Dal lago di Como una lesbica cristiana si racconta
Testimonianza pubblicata su Acqua di Fonte, n.5, dicembre 1997
Non è facile raccontare la propria esperienza, non è facile comunicare ciò che si è provato, ciò che si è scoperto di essere ad un tratto del proprio cammino esistenziale. Forse non si riesce a parlarne con facilità perché spesso non si vuole ancora parlarne a se stessi prima ancora che agli altri. Eppure, ecco che un “bel” giorno ti scopri e ti riveli.
Un bel giorno tutto ti appare più chiaro e cominci il cammino a ritroso per cercare di trovare la chiave di lettura di un’esistenza che è sfociata dinanzi ad una salita difficile da affrontare. «Tutta la mia infanzia, quando mi torna in mente, mi appare come una grande calma ai margini di quella vasta inquietudine che doveva essere la vita intera» (“Alexis” M. Yourcenar).
Quando ho scoperto di essere omosessuale è stato un duro colpo, non volevo credere ai miei sentimenti, non volevo assolutamente pensare che proprio a me era capitata una simile “disgrazia”. Non era possibile che qualcosa non avesse funzionato per il verso giusto, non era possibile essersi innamorate perdutamente di un’amica, non era possibile provare attrazione per il mio stesso sesso… Ma cosa mi stava capitando?
Quante domande mi sono posta, mi sono davvero tormentata, non riuscivo più ad accettarmi, mi consideravo una mela bacata che come tale doveva nascondersi e non aveva più alcun senso rimanere e operare nell’ambito parrocchiale dove avevo vissuto sino alla consapevolezza di ciò che sentivo di essere.
Dico questo perché dall’adolescenza in poi, sono sempre stata una vera e proprio “attivista” in ogni ambito ecclesiale, frequentavo tutto il frequentabile, ero catechista, facevo parte del gruppo liturgico, ero tesserata di Azione Cattolica, se c’era un incontro io c’ero, se si doveva organizzare qualcosa in oratorio io c’ero… mia madre mi diceva spesso che avrei dovuto piantare una tenda in sagrestia, per stare proprio all’ombra di quel campanile che era diventato la mia prima casa.
Ero forse un po’ esagerata, a volte esageratamente spinta dal gusto di fare piuttosto che da quello di credere in ciò che facevo, ma la mia vita era lì e lì ero convinta di doverla spendere.
Dopo la scoperta, il crollo: sentivo di non essere più “degna” di frequentare la Chiesa perché la mia condotta e la mia omosessualità erano in contrasto con ciò che sino ad allora avevo vissuto.
Mi mettevo in disparte perché avvertivo la “pesante condanna” della Chiesa, in parte da interpretare come una mia non accettazione e auto-condanna, non riuscivo più a vivere due realtà che dentro di me “cozzavano”.
Così ho mollato tutto e mi sono chiusa nel silenzio, a tratti interrotto da qualche chiacchierata con amici, da qualche “coming out” che mi dessero la possibilità di stare con gli altri accettata per ciò che ero e non per ciò che così spesso dovevo fingere di non essere.
Ho sofferto molto la scissione interna ed esterna perché per un serissimo motivo anche in famiglia non potevo più essere così trasparente e cristallina come in un certo senso da sempre ero stata agli occhi dei miei genitori.
“Quella cosa” non potevo dirla, ero costretta al silenzio per non far del male a coloro che mi volevano bene e che io non potevo tradire rivelando la mia vera identità.
Nella solitudine che mi ero creata mi sono buttata a capofitto su letture che trattassero l’argomento in questione, per cercare di capire, ma sempre più mi mancava il confronto e il dialogo con chi già da tempo viveva la condizione omosessuale…
I libri non potevano esaurire la mia curiosità… la ricerca senza confronto era solo fine a se stessa e io non potevo divorare tutto ciò che il mondo dell’editoria “alternativa” mi stava offrendo.
Confesso che nel desiderare l’incontro con i miei “simili” c’era in me il reale timore di dover affrontare dal “vivo” ciò di cui mi ero così avidamente informata e che ormai era parte di me… tuttavia sentivo di averne un estremo bisogno.
Un’amica, con la quale avevo parlato nel periodo più buio, mi aveva messo al corrente dell’esistenza, a Milano, di un gruppo di credenti omosessuali che si ritrovavano con una certa frequenza per trattare temi che conciliassero l’omosessualità e la fede.
Il fatto che il gruppo fosse composto da credenti ancorché omosessuali mi spinse al grande passo perché davvero volevo trovare insieme a questi nuovi amici una via di uscita alla mia disperazione interiore.
Il gruppo mi ha dato tanto, mi ha aiutata a non sentirmi sola nella condizione che mi sembrava di vivere isolata in quel “ramo del lago di Como”…
Il confronto ti da una certa carica interiore e così, poco alla volta, ho maturato in me il proposito di rendere anche i miei genitori partecipi del mio cammino.
Quale liberazione poter essere me stessa anche con loro, ci tenevo tanto e ringrazio il Cielo che ciò sia accaduto.
Certo non sono tutte rose e fiori, le spine ci sono eccome, soprattutto con mia madre che ha avuto una reazione molto negativa di allontanamento e rifiuto.
Tuttavia sono certa che col passare del tempo il nostro rapporto migliorerà, mio padre del resto è stato così fantastico, benevolente e comprensivo da lasciarmi di sasso, una reazione così positiva mai l’avrei pensata…
In famiglia, ora, sanno tutto di me, sanno del dolore e della sofferenza che ho provato, sanno del mio frequentare il gruppo, sanno della presenza nella mia vita di una persona per me davvero “speciale” …sanno … e questo è il più bel regalo che ho ricevuto.