Dal rifiuto di Dio alla pace con lui. Il cammino di un gay credente
Testimonianza di Ankh Neferkheperou tratta da et-alors.net (Francia) del 13 Aprile 2007, tradotta da Dino M.
Diverse religioni condannano l’omosessualità, o piuttosto sono i loro rappresentanti che la condannano, cercando di trovare alla meno peggio delle giustificazioni nei testi religiosi, anche quando non ce ne sono.
E’ il caso delle tre grandi religioni monoteiste, o religioni del Libro, di cui ho parlato in vari forum; non ritornerò dunque sulla questione delle giustificazioni religiose a riguardo.
In altre tradizioni religiose la questione dell’omosessualità semplicemente non viene affatto affrontata, dato che l’uomo viene considerato in base alla sua umanità e non dal punto di vista delle sue abitudini sessuali; in altre infine, è pienamente accettata.
La maggior parte di noi è cresciuta in una famiglia di tradizione ebraico-cristiana (in famiglie credenti oppure no, praticanti oppure no), che al riguardo è repressiva; parlo di “tradizione ebraico-cristiana” e non di una religione in particolare, poiché la morale che ne è derivata oltrepassa di molto il quadro strettamente religioso e ed è ancora molto radicata in una società che vuole essere laica.
E’ vero che a partire dal momento in cui si scopre la propria omosessualità comincia a presentarsi un problema nei confronti della religione. La prima reazione è di rispondere al rifiuto con il rifiuto, cosa abbastanza logica.
Ma riflettendoci, ci si può anche chiedere in base a quale diritto alcuni pretendono che gli omosessuali non possano essere dei veri credenti e per vivere la loro fede devono rinnegare il loro modo di essere.
Io sono cresciuto in una famiglia di tradizione cattolica, con dei genitori non praticanti, che pur non riconoscendosi in una parte dei dogmi della Chiesa, restavano credenti malgrado tutto. Per tradizione familiare ho dunque seguito il catechismo, ed ho fatto le mie comunioni. Sono stato cattolico praticante fino alla mia adolescenza, per scelta personale e bisogno di spiritualità.
Ho fatto degli incontri interessanti dal punto di vista umano, con altri credenti, ma anche con dei religiosi senz’altro notevoli, tra i quali una suora domenicana con la quale ho discusso a lungo per molti anni.
Le cose hanno cominciato a guastarsi quando ho compreso di essere omosessuale; a quell’epoca era ancora un tabù non solo per la società, ma anche la Chiesa aveva una posizione decisamente arcaica al riguardo. Sebbene ci sia stato un dilemma tra la mia fede sincera e la natura che mi ero scoperto.
Il più dannoso fu il concetto di “peccato” e ciò che da esso consegue in quella tradizione : “penitenza”, controllo delle pulsioni “contro natura”, ecc.
E sicuramente anche il silenzio pesante attorno a queste realtà, come succede a qualsiasi adolescente che scopre la sua omosessualità, che egli sia credente oppure no.
Questo comunque non mi impediva di fare allo stesso tempo le mie prime esperienze d’amore, con dei ragazzi, certamente. Fino al giorno in cui quella che io allora consideravo la mia migliore amica ha avuto l’infelice idea di rivelare al prete della nostra cappella che avevo una relazione omosessuale con il mio corrispondente tedesco e che pensavo di essere omo.
Questo ha rappresentato il punto di rottura, ma in ultima analisi è stato salutare. Ho avuto diritto alla predica di rito, mi sono state inflitte delle sedute di penitenza e di preghiera solitaria nella cappella, sono stato esortato a lottare contro “le tentazioni”, e tutto ciò che segue.
Non ci ho messo molto a ribellarmi e a mandare tutto a quel paese, anche se ormai il danno era fatto e il senso di colpa che consegue al concetto di “peccato”, mi ha perseguitato ancora per anni. Sono diventato ateo, fermamente anticlericale, convinto che il concetto stesso di Dio fosse incompatibile con il fatto di accettare la mia omosessualità; per poter diventare me stesso dovevo rifiutare Dio.
E i miei genitori di fronte a tutto questo come hanno reagito? Pur non sapendo la ragione di questo improvviso rifiuto, hanno comunque accettato l’idea che io non fossi più credente.
Ma alla mia vita mancava la dimensione spirituale; non tanto l’adesione a un dogma, nè il folklore di un cerimoniale, ma la riflessione sul mondo, il posto dell’uomo e ciò che oltrepassa la realtà materiale. Senza rendersene conto, è stato il mio nonno materno ad aprirmi la strada verso la spiritualità che ho oggi; uomo colto, e profondamente spirituale anche lui, aveva rifiutato la prigione dei dogmi cattolici nella quale era stato allevato e soprattutto rifiutava la Chiesa, la morale striminzita, i pregiudizi; conosceva bene i Sacri testi, e così poteva giustificare il suo punto di vista, cosa questa che in seguito mi è stata molto utile.
Grazie a lui, anche se a sua insaputa, ho “fatto la pace” con Dio; sfortunatamente il nonno è morto senza che avessimo mai avuto l’occasione di parlarne da adulti. Parallelamente con l’accettazione della mia omosessualità, i miei studi e le mie letture, così come i miei contatti umani mi hanno portato ad incontrare altre tradizioni religiose, ad interessarmi ad altre forme di spiritualità, attuali o antiche, che mi hanno insegnato la tolleranza e l’accettazione dell’uomo così com’è, con le sue qualità e i suoi difetti. In particolare l’induismo e il buddismo.
Oggi riesco a conciliare perfettamente la mia omosessualità con la mia vita spirituale, e tutto sommato ringrazio i miei genitori di avermi fatto conoscere la spiritualità, anche se in un determinato momento della mia vita ho dovuto patire a causa sua.
Ho sviluppato la mia personale visione delle cose, basata sullo studio e sulla riflessione, e la discussione con persone dai più diversi modi di pensare; senza attaccarmi rigidamente a un dogma e senza pregiudizi.
Mi sembra che da questo aspetto io sia riuscito a realizzarmi nella mia completezza: omosessuale, ma anche credente, senza che l’uno e l’altro aspetto siano tra loro in conflitto.
Alcune persone non sentono nessun bisogno di avere una vita spirituale, e va benissimo così. Ma per gli altri, quelli che hanno la necessità di questa dimensione, non ci deve essere incompatibilità.
Nessuno ha il diritto di espropriare gli omo della loro vita spirituale; quello che noi siamo non è per niente “contro natura”, dato che è la natura stessa che ci ha fatto così e non l’abbiamo “scelto” noi.Spiritualmente parlando, in qualche modo è proprio Dio che ha scelto per noi.
Bisogna saper distinguere tra la componente umana che si è introdotta in ogni tradizione religiosa, per qualsiasi ragione (volontà di dominazione, circostanze storiche, politiche e culturali) e la dimensione realmente spirituale, che è simbolica e oggetto di riflessione.
Non so se il mio discorso sia stato chiaro, ma volevo condividere questa esperienza con chi tra voi può esserne interessato.
Articolo originale: Homosexualité et religion: incompatibles?