Cronache di ordinaria omotransfobia. Parlano i numeri
Articolo di Massimo Battaglio* pubblicato sul settimanale Adista Segni Nuovi n.23 del 19 giugno 2021, pp.4-5
Nel dibattito sul ddl Zan e l’omofobia, è il momento di ricentrare l’attenzione sulla realtà, evitando il continuo proliferare di notizie e interpretazioni del tutto fuorvianti se non completamente false. Lo faremo con i numeri, utilizzando le “Cronache di Ordinaria Omofobia”, ricerca che lo scrivente sta coordinando da quasi dieci anni, reperendo informazioni quotidiane su casi e vittime di omotransfobia e incrociandole tra loro.
Dal novembre 2012 a oggi (ndr maggio 2021), ho registrato 969 episodi per un totale di 1.280 vittime. Si tratta di quasi una vittima ogni due giorni, 148 all’anno (ma il dato è in forte aumento), solo tra quelle che hanno avuto il coraggio e la possibilità di denunciare i torti subiti. Nulla a che vedere con il numero di 35 che circola sui giornali di destra.
Quello, se mai, indica i processi conclusi. E il dislivello tra i due numeri fa capire quanto sia necessario uno strumento giuridico che permetta di identificare un atto omofobo nella sua gravità e di renderlo realmente perseguibile.
Oggi, quando parliamo di omofobia, tendiamo a pensare quasi unicamente a questioni di opinione, magari espresse un po’ sopra le righe. Anche questa idea è fuorviante. Nella “Cronache” infatti, non ho nemmeno considerato questa forma di violenza minima (per quanto grave), che non costituisce reato grave e non lo costituirà nemmeno dopo l’approvazione della legge.
Ho invece registrato omicidi (30 vittime), suicidi indotti (44 mortali e 10 tentati), aggressioni fisiche personali (340 vittime) o plurimi (260 vittime) e atti non fisicamente aggressivi ma di rilevanza penale (594 vittime). Ho cioè selezionato solo quegli atti che già oggi prevedono teoricamente una punizione e che la legge Zan propone di identificare con maggior chiarezza e di risarcire con misure più gravi.
La forma più diffusa di manifestazione omofoba è quindi quella della violenza fisica (49% delle vittime), spinta talvolta fino all’omicidio (2%). Si ripetono assalti personali improvvisi e immotivati, lesioni anche gravi e talvolta permanenti, episodi criminali tra i più efferati.
Penso al caso di Marta Baroni, trans di 36 anni che, il 23 agosto 2016, fu ritrovata morta in un bidone della spazzatura; penso a Vincenzo, vittima di un caso di omofobia interiorizzata, il cui cadavere fu rinvenuto dopo mesi dalla sua scomparsa, fatto a pezzi e sparpagliato nei vari quartieri di Napoli.
O penso ancora a Maria Paola, speronata e uccisa dal fratello mentre fuggiva col fidanzato in motorino. In questi ultimi due casi, è stato possibile individuare il colpevole. Negli altri 28 no. Delitti perfetti.
Sui suicidi: il loro numero è sicuramente sottostimato poiché è difficile, per i parenti e amici delle vittime, rendere pubblico il loro atto estremo, tanto più quando è determinato da cause che si teme possano infangarne la memoria. Si sono conteggiati solo i 43 episodi in cui la motivazione omofoba era inequivocabile, come nel caso del ragazzo che, il 26 ottobre 2013, si gettò da un palazzo del Casilino a Roma dopo aver lasciato un biglietto in cui raccontava la propria disperazione.
Tra le vittime di atti non aggressivi, troviamo molti ragazzi e adulti cacciati di casa. In 30 hanno reso pubblica la propria storia, ma almeno cinque volte tanto sono quelli che hanno trovato ospitalità nelle strutture di accoglienza delle associazioni lgbt (non ne ho registrato le vicende per ragioni di privacy) o tenuti in stato di segregazione dai parenti.
Assistiamo poi a storie di mobbing o di licenziamento pretestuoso, di espulsione da locali o luoghi pubblici, di danni materiali (automobili sfregiate, scritte sotto casa, devastazione di appartamenti o negozi con tanto di “didascalia” sui muri), minacce di morte.
Gli ambienti in cui si verifica l’omofobia sono innanzitutto la strada e i non-luoghi come stazioni o parcheggi (41%). Seguono i luoghi del tempo libero (16%) e, a pari merito, la famiglia (16%). La scuola e i posti di lavoro stanno al 5%. Nel primo caso, il dato evidenzia come i giovani con istruzione sono meno omofobi.
Nel secondo, temo che il piccolo numero si debba piuttosto alla paura di denunciare colleghi, superiori o clienti. Alcuni episodi omofobi si sono registrati in pubblici uffici (4%), altri in ambienti religiosi (2%). Col lockdown è esploso il fenomeno dell’omofobia via web, che, insieme ad altre manifestazioni, colpisce l’11% delle vittime. Si tratta di video compromettenti (se compromettente può essere un bacio su una panchina) o di minacce ripetute oltre i limiti dello stalking.
La maggior parte delle vittime (57%) ha meno di trent’anni. Nelle successive fasce d’età, il numero di vittime denuncianti decresce (dal 16% tra i trenta e i quarant’anni, allo 0,1% sopra gli 80). Questo può voler dire che i giovani lgbt, avendo molte meno remore a mostrarsi in quanto tali, si rendono più esposti ad aggressioni, mentre le persone più adulte hanno maturato strategie di autodifesa come il nascondimento (il che è già indice di omofobia) oppure che i più anziani sono talmente abituati a trattamenti discriminanti, che non li denunciano più.
Il 72% delle vittime è di sesso maschile. Per il 16% sono donne o ragazze lesbiche; per l’11% donne trans e l’1% uomini trans. Viene da pensare che i maschi abbiano maggior propensione a denunciare mentre le femmine tendono a sopportare nel silenzio (chissà quante altre se ne nascondono nel dislivello tra le due percentuali).
Ma è anche evidente che l’omofobia è figlia del maschilismo. L’omofobo tende cioè a colpire chi si allontana dallo stereotipo virile. Da qui si spiega l’alto numero di aggressioni contro trans M>F (da Maschio a femmina).
Va sottolineato che le 150 vittime trans (di cui 15 uccise) sono un numero enorme, soprattutto se si pensa alla loro incidenza sulla popolazione nazionale. Se infatti le persone omosessuali e bisessuali superano il 5% degli italiani, quelle transessuali non arrivano all’1%.
È quindi a causa della maggior esposizione, e non di chissà quale capriccio ideologico, che si rende indispensabile che la legge contro l’omotransfobia si rivolga innanzitutto a loro.
* Massimo Battaglio è animatore del progetto Cronache di Ordinaria Omofobia (https://www.omofobia.org) volto a censire i casi di omotransfobia in Italia.
Per approfondire> Cronache di Ordinaria Omofobia.org