Cristiani arcobaleno. I credenti LGBT che interrogano la Chiesa cattolica
Articolo di Vittoria Prisciandaro e Mauro Castagnaro pubblicato sul mensile cattolico Jesus, Agosto 2017, pp.38-44
I gruppi cristiani Lgbt sono presenti in Italia dagli anni ‘80. Dopo una fase “catacombale” oggi, grazie anche a una pastorale che punta di più su rispetto e accoglienza, hanno una maggiore visibilità nella comunità ecclesiale. E in alcune diocesi sono coinvolti a pieno titolo nelle parrocchie.
«Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?»: le parole di papa Francesco, nel luglio 2013, colpirono un po’ tutti. Era il richiamo al primato della coscienza, tipico del cammino di discernimento spirituale.
«A chi mi chiede un accompagnamento spirituale presento ciò che dice la Chiesa, lo aiuto ad avere un dialogo personale con Dio perché, in coscienza, trovi la sua strada; e continuo ad accompagnarlo»: padre Pino Piva è un gesuita, come Francesco. È stato responsabile del Centro ignaziano di spiritualità; da vari anni segue informalmente alcuni gruppi credenti Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).
A Napoli, con altri, a suo tempo ha attivato il percorso “A Chiesa aperta”, dove si «presenta il volto di una Chiesa che sa chiedere scusa per la mancata accoglienza e mette a disposizione le sue risorse spirituali»: lectio divina, esercizi spirituali, accompagnamento personale. Lo stesso con proposte simili anche a Roma. Dal 2014, insieme a don Christian Medos e suor Anna Maria Vitagliani promuove attività per una “spiritualità delle frontiere”. Con loro ha partecipato al convegno dell’ufficio famiglia della Cei, nel novembre scorso ad Assisi, dove Edoardo Messineo, 24 anni, del gruppo “Nuova Proposta” di Roma, ha portato la sua testimonianza.
I primi passi del movimento degli omosessuali cattolici in Italia avvengono «fra il 13 e il 15 giugno del 1980 al Centro ecumenico Agape, in provincia di Torino, dove si tenne il campo su “Fede e omosessualità” organizzato da don Franco Barbero, fondatore della Comunità di base di Pinerolo, e Ferruccio Castellano, giovane omosessuale volontario presso il Gruppo Abele», racconta Gianni Geraci, presidente del gruppo milanese “Il Guado”.
I partecipanti al campo erano un centinaio, con realtà diverse: «Alcuni volevano costruire un luogo in cui esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale e la propria fede cristiana ma evitando qualunque forma di visibilità; altri avevano già un passato di militanza nel movimento Lgbt e consideravano inutile un’aggregazione specifica degli omosessuali credenti; e altri ancora, sulla scorta delle aperture del Concilio Vaticano II vedevano la condizione omosessuale come un’opportunità per aiutare la Chiesa nel suo aggiornamento; un’opportunità solo se ci fosse stato un percorso di visibilità capace di interrogare la gerarchia».
Queste diverse sensibilità caratterizzeranno i primi gruppi: più incline alla testimonianza pubblica il torinese “Davide e Gionata”, promosso dallo stesso Castellano; più finalizzato ad aiutare le persone a maturare una fede adulta, educandole alla vita di relazione attraverso l’approfondimento della dimensione spirituale, il “Guado”; strumento per aiutare le persone a uscire dalla solitudine, evitando una proiezione esterna, infine, “In Cammino”, nato a Bologna nel 1983. Nel 1990 inizia un’esperienza nuova, quella dei “Fratelli dell’Elpis”, un gruppetto di omosessuali credenti ospitato, e poi inserito a pieno titolo – primo caso in Italia – nella parrocchia catanese del Santissimo Crocifisso della Buona Morte, guidata da don Pippo Gliozzo.
Dopo il Gay Pride romano del 2000 a don Barbero, unico ecclesiastico a partecipare al convegno “Omosessualità e religioni”, moltissimi omosessuali chiedono di incontrare una realtà ecclesiale capace di accoglierli per quello che sono. Così a Pinerolo nasce “La scala di Giacobbe”.
