Dal buio alla luce. Quattro parole per ripartire: Comunità
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Riflessioni bibliche tenute da don Fausto a “Dal buio alla luce: percorso online per giovani LGBT e la loro comunità” organizzato dal Progetto Giovani Cristiani LGBT il 2 maggio 2020
Ognuno di noi può tornare con la memoria ai primi passi che ha fatto nella propria comunità fino ad un incontro che si è rivelato più significativo e maturo con il Signore Gesù. Partiamo da una domanda apparentemente fuori tema. Ma Dio è felice? Cosa lo fa felice? Cosa fa Dio per essere felice?
Il racconto di Luca sulla vita di Gesù inizia con la “incarnazione”, cioè il suo concepimento nel grembo di Maria; l’evangelista Giovanni dice che il “Verbo si è fatto carne e ed è venuto ad abitare in mezzo a noi” (1,14), cioè ha “posto la sua tenda in mezzo a noi”: come c’era una tenda nell’accampamento durante il cammino nel deserto, ma con Gesù la tenda è in carne ed ossa, come le nostre! Dio è felice quando si fa fratello di qualcuno, di un popolo, un povero, un escluso, carcerato, … (cf. Mt 25,34-36) Dio è felice di farsi fratello e ci propone questa felicità, questa beatitudine! Mentre noi ovviamente facciamo fatica e non ci viene spontanea! “Essere fratello, farsi fratello” è la proposta di felicità che Dio vuole condividere con gli uomini e le donne; da qui nasce la comunità, perché il Dio di Gesù è Trinità.
Leggiamo insieme il vangelo di Giovanni sulla “vera vite” (Gv 15,1-11):
“Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Ci è proposta un’immagine e bisogna immaginarsela: questo strano, gracile alberello, che osservato assomiglia ad una croce … con le braccia aperte ad accogliere… Occorre fermarsi e immaginarsela questa vite, … questa croce, … questo abbraccio che la vite apre coi suoi tralci… Osservo questa immagine che mi appare prima nella mente e poi faccio delicatamente scendere e posare nel cuore, contemplando quella “croce” e sentendo quell’abbraccio della “vite” tramite i suoi “tralci”… Ascolto, ricordo, abbraccio… Qualche “tralcio” ci ha portato l’abbraccio della “vite”, siamo stati noi il “tralcio” tramite il quale Cristo, la “vite” abbracciava qualcuna, qualcuno lungo la via …
“Io sono la vera vite”: non ci chiediamo “Cosa è la Chiesa?”, ma “Chi è la Chiesa?” è passare dalle esperienze, dalle attività alla comunione dei tanti con Cristo. Non sono l’entusiasmo e la somiglianza delle opinioni a tenere insieme i cristiani; non reggerebbe un giorno! Gli altri non si scelgono, ma il “Padre, che è l’agricoltore” li ha chiamati.
È passare dal tentativo (spesso fallimentare per tutti) di rispettare regole e imporsi modelli alla scoperta dell’amicizia che Cristo offre a ciascuno, amicizia che prescinde dalle fragilità, divagazioni, sordità, lentezze delle nostre vite, perché è un’amicizia radicale.
Gesù è la “vera vite”! è tutto e in tutti; è tronco e rami, cioè il primo tralcio piantato in terra, il Signore Gesù, che è “venuto ad abitare in mezzo a noi”, e i tralci da lui germogliati e che a lui si tengono uniti. La comunità è più della somma dei suoi membri e oltre le relazioni concrete: è una realtà misteriosa, è “Cristo in tutti, speranza della gloria” (—). Basta per tutto una frase di santa Giovanna d’Arco: “Di Gesù Cristo e della Chiesa io penso che siano la stessa cosa, e che questo non debba essere un punto oscuro” (Cit.tratta da H. DE LUBAC, MEDITAZIONE SULLA CHIESA, Jaka Book, Milano, 1979, p. 141)
“Il Padre mio è l’agricoltore”: il Padre chiama, guida, anima e illumina la comunità; il primo messaggio è che Dio ha a cuore ciascuno e la comunità. Il Padre agricoltore “pota i tralci”: se siamo qua, significa che siamo un popolo “in liberazione”: dalle paure di essere sbagliati, difettosi e allontanati per riconoscerci, invece, amati e posti nel mondo e nella comunità proprio con le nostre caratteristiche.
