Da Raffa a De Andre’. Quando la musica italiana racconta l’amore gay
Articolo di David Fiesoli tratto dal Tirreno del 30 gennaio 2009
Certo che Povia continua a far fare “Ooohhh” non solo ai bambini. Ci riprova con il brano che porterà a Sanremo e che ha furbescamente intitolato “Luca era gay”: agli onori delle cronache ci è finito ultimamente non per la sua musica ma per aver dichiarato che lui, sposato e con prole, ha un passato gay di qualche mese da cui poi, miracolosamente, è “guarito”.
Chiunque sa che gay si è o non si è, ma il mondo pop è fatto anche di questi scherzetti. Eppure proprio la musica pop italiana ha fatto da colonna sonora alle storie d’amore e alle lotte del movimento gay. Con brani più o meno espliciti, cantati da band o musicisti più o meno dichiarati.
Ma un viaggio nella musica che parla di omosessualità mostra come siano più le canzoni che cantano l’amore tra due uomini o due donne come normalità, che quelle che esprimono condanna, disapprovazione, pregiudizio. A cominciare da Anna Tatangelo che proprio lo scorso anno portò a Sanremo “Il mio amico”, canzone patetica ma che almeno punta il dito contro l’intolleranza verso i gay.
E se nel 2007 grande successo è stata “Gino e l’alfetta” di Daniele Silvestri, in cui un uomo invece di “guarire” decide di seguire la sua vera natura (“Lui mi conquista, lui mi rilassa, Gino ha i miei stessi punti di vista”), ecco che nel 2008 un altro brano, divertentissimo, ha spopolato: per lanciare l’album “Il paese di Pulcinella”, osannato dalla critica, la reggae-band Radici nel cemento ha scelto il brano “Siamo tutti omosessuali”, ed ecco un assaggio del testo: “Siamo tutti diversi siamo tutti uguali/Siamo tutti uguali anche nella diversità/E poi si può guarire anche dalla normalità”. Alla faccia di Povia.
L’allegra determinazione con cui le Radici nel cemento cantano e difendono l’omosessualità riporta alla mente un brano (meno schierato ma irresistibile) degli Ottavo Padiglione, con Bobo Rondelli che cantava “Tutti gay”, ed era il 2003: “tutti gay tutti gay, commissario c’ho visto anche lei, deputato ho imparato da lei, la mi’mamma c’ha provato anche lei…”.
Ma anche nel nuovo millennio c’è poco da esser gay se un rapper come Fabri Fibra nel 2006 cantava così: “potrei spararmi in testa se una mattina mi svegliassi accanto a un gay”. Per fortuna è un’eccezione, anche meno preoccupante di certi gruppi nazirock che inneggiano alla caccia al gay.
Invece Raffaella Carrà già nel 1978 cantava senza scomporsi un “Luca” che non solo era gay ma che la abbandonava senza esitazioni per un maschio: “un pomeriggio dalla mia finestra/ lo vidi assieme ad un ragazzo biondo/chissà chi era forse un vagabondo/ma da quel giorno non l’ho visto proprio più”. E via, scrollata di capelli e spallucce, senza alcun giudizio o pregiudizio perchè “com’è bello far l’amore da Trieste in giù, l’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu”.
Altri tempi? Non proprio: tra i Settanta e gli Ottanta si sprecarono sex song (“Polisex” di Ivan Cattaneo e “Unisex” degli Squallor), ambiguità non svelate (l’Alberto Fortis di “Milano e Vincenzo”) ambiguità esagerate (Cristiano Malgioglio, “Orientale”), insopportabili patetismi (Gianni Bella “Amico gay”, Gino Paoli “I fiori diversi”) anche associati al travestitismo come in “Pierre” dei Pooh o “La storia di Marcello” di Ornella Vanoni.
Ma il travestitismo è altra cosa rispetto all’omosessualità, e l’amore è altro dal sesso. A controbilanciare la disinformazione a sette note, Carrà a parte, c’erano il Banco del Mutuo Soccorso, con “Baciami Alfredo”, Patty Pravo con il menage a trois di “Pensiero stupendo”, Giuni Russo con “Babilonia” e “Sere d’agosto”, perfino Loretta Goggi che in “Arrivederci stella del nord” cantava un’avventura tra donne, e poi Renato Zero: lui però, a parte in “Onda gay”, la buttava sempre sul divertissement (senza però raggiungere i vertici di Enzo Jannacci in “Silvano”) e non ha mai preso posizione se non quella di rifiutare ogni coinvolgimento con il movimento gay preferendo cantare per il Papa.
Mai sbilanciati più di tanto neppure Gianna Nannini (che anni fa dichiarò di essere bisex) e Lucio Dalla: lei si limita a cantare “i maschi innamorati come me”, lui accennò a un “Balla balla ballerino” parecchi anni fa e chiusa lì.
Ma artisti di grandissima statura hanno cantato l’amore tra uomini o tra donne con grande bellezza, rispetto ed equilibrio. Pensiamo a una delle più belle canzoni di Fabrizio De Andrè: “Andrea”, del 1978, che racconta la storia d’amore tra un contadino e un soldato del regno. Oppure alla semplicità di Franco Battiato in “Venezia-Istanbul” su Socrate e l’amore per i ragazzi.
O ancora a Roberto Vecchioni in “Velasquez” del 1998: “ahi Velasquez, com’è duro questo amore, mi pesa la notte prima di ricominciare, e tante veglie, come soglie di un mistero, per arrivare sempre più vicino al vero”.
E ancora la delicatezza di Fabio Concato in “Vito” e “Ti ricordo ancora”, Biagio Antonacci con “In una stanza quasi rosa”, la Paola Turci di “Io e Maria”, e soprattutto la grande Mia Martini dello splendido “Uomini farfalla” pezzo del 1992 in cui finalmente l’omosessualità e la virilità non sono più concetti antitetici ma anzi si compenetrano perfettamente: “amico un po’ tempesta, così maschio senza storie, né censure per la testa”.