Da Sanremo verso una società e una chiesa davvero aperte
Lettera di Alessandro Franzetti pubblicata sul quotidinao La Prealpina” del 10 marzo 2021, pagina 44
Come ogni anno, ho assistito a tutte le serate del Festival di Sanremo, con vivo interesse e compiaciuto per la qualità delle canzoni in gara e per le performance degli ospiti, ma non contento per alcune stupide polemiche.
Innanzitutto, ai moralisti che come sempre popolano lo Stivale e che sono bravi solo a giudicare, ghettizzare e scandalizzarsi voglio dire che l’arte è spesso provocazione, anzi la provocazione (se intelligente come si è vista a Sanremo) è essa stessa essenza dell’arte.
Quindi, questi innumerevoli commentatori abituati al pregiudizio, spesso leoni da tastiera che hanno la bava alla bocca, non penso possano capire il significato profondo di molte canzoni in gara.
Cari moralisti 4.0 la società italiana è cambiata e voi siete fermi alla preistoria, a un mondo che fortunatamente è relegato a libri su polverosi scaffali. Viviamo in una società globale, plurale, meticcia (bellissimo questo termine amato dal card. Angelo Scola), in cui le classi che frequentano i nostri figli sono tanto belle quanto variopinte.
Ma mentre non mi preoccupo più di tanto degli odiatori seriali che sono fuori dalla Chiesa, mi feriscono quelli che si professano cristiani.
Per esempio, non posso non biasimare le parole del vescovo di Ventimiglia – Sanremo Antonio Suetta che, sentendosi di dire la sua sul Festival (chissà poi chi glielo ha chiesto) afferma quanto segue: “..il mio intervento, a questo punto doveroso, è per confortare la fede “dei piccoli”, per dare voce a tutte le persone credenti e non credenti offese da simili insulsaggini e volgarità, per sostenere il coraggio di chi con dignità non si accoda alla deriva dilagante, per esortare al dovere di giusta riparazione per le offese rivolte a Nostro Signore, alla Beata Vergine Maria e ai santi, ripetutamente perpetrate mediante un servizio pubblico e nel sacro tempo di Quaresima.
Un motto originariamente pagano, poi recepito nella tradizione cristiana, ricorda opportunamente che “quos Deus perdere vult, dementat prius”.
Quanto al premio “Città di Sanremo”, attribuito a un personaggio, che porta nel nome un duplice prezioso riferimento alla devozione mariana della sua terra d’origine, trovo che non rappresenti gran parte di cittadinanza legata alla fede e dico semplicemente “non in mio nome”.
Al vescovo Suetta dico: perché non si occupa del suo gregge anziché lanciare invettive come queste contro una libera manifestazione artistica qual è Sanremo? Perché non fa come Paolo VI che convocò in Vaticano gli artisti di allora, anche quelli non allineati, e si confrontò con loro?
Ho ascoltato con attenzione il testo del gruppo vincitore, i Maneskin, e il fatto che loro cantino …”In casa mia non c’è Dio”, non solo non mi scandalizza affatto, ma m’invita a pensare che, essi stiano, in realtà, cercando Dio, in un principio di cammino verso l’Assoluto.
Ma chi siamo noi per giudicare….? Noi cattolici dovremmo sapere, poiché sta scritto nei Vangeli, che Gesù amava discutere con la Samaritana, pranzava con il pubblicano, guariva lo schiavo del centurione, nonostante egli non fosse un “osservante” stimandone la grande fede, oppure parlava di notte con Nicodemo.
Insomma Gesù amava gli ultimi, le periferie umane ed esistenziali e le sue invettive erano rivolte non contro i dimenticati di allora (come non pensare ai migranti o a molte persone LGBTI continuamente vilipese e umiliate oggi), bensì contro gli scribi e i farisei, che oggi ben s’incarnano nei moralisti di cui scrivevo all’inizio.
La società e la Chiesa oggi devono includere, non giudicare, apprezzare e valorizzare le differenze, perché un cielo che si tinge di arcobaleno è più bello di una notte oscura e senza stelle.
E infine un appello a molti: smettetela di usare la “teoria del gender” (che non esiste, è solo uno spauracchio creato ad arte per discriminare il popolo arcobaleno), come una clava.
E se alcune persone amano definire la loro sessualità come “fluida” dove sta il problema? L’importante è che siano felici e in pace con loro stessi e col mondo.
Nel mio piccolo mi batto e mi batterò sempre per un’Italia, un mondo e una Chiesa che accolgano tutti, senza discriminare e sapendo che apparteniamo tutti alla stessa razza, quella umana.
Fratelli, tutti!