Crescere trans. Caleb e il suo cammino nell’identità maschile
Testimonianza di Caleb Ashmeade rilasciata a Zosia Bielski, pubblicata sul sito del quotidiano The Globe and Mail (Canada) il il 16 luglio 2015, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Fin dall’età di quattro anni Caleb sentiva di essere nato nel corpo sbagliato. Questo diciottenne di Vancouver ha fatto coming out all’età di 14 anni e ha affrontato la transizione con il sostegno della sua famiglia, incluso suo padre, un bodybuilder. Sta per affrontare l’intervento di riassegnazione e vuole prendersi un anno sabbatico prima dell’università: ha intenzione di studiare turismo.
Giocavo con le macchinine e l’Uomo Ragno e sono sempre stato irremovibile nel voler vestirmi da maschio. La gente mi prendeva sempre per un bambino. Nelle occasioni speciali dovevo vestirmi da bambina ma, al di fuori di quelle, facevo fuoco e fiamme. Proprio non mi ci sentivo bene. Nella mia testa ero sempre stato un ragazzo ma non conoscevo il termine corretto: transgender. Quando, all’inizio delle scuole medie, il mio corpo cominciò a cambiare, non ero preparata. Era brutto perché molti dei maschietti della mia classe stavano anch’essi entrando nella pubertà: pensavano tutti a quella cosa e io non sapevo che fare. Capivo che ben presto sarebbero stati necessari dei drastici cambiamenti. Le prime persone con le quali uscii allo scoperto furono le mie amiche intime: sapevo che avrebbero capito e in effetti già lo sospettavano. Un’altra forte spalla fu la mia counselor del liceo, una di quelle persone molto dirette che amano gli abbracci.
Il primo famigliare a cui lo dissi fu mio papà. Eravamo in macchina, stavamo tornando dalla mia lezione di chitarra: “Ultimamente mi sembri un po’ giù. Cosa c’è?”. Non riuscii a trattenermi e gli raccontai cosa mi stava succedendo: che non volevo più andare a scuola perché non mi sentivo come le altre. Lui disse: “Se è così che ti senti e se è questo che devi fare per sentirti bene, allora OK”. Sentirlo dire questo fu molto importante. Tutto un peso scaricato dal petto: proprio così. Nessuno nella mia famiglia aveva mai visto qualcosa di simile. Quattro anni fa era una cosa che potevi vedere in uno speciale della CNN. Mia madre non era sicura che dovessi farlo; ero la sua primogenita e mi disse: “È come se stessi perdendo mia figlia”. C’è voluto del tempo perché lo accettasse pienamente.
Oggi mi trovo a disagio con il fatto di avere molti amici maschi perché su molte cose non riesco a sintonizzarmi con loro. Qualche volta mi dico “Amico, non ho idea di cosa stiate parlando”. È più difficile per me parlare con i ragazzi. Sono stato allevato da femminuccia, ho una sorella più giovane e solo cugine femmine. Mi trovavo bene a parlare con loro. Anche se mi sono sempre sentito molto maschio, quando vieni identificato fin dal principio come tale tutto è molto diverso. Sto cercando di adattarmi a vedere tutto come fanno i maschi. Sto ancora imparando ad accettarmi in quanto persona transgender. La disforia a volte picchia duro e ti fa vedere tutto nero. Arriva a ondate e cambia volto. Prima volevo solo nascondere il petto. Ora che la situazione è migliorata vado in spiaggia e ai concerti e riesco a togliermi la maglietta in mezzo alla gente. Ora la disforia mi fa preoccupare soprattutto della metà inferiore del corpo.
Ora che sono diventato maggiorenne la gente mi chiede: “Cosa vuoi fare nella vita? Vuoi sposarti e avere dei figli?”. Avrò mai dei figli biologici? Quando avevo 15 anni ero preoccupato per il suono della mia voce e volevo avere delle braccia più grosse. Ora sto cominciando a entrare nella vita vera e non sarà facile cambiare certe cose. Non ho paura di restare da solo, come ho dovuto fare molte volte. Essere in grado di affrontare tutto questo mi ha reso più forte.
Testo originale: Growing up trans: Six teens open up about discovering who they really are. Caleb Ashmeade