“Potati” della fede bambina, perché diventi capace di sostenere la vita adulta; liberati dal risentimento sterile verso qualcuno per vivere della linfa di Gesù, che accoglie e sta con chiunque lo desideri… e noi possiamo raccontare che Gesù si è invitato a casa nostra, nella nostra vita e abbiamo “mangiato e bevuto con lui” (At 10,41). Siamo persone chiamate alla liberazione dagli stereotipi sociali e pure da quelli dei nostri ambienti, per cui se sei così, poi pensi così e fai così… come tutti !
Bisogna lasciarsi potare per avere una fede genuina e “mangiare insieme”: stare nella comunità ci “pota” dal rischio di ritagliarci una fede che non è più in Cristo e dal rischio di eleggerci una chiesa di nostro gusto, ma che non è più quella Cristo; invece “mangiare insieme” vuol dire sedersi a tavola con quanti il Signore ha invitati, me e ciascuna/o di tutti gli altri!
“Rimanete in me”: è un innesto profondo in Cristo. È venire alla luce più e più volte; rinascere in un battesimo che è sempre attivo; è condividere con Cristo i passi, le scelte, le paure, l’entusiasmo, la gioia di avere conosciuto qualcuno. È accogliere la sua Parola come luce, che mostra la via. È mantenere vivo sempre il “contatto” che Cristo ci ha dato, non tenerlo per occasioni speciali, ma farne un “contatto” quotidiano. È quel modo personale del contatto che funziona nel dialogo interiore.
“Portare frutto” nella comunità è mettere insieme forze, fragilità, carismi e fede, perché il racconto della vita di ciascuna/o è il luogo vivo nel quale il Signore agisce oggi. Portare frutto è diventare racconti vivi e vivificanti, perché tutti possano vedere le meraviglie di Dio, contemplare le opere dello Spirito che “soffia dove vuole” (Gv 3,8).
Spezzare il pane, che è Gesù, è accogliere nella vita il suo racconto di lui che ci ama; è diventare noi stessi racconto per gli altri di come il Signore ha “bussato” alla nostra porta, di come stiamo realmente e umilmente camminando con lui con fatica ed entusiasmo, da protagonisti in questa concreta chiesa del nostro tempo, della nostra città. Perché quando la vita si fa racconto delle meraviglie di Dio, quelle semplici, ma reali, sarà prima o poi riconosciuta “frutto” di fede autentica.
Siamo i “tralci” della vite che è Cristo-Chiesa, ma siamo anche cittadini del nostro mondo, anzi dei nostri mondi e anche lì possiamo “portare frutto”. Come credenti LGBT siamo una “luce” (Mt 5,14) per i tanti mondi che viviamo: gli amici e le amiche omosessuali, i vecchi amici della parrocchia in cui siamo cresciuti, per i nostri preti e forse con più fatica, per le nostre famiglie. “Portare frutto” è essere contagiosi di quel “venire alla luce” che abbiamo vissuto e ancora sperimentiamo insieme.
La linfa che circola dalla vite e tra i tralci è lo Spirito che Cristo dona senza trattenerlo e senza chiedere requisiti speciali a tutti coloro che glielo chiedono (Lc 11,13). Lo Spirito è il dono dell’amore, che fa rimanere in lui, che è lo stesso amore che ci unisce al di là di differenze, l’unico Amore che come il vino alzato insieme produce e contagia di gioia.
L’esercizio:
Per scrivere il tuo “racconto vivo” prova a disegnare l’albero genealogico del tuo cammino di fede: esperienze, nomi, fatiche, chiusure, insieme agli incontri significativi, a qualche versetto di vangelo che ci ha illuminato, a qualche luogo “magico”.
Ma ci sono pure i frutti! Una nuova generazione di giovani è una nuova stagione anche per la comunità cristiana: disegna sull’albero il frutto che possiamo portare in questa stagione della vita della chiesa come giovani credenti LGBT. Quali relazioni curare, quali concreti gesti fare?
PER LA PREGHIERA
Signore, sogno nel mio granaio tanta gioia,
quella necessaria per amare tutti,
soprattutto quelli che nessuno ama.
Sogno nel mio granaio tanto sudore,
quello necessario per aiutare con tanta generosità.
Sogno nel mio granaio tanta forza,
quella necessaria per perdonare.
Aiutami ad aprire il mio granaio a tutte le persone,
soprattutto ai poveri
perché abbiano da mangiare e far festa.
E il mio granaio sarà come il tuo paradiso
Dove ci colmerai di felicità.
> Le slide su 4 parole per ripartire «Comunita» (file PDF)