Negli anni i gruppi si sono moltiplicati, a macchia di leopardo, un po’ in tutta Italia. Per esempio “Kairos”, a Firenze, saltuariamente accompagnato da suor Fabrizia Giacobbe, autrice del volume Sulle tracce di un Dio amico. Vattimo e il cristianesimo. Molti gruppi, dice Andrea Rubera portavoce di “Cammini di speranza” – la prima associazione nazionale di cristiani Lgbt -, sono nati da persone che, non potendo vivere la loro omosessualità in maniera esplicita in parrocchia, hanno deciso di vedersi nella case. E ciò «ne rappresenta anche il limite perché sono rimasti in un’atmosfera un po’ catacombale aspettando che le cose cambiassero».
Da questa esigenza – «fare proposte condivise, consapevoli che nella Chiesa ci siamo già, senza il bisogno del permesso di qualcuno» – è nata “Cammini di speranza”, cui aderisce l’associazione “Ponti sospesi” di Napoli. Antonio De Chiara ed Edoardo De Cristofaro, in coppia da 21 anni, sono due tra gli undici fondatori di una realtà (ndr come Ponti Sospesi) che 15 anni fa si è costituita – «come un ponte tibetano sospeso tra le due sponde» – per quanti non trovavano spazio per vivere la loro fede in parrocchia o nelle aggregazioni ecclesiali.
Il rapporto con la diocesi, cercato più volte, è inesistente. «Da noi c’è un clima di assoluto rispetto della privacy. Siamo ospiti tra la chiesa dei valdesi a Napoli e una parrocchia di Pozzuoli. Alle riunioni arrivano persone dai 20 ai 70 anni. Con l’aiuto di professionisti, religiosi e psicologi, ogni anno organizziamo un percorso a tema». Anche per “Ponti sospesi” l’appuntamento clou del cammino annuale è la veglia di preghiera che si celebra intorno al 17 maggio, giornata per le vittime dell’omofobia.
A livello nazionale da dieci anni svolge un ruolo di coordinamento il portale www.gionata.org, curato da una ventina di volontari uomini e donne, omosessuali e non, cattolici, valdesi, battisti, veterocattolici, provenienti da movimenti, gruppi di credenti omosessuali, esperienze di vita consacrata. «Abbiamo scelto di parlare di fede e omosessualità perché crediamo che i tempi siano maturi per avviare una discussione seria e serena su queste tematiche», dice Innocenzo Pontillo. “Gionata” ha raccolto e diffuso circa 1.800 testimonianze e articoli; ha dato vita a Gabriel Forum, uno spazio di discussione online su “fede e omosessualità”; ha favorito la nascita del Forum dei cristiani Lgbt Italiani; fa conoscere il lavoro dei teologi cattolici o evangelici che lavorano per costruire «Chiese sempre più inclusive».
È difficile conoscere il numero di aderenti ai gruppi: «Le persone attive sono meno di duecento e quelle che ne fruiscono sono forse un migliaio. Oltre a quelli sparsi che, anche grazie alle nuove tecnologie, possono mettersi in rete», dice Rubera. Esistono poi anche gruppi che preferiscono non essere assimilati alle esperienze finora descritte, e fanno dell’affermazione dottrinale che parla dell’omosessualità come «inclinazione oggettivamente disordinata» il riferimento principale per un cammino personale di fede.
In Italia è approdata l’esperienza di “Courage”, che considera la tendenza omosessuale al pari di una dipendenza, il cui rimedio – nella preghiera – è l’astinenza sessuale. Il gruppo preferisce non rilasciare dichiarazioni per preservare la propria specificità, dice il portavoce Alberto Corteggiani.
