Dall’antropologia una spiegazione dell’omofobia africana
Articolo di Oñez Ayuso Llorente* pubblicato sul sito del quotidiano El País (Spagna) il 6 novembre 2014, liberamente tradotto da Dino
Il 24 febbraio 2014 il presidente ugandese Yoweri Museveni ha ratificato una legge contro l’omosessualità** che criminalizza le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso. Questa legge legittima, istituzionalizza e incrementa la profonda discriminazione a cui le persone LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali) erano già sottoposte in Uganda. Il governo di questo paese utilizza l’argomento che l’omosessualità è una pratica che va “contro le norme e le tradizioni africane”. Non esistono tuttavia evidenze antropologiche né storiche che sostengano un tale discorso.
Nell’attuale Uganda predomina, nella società in generale e nelle istituzioni in particolare, un atteggiamento profondamente omofobo. Questo fatto contrasta con l’epoca precoloniale, quando i comportamenti omosessuali e la molteplicità di sessualità e di identità di genere erano già presenti e integrate nella società e nella cultura ugandese. I ricercatori Stephen O. Murray e Will Roscoe, nel loro ben noto “Boy Wives and Female Husbands: Studi sulle Omosessualità Africane” hanno esposto un apprezzato compendio delle pratiche omosessuali che avvenivano nell’epoca precoloniale nei vari paesi africani.
Nello specifico caso dell’Uganda, l’omosessualità era conosciuta e praticata tra i Langi, popolazione del nord del paese, presso i quali alcuni uomini erano considerati come donne e potevano anche sposarsi con altri maschi (Driberg, 1923). Tra gli Iteso (Mushanga, 1973), i Banyoro (Needham, 1973) o i Buganda (Southwold, 1973). Murray e Roscoe riportano esempi di matrimoni tra donne presso i Bantu, i Nandi e i Kikuyu. In questi casi una donna pagava la dote per acquisire gli stessi diritti di un uomo sopra un’altra donna.
L’origine dell’argomentazione e il contesto storico-politico-sociale che spiegano l’elaborazione di questa legge ci riportano al periodo di colonizzazione britannica quando, nel 1894, il Regno Unito stabilì un protettorato nel territorio che oggi è occupato dall’Uganda. Il mito che l’omosessualità non sia africana ma che sia importata dall’occidente ha la sua origine proprio in quest’epoca. La sezione 140 del Codice Penale ugandese, che criminalizza “la conoscenza carnale tra persone contraria all’ordine naturale”, è un’eredità dell’epoca coloniale britannica, che aveva l’obiettivo di punire le varie pratiche locali che i poteri coloniali consideravano “sesso contrario all’ordine naturale”.
L’accademica ugandese Sylvia Tamale, nel suo testo “Esplorazione dei contorni delle sessualità africane: religione, diritto e potere” analizza come, attraverso la comprensione del modo in cui l’omofobia ha agito nei diversi momenti della storia dell’Uganda, si può arrivare a comprendere e svelare i meccanismi che il sistema patriarcal-capitalista occidentale utilizza per il controllo delle sessualità. La colonizzazione inglese, l’insieme delle leggi e norme sociali, culturali e religiose imposte dallo stesso Regno Unito in Uganda hanno svolto un ruolo molto importante nell’organizzazione degli aspetti morali, sociali ed economici che regolano la sessualità nel paese.
Gli inglesi in Uganda hanno instaurato un patriarcato di taglio capitalista e un cristianesimo a connotazione omofobica coerenti con la mentalità vittoriana della società inglese dell’epoca.
Quindi, l’omosessualità nel continente africano fa parte della tradizione ed è presente già in origine. Non c’è nulla che dimostri la sua introduzione in Africa per opera dell’occidente. Al contrario, ciò che è stato imposto è l’intolleranza verso di essa: l’omofobia, così come i sistemi di controllo e i regolamenti per mettere fine a questo tipo di relazioni. Soltanto quando i nativi hanno cominciato a dimenticare che l’omosessualità era parte intrinseca della loro cultura è iniziata la stigmatizzazione verso di essa.
Analizzando il caso dell’Uganda dopo la colonizzazione si vede anche come il patriarcato utilizzi la sessualità come strumento per realizzare e mantenere un rapporto di diseguaglianza e una struttura gerarchica tra i due sessi. Lo fa per mezzo dell’oscurantismo e creando dei tabù riguardo a ciò che attiene alla sessualità stessa. Le norme socioculturali e le credenze religiose (prova di verginità, mutilazione genitale femminile, castità femminile, occultamento della sessualità, tabù della poliandria…) costituiscono un paravento dietro il quale si nasconde una energica repressione nei confronti delle donne.
Un’altra forma di controllo delle sessualità è l’utilizzo della legge per limitare, escludere socialmente e reprimere le persone LGBTI. Tramite il controllo delle attività e facendo tacere le voci di quegli individui e di quei gruppi, lo stato patriarcale rende loro estremamente difficile organizzarsi nella lotta per i propri diritti umani. Come primo passo sono quindi necessari l’analisi, la scoperta e la comprensione dei meccanismi occulti che operano sotto le istituzioni di taglio patriarcal-capitalista.
A questo scopo si devono porre delle basi che favoriscano la presa di coscienza e che diano alle persone la possibilità di promuovere un forte movimento femminista a favore delle libertà e dei diritti delle persone LGBTI e delle donne e che operi ad ogni livello: regionale, nazionale e internazionale.
Come afferma Gayle Rubin nel suo famoso articolo “Il traffico di donne: appunti sull’economia politica del sesso” (1996), una rivoluzione femminista non deve aspirare soltanto alla liberazione delle donne, ma di tutte “le forme di espressione sessuale e della stessa personalità umana dalla camicia di forza del genere (…), deve sognare l’eliminazione delle sessualità e dei ruoli sessuali obbligatori.
Il sogno che mi sembra più affascinante è quello di una società androgina e senza genere (benché non senza sesso), nella quale l’anatomia sessuale non abbia nessuna importanza nel definire ciò che uno è, ciò che fa e con chi fa l’amore”.
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* Oñez Ayuso Llorente è una giornalista, esperta di argomenti africani e riguardanti il genere. Master di Studi Interdisciplinari di Genere presso la Università Autonoma di Madrid.
** Il primo agosto 2014 in Uganda è stata revocata la legge contro l’omosessualità che era entrata in vigore alla fine dello scorso mese di febbraio. Il Tribunale Costituzionale ugandese ha confermato che la legge “è nulla e priva di effetto” perché quando fu approvata dal Parlamento nel dicembre 2013 non c’era un numero sufficiente di rappresentanti in sala per la votazione.
Nonostante questo sia un importante passo avanti per frenare la discriminazione verso le persone LGBTI attuata dallo Stato ugandese, dobbiamo ricordare che da quando in febbraio la legge è stata ratificata, sono aumentate le detenzioni arbitrarie, gli abusi della polizia e le estorsioni nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali.
Molte di queste persone hanno perso il loro impiego, la casa e si sono anche viste costrette a fuggire dal Paese. E ancora la sezione 145 del Codice Penale ugandese, che rimane in vigore, continua a penalizzare “la conoscenza carnale di qualsiasi persona contro natura”.
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Testo originale: ¿Qué introdujo occidente en África: la homosexualidad o la homofobia?