Dai funerali di Ratzinger un monito: o si cambia, o si muore.
Riflessioni di Massimo Battaglio
I funerali di Ratzinger lanciano un messaggio piuttosto chiaro per tutti i cattolici: o la Chiesa cambia, o muore. L’immagine di piazza San Pietro mezza vuota, la mestizia di una celebrazione ridotta all’esecuzione di quanto previsto dal messale e, malgrado ciò, l’atmosfera da pompa magna che si respirava, hanno lasciato a molti l’amaro in bocca.
E’ vero che qualunque aggiunta sarebbe stata inopportuna: corteo, campanone, messaggi da parte di rappresentanti religiosi o civili avrebbero creato frizioni pericolose. Ma quando qualunque parola diventa rischiosa, è segno che qualcosa non va. O forse dice che non c’è più niente da dire.
Questa cerimonia senza affetti, senza commozione nonostante le parole calde di papa Francesco, faceva pensare proprio a questo. Come se si stessero celebrando i funerali di un’epoca difficile, nella consapevolezza che è ancora più difficile iniziarne un’altra.
Guardavo e mi chiedevo: dove sono tutti i fans del papa tedesco, i sostenitori di “una volta”, quelli dei “valori non negoziabili”, dei “fondamenti cristiani dell’Europa”? Dov’è il popolo del “Benedetto unico vero Papa” che si spaccia come primavera della Chiesa di domani?
Hanno mandato Orban, Duda e la Meloni e sono rimasti a casa. Erano su facebook a metter cuoricini e mani giunte a ogni aggiornamento delle agenzie stampa, le quali, capito il giochino, hanno cominciato a pubblicare a più non posso: “il feretro è entrato in piazza”, “adesso entra il Papa”, “Francesco tocca la bara”, “c’è uno strisione con scritto Santo Subito”.
Che noia i commenti a quello strisione! Unico, isolato, che non interpretava il sentire di nessuno se non, forse, quello di chi lo reggeva, agli occhi dei media è stato trasformato in un manifesto per la pastorale universale per i prossimi dieci anni. Segno che, davvero, resta poco altro da dire. Segno che, davvero, o si cambia, o si muore.
Mentre guardavo la diretta su youtube, pensavo alla parabola della festa del re, quella narrata in Mt 22,1-14 e in Lc 14,16-24 che comincia: “Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire” .
Originale guardare dei funerali e pensare a una festa di nozze, no? Però c’entra.
Anche lì, gli invitati di maggior riguardo, gli amici più stretti avevano preferito stare a casa, chi per una ragione, chi per l’altra. Alcuni avevano anche reagito malamente all’invito. Ma siccome la festa si doveva fare, il re cambiò tattica. Chiamò il servo e gli disse: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi”. E siccome non bastava ancora, organizzò una seconda infornata: “Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia”.
Mi sembra un messaggio perfetto per la Chiesa di oggi. Siamo in una situazione precisamente analoga. Gli invitati privilegiati, i cattolici europei tutto catechismo e codice di diritto canonico, hanno altro da fare mentre, fuori dai confini della stretta parentela, c’è un mondo che verrebbe ben volentieri a festeggiare con noi. Occorre rivolgersi a loro. E non importa se la sala si riempirà di straccioni ed emarginati che fino al giorno prima avevamo bollato come peccatori. Sono gli unici invitati su cui possiamo fare affidamento.
Forse è proprio questo un suggerimento, per quanto poco originale, per una Chiesa che muore se non cambia: puntare su chi, fino a ieri, abbiamo emarginato. E non è una partita per niente improbabile poiché, “ai crocicchi delle strade”, abbiamo lasciato davvero tanta gente. Gente che non è nemmeno il caso di cercare “tra le siepi” perché è lì in bella evidenza.
Accogliere i migranti anche se professano altre religioni, ragionare seriamente sul ruolo della donna, affrontare senza pregiudizi la questione omosessuale, è proprio ciò che può salvare la Chiesa dai propri funerali e trasformarli in un banchetto nunziale. Magari non si eseguiranno canti gregoriani ma danze a ritmo di tamburo; magari non si indosseranno paramenti d’oro ma magliette arcobaleno. Qualcuno si scandalizzerà. Pazienza: la festa deve farsi. E si farà.