Finora il movimento degli omosessuali credenti, almeno nella Chiesa cattolica, ha sempre camminato nelle strade più periferiche della pastorale; anche perché la Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali della Congregazione per la Dottrina della Fede, il documento del 1986 che per primo ha trattato l’argomento, definiva la questione in termini di «problema pastorale»: «Pur nella bontà delle intenzioni, prevalentemente sottolineava le difficoltà dell’accoglienza e indicava precauzioni», spiega padre Piva. Tra queste, il divieto di dare qualsiasi tipo di appoggio (celebrazioni religiose, uso di edifici appartenenti alla Chiesa, ecc.) a quei gruppi che non aderissero completamente alla dottrina della Chiesa in materia di morale sessuale. Col Catechismo i toni diventano meno difensivi e l’atteggiamento più pastorale. Fino all’esortazione postsinodale Amoris laetitia, in cui si insiste di più sull’accoglienza, il rispetto e la comprensione della condizione personale.
Dopo 30 anni di ricerca scientifica e di cambiamenti culturali la Chiesa si sta ponendo un po’ di domande ed è soprattutto la prassi pastorale a indicare nuovi cammini. Oggi si chiede «un’esperienza di inclusione totale delle persone omosessuali nelle Chiesa e il bisogno di preparazione e formazione nell’ambito delle singole parrocchie», come sostiene il contributo al Sinodo sulla Famiglia preparato dal gruppo “Fratelli di Elpis”. Il documento nasce dal dialogo con l’arcivescovo locale Salvatore Gristina, che volle incontrare il gruppo nel corso della visita pastorale del giugno 2012. E che fu presente, insieme all’arcivescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana, il 7 maggio 2015, al convegno per celebrare i 25 anni del gruppo, sul tema “Omosessualità: dall’accoglienza al riconoscimento?”.
Anche a Torino, nel 2005, l’allora arcivescovo Severino Poletto incaricò due sacerdoti diocesani di costituire un tavolo di dialogo con alcune realtà di credenti omosessuali attive sul territorio, in vista del Pride nazionale del 2006. La collaborazione portò alla stesura di un piccolo manuale di accompagnamento (Valter Danna, Fede e omosessualità, Effatà editrice). Dal 2013 l’incaricato dall’arcivescovo è don Gian Luca Carrega, il quale, con una piccola équipe, sta curando una nuova fase del cammino pastorale, intitolato “Alla luce del Sole”: «Incontri di spiritualità per persone omosessuali in ricerca di una maggiore visibilità all’interno della comunità cristiana, con iniziative tenute in ambito parrocchiale e case religiose». L’équipe tiene contatti con le iniziative analoghe che si svolgono in altre diocesi e cerca di rispondere alle richieste di approfondimento che giungono da parrocchie o gruppi. «La visibilità delle unioni civili sta aiutando le nostre comunità cristiane a crescere nella consapevolezza della presenza di credenti seriamente impegnati in un cammino di responsabilità civile e di fede, ma questo processo deve essere accompagnato per evitare che diventi un’imposizione di un dato di fatto o che venga osteggiata in forma aprioristica da chi nega qualsiasi valore a un’unione omosessuale», dice don Carrega.
A Parma innovativa è l’esperienza del gruppo “Davide”, di cui fanno parte Michela e Corrado, sposi da 42 anni con tre figli e cinque nipoti, da anni attivi nella pastorale famigliare parrocchiale e diocesana. «Quattro anni fa Simone, nostro figlio omosessuale che avevamo accolto e amato come tale 10 anni prima, ci ha provocato dicendo: “Voi che fate così tanto per gli altri cosa fate, non tanto per me, ma per quelli come me che vengono allontanati o rinnegati dalle proprie famiglie e dalla Chiesa?”». La risposta è stata l’uscire allo scoperto, prima nel contesto diocesano e poi in quello nazionale. «È nato così il gruppo “Davide”, composto da otto coppie di genitori e alcuni ragazzi gay, due dei quali abbiamo accompagnato alla loro unione civile».
