Dalla cena degli dei all’ultima cena. Quando i vescovi si scandalizzano ci sarà un perché?
Riflessioni inviateci da Valerio Merlo*
Era inevitabile che la comunità degli omosessuali credenti venisse coinvolta nelle discussioni che si sono accese intorno alla parodia dell’ultima cena messa in scena durante la cerimonia inaugurale delle olimpiadi parigine. Sulle diverse e contrastanti opinioni che sono state espresse al riguardo non appare superflua una riflessione a mente (possibilmente) un po’ più fredda.
Parecchi tra coloro che sono intervenuti hanno mostrato di non condividere la reazione dei vescovi, i quali, fin dal primo momento, hanno giudicato oltraggiosa quella rappresentazione dell’ultima cena: con la figura di Gesù nelle vesti di una grottesca drag queen circondata da una schiera di apostoli transessuali e transgender raggruppati secondo uno schema che evocava inequivocabilmente il Cenacolo leonardesco.
Bisogna ammettere che le critiche particolarmente aspre e ingiuste rivolte ai vescovi per essere intervenuti a difesa del sentimento religioso dei fedeli sono indicative della strada che resta da percorrere in direzione della pacificazione tra la comunità degli omosessuali credenti e la Chiesa istituzionale.
Eppure questo è un traguardo che bisognerebbe aspirare a raggiungere, sostituendo all’abitudine alla contrapposizione dialettica il dialogo sereno, abbandonando la pretesa di stabilire chi è più evangelico e chi meno (anche perché nessuno lo è mai abbastanza). È vero che Gesù ha esortato a perdonare le offese e perfino a porgere l’altra guancia, ma nel Vangelo viene deplorata la viltà di san Pietro, il primo che, per paura e quieto vivere, ha nascosto e rinunciato a difendere i propri sentimenti religiosi.
E non bisogna dimenticare l’osservazione fatta da papa Francesco in occasione della vicenda Charlie Hebdo: chi offende mia madre, non deve poi meravigliarsi se riceve un pugno in faccia.
Anziché schierarsi dalla parte dei vescovi, molti hanno preferito dar credito alla bugia degli organizzatori, i quali, dimostrando di non avere neppure il coraggio di difendere la loro creazione artistica, nel tentativo di aggirare le reazioni negative (forse essendosi resi conto che stavano regalando qualche milione di voti alla Le Pen), hanno precisato di non aver voluto raffigurare l’ultima cena ma un banchetto pagano di dei olimpici: tentativo che ha sfiorato il ridicolo visto che sono stati smentiti dagli stessi attori protagonisti dello spettacolo, i quali hanno candidamente ammesso di aver recitato un brano di “Vangelo gay”.
La disponibilità da parte di molti ad accogliere e fare propria la spiegazione e la posizione degli autori così come avallata e divulgata dalla stampa fa sospettare una qualche difficoltà a sottrarsi all’influenza degli opinionisti che spadroneggiano nelle pagine dei giornali, i quali, non solo hanno deriso i vescovi per aver preso un abbaglio (che non era affatto tale), ma non hanno neanche rinunciato a bollare di ignoranza tutti coloro che non hanno riconosciuto il carattere pagano della scena rappresentata ai bordi della Senna: solo l’ignoranza della storia dell’arte può indurre a scambiare per il Cenacolo un festino pagano in cui è presente Dioniso!
Proprio la presenza sulla scena parigina del dio pagano dell’ebbrezza orgiastica, lungi dal confermare il carattere pagano della messinscena come qualcuno ingenuamente ha pensato, è rivelatrice delle vere intenzioni degli autori. Il fatto che, ad un certo punto, sullo sfondo di un Cenacolo rivisitato in chiave queer, appaia la figura di Dioniso autorizza a pensare che il proposito degli autori non fosse esattamente o soltanto quello di battere un colpo a favore della inclusione delle minoranze sessuali, bensì quello di sfruttare il palcoscenico delle olimpiadi per perorare la causa di una post-cristiana società dionisiaca, di cui le persone transessuali e transgender sono considerate le vessillifere, anche indipendentemente dalla loro volontà.
