Da acqua a vino. Le nozze gay di Gesù a Cana
Articolo di Terence pubblicato sul blog My queer spirituality (Inghilterra) l’8 agosto 2010, liberanente tradotto da Silvia Lanzi
Ieri mi sono tuffato su due libri, e ho trovato due idee che si sono amplificate l’un l’altra con un effetto molto potente, specialmente in questo contesto di avanzata del matrimonio gay e della conseguente opposizione dei vescovi. “Take Back the Word” (di Robert Goss) è una raccolta di saggi sulle Scritture che ha lo scopo di portare noi cristiani queer al di là delle battaglie con i “testi del terrore”, ad un approccio più vicino a quella che dovrebbe essere una fonte di ispirazioni e valori per le nostre vite. “Queer Theology: Rethinking the Western Body” (di Gerard Loughlin) è un’altra raccolta, più ampia e ambiziosa, di scritti su una gamma di dimensioni della fede in una prospettiva queer.
Nell’introduzione del suo libro, Loughlin riflette sulla storia dei festeggiamenti delle nozze di Cana, (Gv. 2: 1-11) a cui generalmente pensiamo in termini della trasformazione di acqua in vino. Immediatamente ho pensato a questa come una meravigliosa immagine alternativa per “Take Back the Word” di Goss. Una cosa è per noi andare oltre la paura delle Scritture ad un punto dove c’è l’acqua della vita: ma come possiamo andare ancora oltre – al vino della celebrazione? Credo che questo sia quello che fa Elizabeth Stuart nel brano “Camping Around the Canon“, che termina con qualche considerazione sulle nozze. Il suo punto di vista è che dobbiamo essere capaci di accostarci alle Scritture ridendo – cosa che è assente dalla pratica religiosa.
Dopo una concisa esposizione della giustificazione storica e teologica di tale approccio, ci offre un’idea di quello che vuol dire discutendo Efesini, 5:21-33 (“Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti“), brano usato spesso nei matrimoni e che per le donne può diventare facilmente un “testo della paura“. Sentirlo leggere durante i matrimoni l’ha lasciata piena di rabbia. Ma un’analisi di Gerard Loughlin ha cambiato la sua reazione dal tragico al comico, perché la lettura “eteropatriarcale” e indeterminata
è lavata dalle profonde acque dei simboli cristiani, nella misura in cui le donne fanno parte del Corpo, anche loro sono chiamate ad essere Cristo per gli altri; per questo possono agire come “sposo” e “marito”, nei confronti di quella “sposa” e “moglie” che è l’altro, sia esso uomo o donna. Perché non si può dire che, nella comunità, solo gli uomini sono chiamati ad amare come fa Cristo”. (Gerard Loughlin, “Baptismal Fluid”, inedito citato da Stuart)
Stuart commenta: la lettura del testo che ne fa Loughlin lo ha trasformato in un testo queer. Proprio la sua incongruenza con l'”originale” basta a far ridere. Trovo divertente che questo passaggio si legga così spesso e solennemente durante i matrimoni, le grandi cerimonie dell’eteropatriarchia.
(Stuart, Camping Around the Canon, in Goss “Take Back the Word”)
Ricordo che proprio la mia esperienza mi ha dato una simile intuizione e un’occasione di riso. Ero in ritiro, e mi sono trovato a pensare alla Chiesa come sposa di Cristo, e ho capito che come gay, condividevo la stranezza (per un etero) di immaginare me stesso come “sposa“, mentre invece ero capace di immaginarmi, nelle mie meditazioni, che hanno assunto un potere incredibile, come “sposo” di Cristo. Pensandoci più tardi, ho provato soddisfazione e la voglia di sorridere, pensando che il mio orientamento, mi dava un vantaggio unico nella preghiera.
Ciò mi ha lasciato con una recettività predisposta alle principali idee di Loughlin riguardanti le nozze di Cana. Invece di considerare il miracolo della reasformazione egli chiede: “Chi si è sposato?”. E risponde alla domanda per gradi.
