Dal sacrificio di sé alla relazione come dono: Abramo, Isacco e Rebecca (Genesi 22, 1-18)
Riflessioni di Paolo Spina*
Accostarsi a una pagina tanto nota per chi è cresciuto all’interno degli ambienti cristiani cattolici quanto scritta a grande distanza dal tempo in cui viviamo (e, per di più, ampiamente commentata e riletta!) non è semplice.
Mi piacerebbe farlo “a cerchi concentrici”, partendo da un punto per arrivare altrove, a un orizzonte sempre più ampio. Dalle aule di catechismo fino all’edizione della Bibbia di Gerusalemme, questo particolare paragrafo della corposa storia di Abramo – narrata dal capitolo 12 al capitolo 25 di Genesi – è intitolato “il sacrificio di Isacco”. Vorrei, prima di tutto, cambiare il titolo in “il sacrificio di Abramo”: sembra una sottigliezza, ma così non è perché fornisce una prospettiva nuova e diversa. Quando il centro oggettivo è Isacco, istintivamente posso pensare a un dio barbaro e carnefice che, dopo aver promesso ad Abramo (poverino!) una terra nuova e una moltitudine di generazioni, pretende il sacrificio del figlio unico, primogenito, amato più della stessa vita. Se, invece, provo a passare dall’altra parte, il soggetto è Abramo: non già colui che sacrifica, a una lettura superficiale, ma colui che è disposto a essere sacrificato, sacrificato egli stesso. Perché, come?
Perché Abramo già conosce Dio, ma un Dio del quale si può disporre, dal quale ottenere grazie e favori attraverso riti e preghiere (e sacrifici… persino umani), un Dio in qualche modo prevedibile (perché ha un tariffario e segue regole ben precise) e che mi assicura, con la soluzione a portata di mano (dietro, ovviamente, adeguato compenso o credito: “Se farò così, se mi comporterò così, allora Dio si comporterà con me in un certo modo”).
Abramo fa un coraggioso salto di qualità: da un Dio di cui disporre, a un Dio che dispone di lui. Non già come una marionetta, però: Abramo è prototipo della generazione nata dopo il diluvio universale, è l’uomo rinato, l’uomo nuovo: la sua storia inizia, infatti, dall’abbandono della famiglia paterna, della casa natale e della terra degli antenati (Ur dei Caldei, in Mesopotamia) verso un luogo geograficamente assai distante, tanto incerto quanto promettente, come solo il futuro sa esserlo. Qui posso leggere che Dio è Dio non perché sia l’aiuto nella prova o il garante di ogni sicurezza, ma è veramente Dio quando mi suggerisce la logica del dono, un alfabeto, un codice che tutta la storia e tutto il creato portano scritti dentro.
È molto confortevole voler ripetere ciò che è sempre stato fatto così, assecondare i desideri dei propri genitori, trasmettere la propria visione del mondo ai figli; eppure quante volte dietro a tutto questo si nasconde una visione di possesso, di dominio delle cose, delle persone, delle relazioni? Capita quando in famiglia non si riesca a vivere con autenticità, quando le relazioni siano falsate da un perverso gioco delle parti in cui si interpretano ruoli di un copione già scritto anziché la singolare originalità del nostro sentire, seguendo la direzione indicataci dal cuore, dalla parte più profonda di me stesso.
Per questo è bene, come Abramo, riconoscere di avere dentro di sé un desiderio che il passato non può saziare: allora o ci si aggrappa a quanto già si ha e ai preconcetti su noi stessi, e li si consuma, li si distrugge, e noi con loro periamo, oppure si legge tutto – la mia vita, le mie relazioni, le situazioni – come un dono. E il dono non chiede requisiti da dimostrare o selezioni all’ingresso: domanda solo di essere accettato e vissuto, anche passando da un iniziale “morire al vecchio se stesso”, come ha fatto Abramo, che non ha sacrificato il figlio Isacco ma, sul Monte Mòria, ha messo da parte i falsi ideali che aveva su Dio, sulla sua stessa vita, anche sul concetto stesso del legame padre-figlio. Da una vita “sacrificata”, appunto, secondo debiti e crediti, continuamente divorato dall’ansia da prestazione e dall’appetito di accumulare cose e persone, per divorarle ed esserne divorato, in nome dell’assurda pretesa di un Dio guardiano del limite, a una vita “donata”, cioè protesa e gettata ogni falso limite impostomi (da me stesso, dai familiari, da una religione).
Tempo fa ho letto che in un passo del Midrash – cioè una raccolta di commenti ai libri della Torah – si narra che, proprio nel giorno in cui Abramo salì sul monte per sacrificare il figlio Isacco, nacque Rebecca, che divenne poi sua moglie. Il testo della Genesi già bastava a smentire la falsa volontà da parte di Dio di prevaricare e usare violenza; il racconto ebraico aggiunge un senso ulteriore: Dio non solo risparmia Isacco dall’altare del sacrificio, ma gli offre una nuova prospettiva di vita, anche all’interno di una relazione, una relazione che sottolinea come un’autentica dimostrazione di fede non risieda nel sacrificare i propri desideri e la vita stessa “offrendosi al cielo”, ma nel vivere pienamente la propria esistenza, con tutte le sue sfide e le sue gioie, camminando insieme agli altri, condividendo il viaggio in un percorso ricco di imprevisti e significati.
È triste notare che, in ambito cattolico, spesso si scelga di fare l’opposto di Isacco, anziché scendere voler “salire sull’altare”, come se l’atto di offrirsi in sacrificio fosse ciò che Dio desidera. Tutta la Bibbia insiste costantemente sul fatto che non siamo angeli, e non ci viene mai chiesto di rinunciare a parti di noi stessi (la nostra identità, il nostro orientamento, le nostre relazioni); al contrario, l’invito è a sviluppare i nostri talenti, a seguire il nostro cammino, a non subire passivamente la vita, ma a viverla pienamente. Per questo Isacco non può rimanere sull’altare: Dio non desidera una vittima sacrificale, ma un uomo capace di realizzarsi all’interno di una relazione, dove imparerà ad amare, a condividere, e a comprendere l’importanza di un legame così profondo da diventare lo spazio in cui scoprire il significato della fede, del credere e del relazionarsi con Dio.
*Paolo Spina è un medico, appassionato di Sacra Scrittura e teologia femminista e queer, che collabora con il Progetto Cristiani LGBT+ e con La tenda di Gionata scrivendo su temi di attualità e cristianesimo. Trovi le sue riflessioni raccolte nel blog “La porta accanto”.