Da Emmaus a Gerusalemme: viaggio per esseri umani che hanno il coraggio di essere umani
Riflessioni bibliche di Giuseppe M., volontario del Progetto Gionata, seconda parte
I discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35) mi hanno insegnato a benedire l’inquietudine. Cosa è l’inquietudine? È la domanda di felicità incandescente che ci portiamo dentro. E tutto quello che è incandescente, brucia. “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso” (Lc 12, 49) dice Gesù. Non dobbiamo cedere alla tentazione di spegnere questo fuoco. Un uomo senza aspettative, senza sete, è un uomo morto.
Scrive San Giovanni Della Croce: «…di notte andremo, senza luna / Senza luna andremo, senza luna / che per trovare la sorgente / basterà, a illuminarci, la nostra sete». Non c’è uomo che non è incrociato da Cristo perché Cristo è nascosto in ogni inquietudine.
Dobbiamo accogliere i nostri momenti di crisi e le nostre inquietudini… perché ci dicono che siamo ancora vivi, vivi a tal punto che stiamo male per le cose. Vivi a tal punto che c’è una parte di noi, tipo la nostra ansia, che ci sta dicendo qualcosa, che sta suonando un campanello di allarme. Solo Cristo è l’unico che può parlare a quell’ansia, a quella paura, a quell’inquietudine.
In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità;
è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate;
è Lui la bellezza che tanto vi attrae;
è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso;
è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita;
è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare.
È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna. (Giovanni Paolo II ai giovani di Roma, Tor Vergata GMG 2000)
Delle volte pensiamo che la vita spirituale è risolvere una volta per tutte la nostra inquietudine… tutt’altro: la vita spirituale è lasciare che Gesù ci trovi nella nostra inquietudine. È proprio da lì nasce in noi non tanto il desiderio di una spiegazione, ma il desiderio di restare con Lui. “Egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro”.
Nella vita si cresce quando si comprende che ciò che stiamo cercando non è una spiegazione ma Qualcuno. Cristo non risponde a tutti i perché esistenziali della nostra vita. Io per esempio vorrei tanto sapere perché sono gay. Vorrei sapere perché la mia vita sembra così difficile.
Noi tempestiamo il Cielo di “perché”… pensando che l’unica cosa che può ridarci di nuovo sollievo siano i concetti… ma arriva un momento nella vita in cui incontriamo una persona e non una semplice spiegazione e pur capendo poco, pur vedendo poco… chiediamo a Cristo di restare con noi. “Non spiegarmi più niente, non dirmi più niente, non voglio sapere niente, non voglio sapere la risposta… ma ti prego rimani con me”.
Mi colpisce tanto in questo Vangelo il fatto che dopo l’incontro con Cristo, i due protagonisti non vadano avanti, ma tornino indietro. Perché a volte si va avanti non per scelta, ma solo perché abbiamo smarrito la strada e preferiamo far vinta di nulla, cercando novità nel domani e fuggendo dalla delusione del passato. Il futuro non può essere una fuga o un nascondimento da ciò che eravamo e da ciò che ci è capitato.
La vera esperienza di fede deve necessariamente investire il passato. Dopo aver incontrato Cristo siamo chiamati a tornare indietro e perdonare. Perdonare cosa? La nostra storia passata. Perdonare nostro padre, nostra madre, i nostri amici, i nostri peccati, i torti ricevuti, le ferite che abbiamo inferto agli altri e quelle che gli altri hanno inferto a noi, i tradimenti subiti, le fughe fatte per paura, i nostri errori e quelli degli altri.
Dobbiamo perdonare di non essere stati amati da Dio da chi doveva farlo.
Non possiamo solo andare avanti e dimenticare. Finché non perdoniamo, tutto ciò che è stato continuerà a produrre in noi morte e tristezza, rancore e rabbia, rassegnazione e depressione.
Siamo chiamati a riconciliarci con la nostra debolezza, con la nostra storia, con quello che abbiamo subito, con quello che siamo nel profondo di noi stessi, quello che nessuno vede ma che in un certo senso, ci definisce. Se tutto questo non è toccato dall’esperienza dell’amore di Dio, ma è semplicemente nascosto o dimenticato, non diventeremo mai ciò che dovremmo essere. Mi piace pensare che i discepoli di Emmaus tornino indietro perché vogliono insegnarci questo. In attesa che la Pentecoste, spalancando porte e finestre, scaraventando tutti fuori, ci spinga ad andare avanti.
Se abbiamo incontrato veramente il Risorto, dobbiamo imparare a volerci bene. E volerci bene è dire la verità su noi stessi senza paura e con una tenerezza infinita. Il nostro passato è un figlio da prendere in braccio e da baciare. Un figlio che ha bisogno di sentirsi accettato e voluto.
Il Cristianesimo, prendendo in prestito le parole di Marco Mengoni, è per esseri umani che hanno il coraggio di essere umani.