Per prima cosa, sottolinea che la storia potrebbe essere letta come una parabola, un’anticipazione dell’ultima cena, della passione e della resurrezione. Le nozze si celebrano il “terzo giorno” dopo che Gesù ha parlato a Natanaele (Gv. 1:43 -51), e la trasformazione dell’acqua in vino anticipa la trasformazione del vino nel suo sangue.
La messa ripercorre in modo liturgico questi tre giorni. Così l’idea è che, simbolicamente, nella meditazione della Chiesa su questi avvenimenti, noi tutti siamo invitati alle nozze, durante le quali Cristo sposa la sua Chiesa. Ad un livello più letterale, egli sposa i suoi discepoli. Quindi Loughlin continua a discutere una idea più letterale e affascinante della Chiesa delle origini e di quella medievale – che era invece Cristo a sposarsi con Giovanni, il suo amato discepolo.
Questa idea prende forma negli apocrifi Atti di Giovanni in cui si dice che Giovanni rompe il suo fidanzamento con una donna per “legarsi” a Gesù. Apparentemente questo è una sorta di fil rouge in certe correnti di pensiero tedesche, almeno fino alla Riforma, illustrato in alcune opere d’arte.
Il “Libellus per Giovanni Evangelista“, è un dipinto dei festeggiamenti delle nozze che si dice mostri un Cristo barbuto seduto vicino ad un Giovanni glabro e androgino che, dice Loughlin, sembra apprestarsi a baciare. Nell’Admont Codex che illustra le Orazioni e meditazioni di sant’Anselmo, una miniatura in due parti mostra la storia di Giovanni. In una, lo si vede lasciare la sua fidanzata. Nella seguente, egli se ne sta sul pavimento con la testa sul petto di Gesù, mentre quest’ultimo gli accarezza teneramente il mento.
Questa tradizione è vera? Non possiamo saperlo. Come in così tanti esempi delle Scritture, è impossibile attraversare le nebbie di un linguaggio che non ci è famigliare, di una tradizione letteraria diversa e di un contesto storico-culturale remoto per avvicinarci alla “verità” letterale oltre il testo. Non importa. Anche senza accettare l’idea il modo letterale, per me è abbastanza sapere che una volta essa era largamente accettata nella tradizione mistica per poterla incorporare nella mia sensibilità di lettore.
Lo spasso inizia quando Loughlin va oltre il “significato” del testo trovandone l’ironia. Allora, in pieno accordo con Elizabeth Stuart, mi trovo praticamente a ridere delle (meglio dire con le) Scritture. Perché se è vero che la consacrazione del vino eucaristico nel sangue di Cristo è prefigurato dalla trasformazione dell’acqua in vino avvenuta a Cana, è anche vero che in ogni messa ricordiamo le nozze di Cristo con i suoi discepoli (maschi). Così si può vedere ogni messa come un unione matrimoniale mistica – e gay.
La messa è celebrata da un prete che si è impegnato al celibato, rinunciando così a procreare, ma ci si aspetta che predichi contro il matrimonio omosessuale – perché dal momento che il rapporto omosessuale non porta alla procreazione esso è “intrinsecamente disordinato“. Di contro il sacerdozio è gestito, in Vaticano, da una simile consorteria di uomini celibi che si riproduce con il “reclutamento” e non biologicamente – e castiga la comunità omosessuale per la sua riproduzione non biologica, ma sociale.
“La minaccia portata alla famiglia e alla società da gay e lesbiche spesso è proclamata da uomini – che si fanno chiamare “padri” – che hanno fatto voto di non generare dei figli. Il papa vive in compagnia di tali uomini – che sono diventati “eunuchi” per Cristo – che si moltiplicano persuadendo gli altri a non farlo. Ma anche il rifiuto della fecondità, ovvero uno stile di vita celibatario, non è una minaccia alla famiglia e alla società?” (Loughlin, introduzione a “Queer Theology”)
Testo originale: Water into Wine: Jesus’s Gay Wedding at Cana