Nell’ultimo anno il gruppo ha iniziato un percorso di accompagnamento a sette coppie credenti omosessuali che vogliono unirsi civilmente. «Non volevamo lasciarli soli. Volevamo donare loro la nostra esperienza di fede nella vita di coppia. In realtà loro stessi ci hanno fatto dono di sé e del Cristo che già vive in loro», dicono Corrado e Michela.
Una coppia (ndr di genitori) ha fatto nascere a Reggio Emilia un gruppo parrocchiale in cui cristiani etero e omosessuali si confrontano, pregano e camminano insieme nei locali della parrocchia Regina Pacis. «Il gruppo non ha mai voluto darsi un nome specifico proprio per sentirsi inserito nella vita pastorale normale della parrocchia», dice don Paolo Cugini. Il che vuol dire articoli nel giornalino dell’unità pastorale e momenti formativi e di preghiera negli spazi dell’oratorio aperti ai parrocchiani.
Ha dieci anni l’esperienza del gruppo “Alle querce di Mamre”, sorto a Cremona per volontà dell’allora vescovo Dante Lafranconi. «Il nome dice di una comunità e preghiera A destra: un momento di preghiera fra i partecipanti al Forum europeo 2010 di Barcellona. “scommessa” che noi da una parte, solo cinque all’inizio, e il vescovo dall’altra abbiamo fatto sulla reale volontà di mettersi in dialogo. E sul fatto che l’incontro con Dio avviene anche così», dice Sergio Caravaggio. «Anzitutto si incontrano persone e non idee, perché il dialogo è giocato su aspetti non solo teologici ma anche emotivi, culturali, esperienziali e relazionali, che vanno al di là delle posizioni ideologiche». Un dialogo che si è rivelato «fecondo, in termini di comprensione delle reciproche posizioni, di abbassamento del livello di conflittualità, di integrazione nella vita della Chiesa». Anche a Cremona è chiara la sensazione che «sia giunto il momento di aprire il gruppo all’esterno. Abbiamo discusso col nostro referente, don Antonio Facchinetti, un programma da sottoporre al vescovo – ora è Antonio Napolioni – che prevede maggiore impegno del gruppo in ambiti parrocchiali e diocesani», aggiunge Caravaggio.
Per il Sinodo del 2018 i giovani delle associazioni Lgbt stanno raccogliendo suggerimenti da inviare ai padri sinodali, mentre ferve l’organizzazione del pellegrinaggio sulla via Francigena. «Si parte il 31 luglio e si arriva a Roma il 12 agosto per partecipare la domenica all’Angelus del Papa in piazza San Pietro», dice Felice Cinquemani, 24 anni, membro sia dei giovani di “Nuova Proposta” sia del gruppo della sua parrocchia a Roma. Felice parla di un percorso di conoscenza di sé nel quale «ho capito che la mia omosessualità non è una croce, ma può aiutarmi a vivere la mia fede. Oggi vado nei gruppi Lgbt laici a dire ai tanti che si sono allontanati, perché si sono sentiti rifiutati, che l’amore di Dio tocca tutti».
«Una persona Lgbt che vive una autentica esperienza di fede, per quanto problematica – o proprio perché tale – può essere testimone della cura di Dio per ciascuno. Come afferma il gesuita statunitense, James Martin, nel suo libro Building a Bridge (Costruire un ponte), il Catechismo insiste perché anche le persone Lgbt vengano trattate con rispetto, delicatezza, accoglienza. Nella pastorale ordinaria ormai si sta valorizzando anche la testimonianza di fede delle persone divorziate e in nuova unione: pur non negando aspetti problematici – chi non ne ha? – si aprono per loro spazi di servizio ecclesiale e partecipazione comunitaria», dice padre Piva. «Questo non significa che il divorzio venga giustificato, tutt’altro! Ma, pur vivendo in maniera “non regolare” la loro vita affettiva, queste persone possono essere integrate nella comunità cristiana e incontrare il Signore. La stessa cosa dovrebbe essere permessa alle persone omosessuali».