amore che compie.
La cosa bella di questo brano è che questo genitore si fa carico della difficoltà del figlio, e anche lui fa un cammino di guarigione. Invece di nascondere la vergogna di questa infermità… chiuderla nell’armadio, per amore del figlio la assume e chiede aiuto. Il padre fa un cammino di fede; chiede a Gesù: “Aiuta la mia incredulità!”.
Chiede lui stesso di essere guarito dalla incapacità di ascoltare l’amore di Dio, che dona dignità ad ogni persona, e quindi anche a suo figlio. E tutti e due vengono liberati, guariti. La parola è liberata; parola di dignità: ora il padre può sentire e ascoltare la voce del figlio, ascoltare davvero il figlio. Sono risorti!!
Giairo e la figlia ri-suscitata (Cfr. Marco 5, 22-24. 35-43)
Venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Gesù disse: «Non temere, soltanto abbi fede!». Entrato, disse: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: alzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
Dodici anni, l’età in cui la vita fiorisce, esplode. L’età che cambia la bambina in una donna – specialmente al tempo di Gesù, in cui erano più precoci – …eppure, in questo episodio, la vita e la pubertà della bambina vengono frustrate, chiuse in un sonno di morte. Giairo, il padre, è capo della Sinagoga, un uomo religioso… ma la sua religione non lo aiuta a salvare la figlia…
Chiede aiuto a questo maestro, che parla di Dio in un modo diverso; anzi compie opere di liberazione che mostrano un Dio diverso! E anche Giairo, umilmente si mette in cammino, e chiede aiuto, perché da solo non trova le risposte; anzi, come quelle della folla, le risposte finora erano state senza speranza, fino alla derisione e vergogna.
Lui e sua moglie fanno un cammino di fede: “Non temere, soltanto abbi fede”. E Gesù fa risorgere la bambina e i suoi genitori – Talità Kum – Dona una vita nuova che permette di ri-alzarsi, camminare, crescere, nutrirsi, rimettersi nelle relazioni senza paura di toccare, di morire…
Sono proprio belli questi genitori che – umiliati dalla loro situazione – andando anche contro la folla e l’opinione comune, umilmente si mettono in cammino per cercare di capire e di riavere la vita dei figli. E grazie al loro amore e alla loro insistenza, alla loro fede, aiutano i figli a rivivere.
L’ARCO E LA FRECCIA
Con i prossimi brani, proviamo a vedere un altro aspetto… Come ci ricorda un testo di Gibran, “i figli sono come una freccia, e i genitori l’arco”. I Genitori aiutano i figli a trovare una direzione nella vita, una forza interiore, ma poi devono lasciare che i figli volino via, e vengano sostenuti e guidati dalla forza dell’aria, del vento, dello Spirito; e vivano la loro vita… Solo così li riavranno adulti e liberi. Qualcosa di simile, forse, è accaduto tra i discepoli e Gesù, dopo la risurrezione.
Non mi Trattenere… (Giovanni 20, 14-18)
Detto questo, [Maria di Magdala] si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.
Dopo la Passione e la morte di Gesù, il modo che Maria di Magdala aveva di pensare e guardare a Lui era di “voltarsi indietro”, e guardare al passato… Un po’ come la moglie di Lot, che divenne una statua di sale… Questo sguardo al “suo Gesù”, al Gesù che aveva conosciuto e le aveva ridato dignità di donna – ora che Gesù è morto – la inchioda al passato, ai bei tempi, alle belle speranze… ormai perdute. E si blocca, accasciata nel suo dolore d’aver perso tutto.