Inizialmente è stata la mancanza di rispetto per la fede cristiana ad attirare l’attenzione e a provocare reazioni. Ma poi i commentatori più avvertiti hanno compreso che durante la cerimonia di inaugurazione delle olimpiadi parigine non è andata in scena semplicemente l’ennesima parodia del Cenacolo ma il manifesto di una futura società post-cristiana e neo-pagana. In questa nuova società post-cristiana l’inclusione delle minoranze sessuali si realizza grazie alla vittoria non già della legge (cristiana) dell’amore ma del principio (dionisiaco) del piacere.
L’affermarsi di una fraternità dionisiaca, alternativa alla fraternità cristiana, non è certamente una prospettiva cui può guardare con interesse e per la quale intende lavorare la comunità degli omosessuali credenti. A mio avviso, il vero abbaglio lo ha preso chi ha visto nel Cenacolo affollato di drag queen un sintetico trattato di teologia queer.
Per giustificare la scelta compiuta dagli organizzatori è stata chiamata in causa la libertà di pensiero. Ma, se ognuno è libero di immaginare come meglio crede il futuro dell’umanità, è legittimo chiedersi se l’inaugurazione dei giochi olimpici fosse il luogo e il momento opportuno per prendere posizione. Chi accetta un invito un invito a cena cena si aspetta che il suo ospite non colga l’occasione per dileggiare il suo modo di pensare e per cercare di inculcargli la sua propria visione delle cose.
Considerato che ci sono state innumerevoli rappresentazioni satiriche dell’ultima cena, molte delle quali passate quasi inosservate, ci si è chiesti se lo scandalo suscitato da quella parigina non sia dovuto alla presenza delle drag queen nel ruolo di Gesù e degli apostoli e se esso non abbia quindi la sua vera motivazione nella diffusa transfobia, di cui neppure gli omosessuali sono immuni. Essendo tra coloro che si sono sentiti offesi dallo spettacolo parigino, non posso evitare di fare un esame di coscienza in proposito, come è stato amichevolmente richiesto. Confesso che provo fastidio nel vedere che l’odierna società dello spettacolo è disposta a concedere grande spazio alle persone transessuali e transgender e che a volte non esita ad utilizzarle come se fossero fenomeni da baraccone. Penso che una tale spettacolarizzazione dell’omosessualità risulti funzionale all’affermarsi di una immagine collettiva della figura dell’omosessuale come assimilabile in tutto e per tutto a quella del maschio effeminato.
Ciò non facilita l’inclusione, ma perpetua un antico e umiliante pregiudizio secondo cui l’omosessuale è tale perché soffre di una carenza di virilità. La vecchia teoria pseudoscientifica del terzo sesso (né vero maschio né vera femmina), che sembrava essere stata sconfitta, ritorna in auge grazie alla rappresentazione deformata dell’omosessualità che l’industria dello spettacolo sta divulgando, alimentando l’omofobia e la transfobia.
Queste ultime si combattono innanzitutto favorendo l’affermarsi di una rappresentazione corretta, non parziale e non indisponente, della condizione omosessuale, prendendo atto che il modo normale, nel senso di statisticamente prevalente (ogni riferimento a Vannacci è involontario), di vivere la condizione omosessuale ha ben poco a che vedere con ciò che viene esibito generosamente nelle trasmissioni televisive.
*Valerio Merlo, nato nel 1947, ha al suo attivo diverse pubblicazioni, tra le più recenti segnaliamo: In cerca di salvezza. Wittgenstein e la religione (Lindau), Santi, eroi e brava gente.Sociologia della devianza virtuosa (Castelvecchi), La sociologia integrale di Pitirim A. Sorokin (Armando) e il volume Julien Green, scrittore cattolico nel secolo gay Omosessualità e vita cristiana nel “Journal Intégral” (1919-1950).