Da Gerusalemme ad Emmaus: viaggio per esseri umani che hanno coraggio di essere umani
Riflessioni bibliche di Giuseppe M., volontario del Progetto Gionata, prima parte
È Pasqua. Ma non tutti se ne sono accorti. Non se ne sono accorti, ad esempio, i due uomini che nel Vangelo di Luca (24, 13-35) stanno tornando a casa, ad Emmaus, con la coda tra le gambe. Percorrono quello che don Luigi Maria Epicoco in “Solo i malati guariscono” chiama “sentiero di ritorno”.
Lo scrittore racconta che quando era bambino, gli capitava di uscire di casa di buon mattino con tante figurine, in vena di fare affari con i suoi amici e per colpa della casualità dei numeri delle figurine, che decidevano della sua gioia o del suo dolore, a volte le perdesse tutte a favore dei suoi compagni. Allora doveva percorrere il suo sentiero di ritorno verso casa. Abbassava la testa, stringeva i pugni nelle tasche, rallentava il passo, sceglieva sconsolato la strada più lunga per fare ritorno.
Anche i due protagonisti di questo Vangelo sono tristi e delusi, ma la loro delusione è molto più grande, perché ha a che fare con le cose grandi della vita. Cristo li aveva affascinati, avevano pensato che in Lui ci fosse la risposta a quell’anelito che sentivano nel cuore. Tuttavia Gesù è morto, Crocifisso, in malo modo, fuori dalla città di Gerusalemme. E così sono rimasti spiazzati. Oramai sono convinti che dopo il Venerdì Santo non ci sarà più nessun altro vero giorno. Forse si sono illusi. Come faranno ora a tornare alla loro ordinarietà?
Anche a noi la vita spesso toglie l’incanto e ci fa scontrare con la nuda realtà. Ci sono cose che ci fanno così male da farci domandare se la nostra esistenza ha ancora un senso, se vale la pena continuare a vivere. Ma cosa resta di noi quando abbiamo perso tutto, speranza compresa? La nostra autenticità.
“Li ha saggiati come oro nel crogiulo” (Sap. 3, 6).
Noi non siamo le nostre aspettative, le nostre capacità, le nostre idee, i nostri calcoli, la nostra bellezza, la nostra capacità di tenere tutto sotto controllo. Non siamo neanche tutto quello che possediamo. Non siamo il castello di carte in cui viviamo.
Quando la vita ci toglie di dosso qualcuna di queste cose, in realtà sta scoprendo di noi una parte preziosa. D’oro puro.“Ma che splendore che sei nella tua fragilità…” canta Marco Mengoni in “Esseri umani”.
I sentieri di ritorno più che delusioni, sono esperienze di autenticità.
Quanto tempo ci vuole per percorrere questi sentieri? Il Vangelo non ci dà dei tempi. Mezz’ora? Tre ore? Un pomeriggio? Una serata? Un sentiero di ritorno può essere lungo anche dieci anni o durare per tutto il resto della nostra vita.
Proprio quando iniziamo a sentire il bisogno di qualcuno che rimetta ordine dentro la nostra confusione, di qualcuno che ci ripresti le parole, perché il nostro dolore le ha soffocate tutte, che ci sveli il senso delle scritture, di qualcuno che ricolleghi i fili di tutto questo caos che ci portiamo dentro… proprio allora, mentre siamo intenti a salmodiare le cose che non vanno, Gesù si palesa.
È proprio Gesù Risorto, quello che loro credono morto.
È bello sapere che Gesù è presente nelle nostre crisi. Crisi è il termine che i Greci usavano per indicare la separazione del grano dalla pula (l’involucro del chicco), l’essenziale dall’effimero.
Gesù non è lontano. Non è assente. Semplicemente siamo noi a non riuscire a riconoscerlo. Ma avere la fede significa credere che Lui è con noi, anche quando le nostre sensazioni e tutto quello che accade ci dicono il contrario.
Il Vangelo dice: “I loro occhi erano incapaci a riconoscerlo”, ovvero lo percepiscono come uno straniero. Ci fa bene pensare che Cristo costantemente travestito da straniero – “travestito da caso” – passeggia dentro la nostra vita, ci fa visita. Gesù può nascondersi ovunque e parlarci attraverso chiunque.
Noi non lo sappiamo che Lui è Gesù Risorto, ci sembra un evento qualunque, un uomo qualunque, eppure questo straniero che si fa così fisicamente vicino ai discepoli, parla con loro, li tocca, fornisce a loro una chiave di lettura e loro si accorgono che questa chiave di lettura è vera perché gli arde il cuore.
Molto spesso diffidiamo del cuore. Eppure il cuore vede subito e vede più lontano di quanto la nostra testa è capace di fare: “L’essenziale è invisibile agli occhi e non si vede bene se non con il cuore” (Antoine de Saint-Exupéry).
I discepoli di Emmaus ci insegnano che ciò che conta nella vita non lo si vede con gli occhi, ma solo con una parte di noi, nascosta al fondo di noi stessi: è il cuore. Il senso numero zero. Quello che fa da fondamento di tutto. Gli occhi vedono uno straniero, il cuore riconosce Cristo che ci sta passando accanto.
Signore, quando non ho sufficiente fede per identificarti nella mia vita, dammi un cuore che sappia riconoscerTi e ardere per Te.