Il cadavere di Gesù è il simbolo di questo passato, che ora non dà più vita… Maria è così rivolta al suo modo passato di stare con Gesù, che quando lui le si presenta davanti, lei non lo riconosce e lo scambia per il giardiniere… Non può accogliere un Gesù diverso, o pensare una relazione diversa da quella che finora aveva avuto con lui… E così rischia di perdersi il vero Gesù…
Poi, invece, quando la voce di Gesù la chiama per nome e la obbliga a voltarsi in avanti… Lo riconosce, anche se diverso…
Lei vorrebbe trattenerlo nel suo modo vecchio… Ma Gesù la invita a “lasciarlo-essere” Signore del Cielo e della Terra, alla destra del Padre; come lei non l’aveva mai immaginato. In questo modo lui potrà essere sempre intimamente vivo con lei; sempre! E così i genitori, “lasciar”- essere i figli per quella che è la loro vera natura, e non come vorrebbero che fossero. Lasciarli volare, sostenuti dalla forza del vento, dello Spirito…
Tommaso e le ferite… la tensione (Cfr. Giovanni 20, 24-31)
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Le ferite di Gesù, Tommaso non le può sopportare… per lui sono il segno del fallimento. Sono la prova che Gesù non è quello che si aspettava, non è il Messia che diceva di essere; e infatti è morto! E soprattutto mette in crisi il Dio di cui Gesù ha parlato: buono e misericordioso, un Padre… E invece Dio lo ha abbandonato. Avevano ragione i giudei e farisei, e il loro Dio legalista.
Ma Gesù, risorto, poi rivolgendosi a Tommaso in particolare, riesce a convincerlo che le sue ferite – e quindi la morte che queste hanno provocato – sono una sola cosa con la sua Risurrezione: Lui è Risorto perché è il Crocifisso. È colui che si è lasciato uccidere sulla croce amando fino alla fine; donando letteralmente la vita per tutti, compreso chi lo uccideva. Ha mostrato l’amore infinito di Dio; per questo Dio lo ha risuscitato!
Quelle ferite, allora, sono i segni dell’amore di Dio; sono i segni della vittoria sul male e sulla morte; sono la prova che lui, il Crocifisso Risorto, è il vero Messia!
E le nostre ferite? Di cosa sono segno? O meglio; di cosa vogliamo che siano segno? Si, forse le nostre ferite e la nostra sofferenza sono il segno dell’odio di chi ci disprezza e ci considera maledetti e fuori dalla grazia di Dio; forse sono il segno dell’odio verso noi stessi, nella difficoltà di accettarci, o di accettare i nostri figli…
E perché, invece, non intendere queste nostre ferite come il luogo o il motivo per cui il Signore vuole visitarci e consolarci? Non il motivo del suo disprezzo; ma il motivo della sua vicinanza e attenzione, del suo Amore. Per non lasciarci da soli con le nostre sofferenze, lui si fa sofferente con noi; perché possiamo con lui tornare alla gioia di sentirci amati, rafforzati e riempiti di dignità.
Forse le nostre ferite sono gli squarci attraverso cui entra la forza di Dio, per rialzarci e ritrovare insieme la nostra dignità di figli suoi. Forse, il disagio e la rabbia per le nostre ferite – immerse nell’Amore di Dio – possono diventare quella tensione e quella forza necessaria per scoccare la freccia, per spiccare il volo…
LA COMUNITÀ
Che bello: diventare una comunità dove non c’è più discriminazione, ma accoglienza della diversità. Ciò che ciascuno ha in più o in meno dell’altro viene messo in comune; la ricchezza, ma anche la povertà; la forza, ma anche la fragilità. La diversità non viene nascosta, ma offerta umilmente, perché divenga occasione di amore, nel dare o nel ricevere. Una comunità segno concreto ed efficace dell’Amore di Dio per il suo popolo.
Cfr. Atti degli Apostoli, 2, 42-47
Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.
LE DOMANDE
– Quale di questi testi evangelici è il mio testo; che parla alla mia vita o alla vita della mia famiglia?
Quale passo dobbiamo ancora fare; quale fragilità dobbiamo ancora accogliere – in me o nell’altro – e integrare perché possa diventare FORZA di Risurrezione?
– Cosa possiamo portare di nostro, di mio – ricchezza o povertà – perché la Chiesa possa essere la comunità di Amore?
* Padre Pino Piva SJ, sacerdote dal 1989, gesuita dal 1996, si occupa di esercizi spirituali ignaziani e spiritualità delle frontiere.
> Slide bibliche dell’incontro “Famiglie Fortunate” (file PDF)