Così abbiamo saputo «dai nostri figli lgbt le richieste alla pastorale»
Articolo pubblicato su Noi famiglia & vita, supplemento mensile allegato ad Avvenire del 26 maggio 2019, pp.36-37
Pubblichiamo ampi stralci della prefazione che don Gian Luca Carrega, sacerdote torinese che su mandato dell’arcivescovo Cesare Nosiglia si occupa di pastorale delle persone Lgbt, ha scritto al libretto “Genitori fortunati. Vivere da credenti l’omosessualità dei figli” pubblicato dalla “Tenda di Gionata”. Il testo (Genitori Fortunati), curato da Gianni Geraci, non è in commercio e si può richiedere direttamente a tendadigionata@gmail.com
Non c’è grande differenza tra il profeta Geremia che gira per Gerusalemme portando addosso un giogo da aratro e la coppia di genitori che balla al Pride: sono “mattane” che richiamano l’attenzione su questioni serie, sono testimonianze accalorate di chi non si limita a trasmettere un messaggio ma lo incarna con la sua stessa vita. E la vita scorre copiosa nelle parole di questi genitori che non hanno rinunciato al loro ruolo in momenti complessi del loro cammino familiare. Qualcuno dirà che la loro posizione non è obiettiva perché sposano in maniera incondizionata il cammino dei loro figli. Ed è vero!
Che differenza c’è allora, tra loro e i genitori-bulli che vanno a scuola a rompere il naso al professore che ha messo la nota al figlio?! Qui non c’è alcuna rivendicazione della priorità del clan familiare rispetto alla società, non c’è traccia di quell’autoritarismo patriarcale che non si mette mai in discussione e che rifiuta le regole quando ne limitano il potere. Quella dei genitori di figli Lgbt (Lesbiche, gay, bisex e trans) è una pressante richiesta di ascolto alla società civile e alla Chiesa perché si accorgano della loro esistenza e non li trattino come estranei.
È una richiesta di dialogo, non l’imposizione di un modo di pensare. C’è una bella differenza tra il chiamarsi in disparte e l’essere buttati fuori. La denuncia dell’isolamento ecclesiale nel momento della prova fa rabbrividire e ci fa interrogare profondamente sul senso del nostro essere Chiesa.
Dovremmo essere noi pastori ad andare in cerca della “pecorella smarrita”, di chi fa più fatica e di chi si sente discriminato e invece siamo persino capaci di allontanare dall’ovile chi è dentro il recinto. In queste parole garbate c’è un richiamo alla negligenza e, diciamolo pure, all’opportunismo di una pastorale che non vuole scomodarsi su un terreno che provoca resistenze da parte di minoranze rumorose e spesso aggressive.
Ma l’ostinazione dei genitori sta lentamente cambiando le cose. Diversi parroci, catechisti, operatori pastorali che avrebbero difficoltà a trattare personalmente con persone omosessuali, si stanno interrogando sulla questione incontrando i loro genitori eterosessuali. E le loro prospettive possono cambiare sensibilmente, grazie a un paziente lavoro di condivisione. Ecco perché il loro schierarsi dalla parte dei figli non è soltanto un atto politico, ma un atto ecclesiale, di cui la Chiesa deve essere riconoscente.