Da Matteo in poi… Perché veglieremo ancora contro l’omofobia
Riflessioni di Gianni Geraci, portavoce Gruppo del Guado
Mentre si celebravano i funerali di Matteo, un giovane di Torino che, il 4 aprile 2007, si era ucciso perché tormentato dagli scherni con cui i compagni di scuola prendevano di mira la sua presunta omosessualità, alcuni ragazzi si erano riuniti in una città del centro di Firenze per pregare insieme.
Durante la preghiera è emersa forte una domanda: «E’ mai possibile che i nostri pastori, di solito così loquaci quando si parla di omosessualità, non siano riusciti a dire una sola parola per la morte di questo adolescente che è morto disperato?».
Occorreva fare qualche cosa! Ma cosa? Rimediare a quel silenzio crudele con la preghiera e organizzare in città una veglia in cui ricordare, insieme a Matteo, tutte le vittime dell’omofobia e della transfobia.
E così, anno dopo anno, il sogno di incontrare, anche nelle chiese, parole di accoglienza e di solidarietà ai tanti omosessuali e ai tanti transessuali che si trovano soli davanti alla violenza e ai pregiudizi, ha iniziato a realizzarsi.
Purtroppo la realizzazione di quel sogno è ancora circoscritta a un periodo particolare ed è frutto, principalmente, dell’impegno con cui i gruppi di omosessuali cristiani si sono presi a cuore l’iniziativa delle veglie.
Ma i segnali di speranza non mancano e segnano un cammino che, di anno in anno, ha coinvolto un numero di persone sempre più grande: le chiese evangeliche valdesi, metodiste e battiste presenti in Italia, nel 2010, hanno deciso di aderire al progetto delle veglie per le vittime dell’omofobia e hanno iniziato a organizzare momenti di preghiera anche là dove non c’erano gruppi di omosessuali credenti che lo chiedevano; nel 2010, la Federación Estatal de Lesbianas, Gays, Transexuales y Bisexuales di Spagna ha aderito ufficialmente al progetto delle veglie di preghiera per le vittime dell’omofobia e ha organizzato momenti di preghiera in alcune città della penisola iberica; nel 2011 il progetto delle veglie ha varcato l’Atlantico per approdare a Lima, dove la Comunidad Cristiana Inclusiva El Camino ha deciso di incontrarsi il 17 maggio per ricordare le vittime dell’omofobia; nel 2012 le veglie sono sbarcate anche in Irlanda e a Malta e nel 2013 sono arrivate in Cile, in Germania, in Canada, in Islanda, in Polonia e in Russia.
Ormai, in concomitanza con la giornata internazionale contro l’omotransfobia che si celebra il 17 Maggio, un abbraccio avvolge la terra e migliaia di persone, in posti diversi, partendo da esperienze diverse, in chiese diverse, chiedono a Dio di liberare il mondo dall’odio che ancora opprime gli omosessuali e i transessuali.
Quest’anno, il versetto che è stato scelto dai gruppi coinvolti nell’organizzazione delle veglie è un’esortazione che Paolo rivolge ai suoi interlocutori nel capitolo 15 della Lettera ai Romani: «Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi».
Un invito chiaro che non rischia di essere frainteso.
Un invito che dovrebbe interrogare tutte le comunità cristiane che cercano in quelle parole, la Parola con cui Dio ci interpella. Un invito che dovrebbe interrogare tutti noi con la domanda: «Ma davvero siamo disposti ad accoglierci gli uni gli altri?».
Quanto sono disposte le nostre comunità cristiane ad aprire le loro porte a chi bussa e chiede di essere accolto per quello che è? Certo! Gli uffici delle Caritas ci sono in molte parrocchie e una mano, nei limiti del possibile, non la si nega a nessuno. Ma si riduce a questo l’accoglienza che Paolo ci invita a praticare nella lettera ai Romani?
Accogliere gli altri significa rinunciare a giudicarli e dire loro che possono contare su di noi sempre, anche quando non condividiamo il loro stile di vita e le cose che dicono. Accogliere gli altri significa smontare, pezzo dopo pezzo, il clima di sospetto che si è progressivamente creato intorno al tema dell’omofobia e dell’omosessualità: chiedersi se tutti i discorsi che circolano sulle “lobby gay” che attenterebbero al benessere delle famiglie tradizionali hanno davvero un fondamento e, soprattutto, se sono fedeli alla raccomandazione che Paolo ci fa nel capitolo 15 della Lettera ai Romani.
Accogliere gli altri significa smetterla finalmente di pretendere di parlare a nome loro e lasciare che siano loro a raccontare se stessi, facendo nostre le loro speranze, condividendo le loro sofferenze e superando, insieme a loro, le loro paure.
Accogliere gli altri significa chiedersi, insieme a loro, come il Vangelo può rispondere al loro desiderio di pienezza e di autenticità e lavorare perché questa risposta si traduca poi in gesti concreti. Accogliamoci quindi come Cristo ci ha accolti e, vincendo la pigrizia e la diffidenza, ritroviamoci a pregare insieme per liberare il mondo dall’omofobia e dalla transfobia.
Ecco perché vi aspettiamo tutti Giovedì 22 Maggio alle 21.00 nella chiesa di San Gabriele in Via Termopili 7 a Milano (MM1 Pasteur).