David Kato Kisule, un altro martire dell’omofobia sociale e religiosa
Riflessioni di Gianni Geraci del Guado, Gruppo di ricerca su Fede e Omosessualità, di Milano del 28 gennaio 2010
Sono andati a prenderlo in casa dopo che una rivista che si proclama cristiana aveva pubblicato la sua foto accusandolo, in quanto omosessuale, di «promuovere un complotto che ha come finalità la corruzione di un milioni di bambini che hanno meno di dodici anni».
L’hanno ammazzato fracassandogli la testa e la polizia di un governo condizionato dalle numerose chiese evangelicali statunitensi che hanno fatto dell’Uganda un terreno di conquista ha detto che la causa dell’aggressione è un tentativo di furto.
L’hanno ammazzato dopo che era rientrato in Uganda da un viaggio in Europa dove aveva denunciato il clima di intolleranza e di violenza che si sta creando intorno agli omosessuali del suo paese.
Nelle numerose interviste che ha concesso durante il suo viaggio più di una volta gli hanno chiesto perché rientra nel suo paese.
La risposta è sempre stata disarmante: «Il mio compito è quello di restare nel mio paese per combattere l’omofobia».
Una lotta per l’amore e contro l’odio. Una lotta per il rispetto e contro la violenza.
Una lotta per la difesa di chi è più debole contro l’intolleranza e gli interessi delle grandi
associazioni religiose statunitensi che sfogano nei paesi del terzo molto la loro incapacità di cogliere il vero messaggio che ci viene dal Vangelo.
Una lotta di cui David Kato Kisule è un martire. A lui e a tutti i martiri che vivono sulla loro pelle le conseguenze dell’omofobia vorrei che dedicassimo le nostre veglie di quest’anno.
Per lui e per tutti gli altri martiri che vivono sulla loro pelle le conseguenze dell’omofobia dobbiamo iniziare un cammino di conversione chiedendoci fin da ora cosa possiamo fare, nel concreto, per far si che episodi come la sua morte non avvengano più.