Religione e persone omosessuali. Una ricerca fa luce su questo controverso rapporto
Intervista di Innocenzo Pontillo alla dott.ssa Arianna Petilli del 23 novembre 2010
L’omofobia come condiziona la vita delle persone omosessuali non credenti e soprattutto di coloro che si professano cattolici? In che misura il cammino dei gruppi di cristiani omosessuali aiuta i gay e le lesbiche credenti a superarla?
A queste e a altre domande ha cercato di offrire delle indicazioni la tesi di laurea dalla dott.ssa Arianna Petilli, laureata in Psicologia Clinica e della Salute all’Università degli Studi di Firenze, con una ricerca in cui ha indagato, da un punto di vista psicologico, il rapporto tra religione e omosessualità.
Il lavoro di ricerca, che ha coinvolto 366 persone omosessuali distinte tra cattolici e non credenti, è stato condotto insieme al professor Davide Dèttore (Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale, ed. McGraw-Hill, 2001), la dottoressa Antonella Montano (Psicoterapia con clienti omosessuali, ed. McGraw-Hill, 2000) e il professor Giovanni Battista Flebus.
L’indagine ha visto in prima fila le donne e gli uomini del gruppo Kairos e dell’associazione Ireos di Firenze nonché di altre realtà associative omosessuali, credenti e non, sparse tra Roma, Milano e Pinerolo (Torino).
Il 28 novembre 2010 i risultati di questa ricerca saranno presentati al grande pubblico al Florence Queer Festival nell’ambito della rassegna cinematografica su fede e omosessualità che avrà luogo al cinema Odeon in piazza Strozzi a Firenze.
Cerchiamo di saperne di più su quanto emerso da questa ricerca, una tra le prime in Italia a coinvolgere le persone che frequentano i gruppi di cristiani omosessuali, facendo alcune domande alla dott.ssa Arianna Petilli.
Come nasce il tuo interesse per questo argomento?
Negli ultimi anni ho letto diversi libri che affrontavano il “tema omosessualità” che mi hanno enormemente incuriosito e ho conosciuto molti ragazzi gay e ragazze lesbiche a cui sono tutt’oggi legata.
Questo, già da tempo, mi aveva portato a decidere che la mia tesi sarebbe stata una ricerca dedicata all’omosessualità e alle persone omosessuali.
Approfondire la questione religiosa, nel modo in cui viene vissuta dagli omosessuali credenti, è stata invece una scelta derivata dal constatare che, in proposito, gli studi disponibili in letteratura sono piuttosto carenti.
E’ stato quindi per me estremamente stimolante affrontare un argomento nuovo su di cui ancora molto c’è da studiare.
Non ci sono quindi stati studi simili in passato?
Come dicevo si tratta di un argomento che è stato piuttosto trascurato dalla letteratura scientifica internazionale e soprattutto italiana. Ciononostante molte ricerche si sono focalizzate sulla difficoltà, per gay e lesbiche credenti, di costruire un’identità in cui religione e omosessualità siano integrate con successo.
Quello che spesso accade, come appunto evidenziano tali ricerche, è che le persone omosessuali percepiscano un profondo conflitto tra le loro credenze religiose e le loro preferenze sessuali e che, nel tentativo di ridurre la contraddizione sperimentata, decidano di dover rinunciare a uno di questi due aspetti del sé.
Alcuni sceglieranno quindi di allontanarsi dalla Chiesa per continuare ad affermare la loro sessualità, altri invece, per preservare la parte credente di sé, decideranno di rinunciare alla loro attrazione fisica e sentimentale per persone dello stesso sesso.
Questo, come è ovvio, produce delle importanti ripercussioni sul piano psicologico perché rinunciare a una rilevante parte di sé, qualunque tra le due essa sia, non consentirà di sentirsi una persona davvero completa.
Cosa va dunque ad aggiungere di nuovo la tua ricerca?
La mia attenzione si è focalizzata sui gruppi italiani di cristiani omosessuali e sulle loro molteplici attività che sin da subito mi sono sembrate finalizzate a promuovere una maggiore integrazione tra religione e omosessualità.
Ho così cominciato a partecipare con regolarità agli incontri di Kairos, il gruppo di donne e uomini omosessuali cristiani di Firenze, e successivamente a contattare altri gruppi chiedendo la loro disponibilità a partecipare allo studio.
L’obiettivo era quello di verificare se gli atteggiamenti che gay e lesbiche nutrono nei confronti dell’omosessualità, valutati attraverso un questionario sull’omofobia interiorizzata, fossero condizionati dalla partecipazione a tali gruppi. I loro livelli di omofobia interiorizzata sono stati poi confrontati con quelli dei gay e delle lesbiche credenti che non hanno mai preso parte alle attività di questi gruppi e con quelli degli omosessuali non credenti.
Quali sono i risultati che si evincono dal tuo studio relativamente ai credenti omosessuali che frequentano i gruppi?
I risultati della mia ricerca suggeriscono che la religione sembra avere un ruolo ancora molto importante nell’influenzare i pensieri e sentimenti che una persona nutre circa la propria condizione omosessuale.
Tuttavia, all’aumentare del tempo dedicato alla frequentazione di un gruppo di cristiani omosessuali, gli atteggiamenti contrari all’affettività e sessualità omosessuale diminuiscono.
Questo proverebbe l’effettiva capacità dei gruppi di sostenere i partecipanti nel cammino di elaborazione e accettazione della loro identità di gay o lesbiche credenti.
La tua ricerca ti ha portato a conoscere vari gruppi di cristiani omosessuali italiani. Che impressione ne hai ricavato?
Penso che i gruppi svolgano un’importante funzione nella vita delle persone omosessuali credenti perché offrono un ambiente in cui poter vivere la propria sessualità alla luce dei valori religiosi e perché in grado di fornire una nuova interpretazione religiosa positiva dell’omosessualità.
Questo dovrebbe essere di aiuto specialmente per coloro che, non riuscendo a conciliare la loro fede con l’attrazione omoerotica, vivono l’omosessualità con un forte senso di colpa.
Sono comunque convinta che le conseguenze positive generate dalla partecipazione a un gruppo di cristiani omosessuali riguardino anche quei partecipanti che non percepiscono alcuna incompatibilità tra i principi religiosi e la loro sessualità.
Attraverso gli incontri dedicati alla conoscenza reciproca, al confronto e alla riflessione si riesce infatti a rompere l’isolamento individuale a cui donne e uomini omosessuali potrebbero essere costretti, a creare nuovi rapporti di amicizia, a fornire una profonda vicinanza affettiva nonché un valido sostegno nel processo di affermazione della propria identità. Questo, almeno per quella che è la mia esperienza, mi sembra che migliori il senso di benessere generale.
Da un punto di vista più personale, cosa ti ha lasciato l’incontro con le persone omosessuali che hai conosciuto?
Credo di essere molto cresciuta negli ultimi due anni. Ho capito che l’incontro mosso da un autentico desiderio di conoscenza sia il modo migliore attraverso cui abbattere ogni pregiudizio, ogni falsa credenza originata dai luoghi comuni, dalla scarsa voglia di confrontarsi con chi, per qualunque sua caratteristica, può essere altro da noi.