“Perché piangi? Chi cerchi?” (Gv 20, 11-18). Il valore delle lacrime
Riflessioni inviateci di Dea Santonico scaturite dalla lettera di Paolo
Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto».
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro».
Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto. (Gv 20, 11-18)
Nella seconda parte del brano del Vangelo di Giovanni, dal versetto 11 del capitolo 20, è sottolineato in più punti il pianto di Maria di Magdala. Le sue lacrime segnano una differenza tra lei e gli altri due discepoli: loro, davanti al sepolcro vuoto, non piangono.
Quella stessa differenza che, il più delle volte, vediamo nel modo in cui le donne esprimono il proprio stato d’animo rispetto a quello degli uomini, in una società e in una cultura dove non è appropriato per gli uomini piangere, per non comportarsi da femminucce, come capita di sentir dire ai bambini, perché crescano come uomini forti, o per lo meno imparino a nascondere la propria fragilità.
Se la società in cui viviamo tende a far passare questo messaggio, non vuol dire che non ci siano situazioni molto significative e toccanti, che sfuggono alla “regola” e in cui sono gli uomini a piangere: posso testimoniarlo a partire dalla mia famiglia e dalle persone che ho incrociato nei percorsi di vita in cui sono stata coinvolta.
Avranno avuto una parte le lacrime di Maria di Magdala in quello che è successo dopo? Gesù appare a lei, e solo a lei, non ai discepoli. Perché quelle lacrime hanno saputo far rivivere a Gesù il legame profondo che c’era con lei? O forse perché solo occhi coperti da un velo di lacrime erano in grado di vedere il Risorto?
E mi vengono in mente due libri per ragazzi in cui le lacrime hanno un ruolo centrale, rivelano qualcosa, segnano un passaggio: la favola di Pinocchio e Il libro della giungla.
È per la compassione che Pinocchio prova per il suo babbo, accompagnata dalle lacrime, che la Fata Turchina lo trasforma in bambino, nonostante non possa essere citato come modello di obbedienza e di buona condotta. Chi è capace di lacrime e di compassione è un essere umano. Le lacrime e la compassione, non una bacchetta magica, hanno rivelato ed operato la trasformazione. La Fata Turchina non può che prenderne atto.
Nel Libro della giungla c’è un momento in cui Mowgli viene sopraffatto dall’emozione, e comincia a piangere. Per la prima volta in vita sua. Bagheera, la pantera, gli spiega la natura di quelle lacrime, e capisce che Mowgli è altro da sé. Il suo posto non è, e non può essere, nella giungla: deve unirsi ai suoi simili. È un essere umano: a dirlo sono state le sue lacrime. È triste Bagheera, ma sa che da Mowgli si dovrà separare.
Le lacrime, dunque, distinguono gli esseri umani, sono la loro carta d’identità. Sembrano suggerirlo Collodi e Kipling (e non solo) nei loro libri. Allora, la strada per diventare più umani passa anche attraverso il pianto? Una strada che le donne conoscono e possono indicare. Oppure c’è pianto e pianto, lacrime e lacrime? E perciò è difficile generalizzare?
In attesa di una elaborazione ulteriore da fare insieme, se ne avremo voglia, fermiamoci qui alle lacrime di Maria di Magdala. Mi piace pensare – forse perché donna che deve fare i conti con l’emozione e le lacrime – che il suo pianto abbia una parte nell’indicare la strada da percorrere insieme. Perché i nostri occhi, come quelli di Maria di Magdala velati di lacrime, siano capaci di vedere oltre, ciò che è inimmaginabile; perché il pianto ci aiuti a riconnetterci con la parte più profonda di noi, dove forse si nasconde Dio, ci renda capaci di leggere i segni della resurrezione ed operare le resurrezioni che toccano a noi.
Nella guerra in Ucraina, e in tutte le guerre, sono le lacrime delle donne, dei vecchi, dei bambini e delle bambine, ma anche quelle dei soldati (più difficili da vedere: per loro essere ripresi mentre piangono costituisce un rischio in più, è un’immagine che da sola fa cadere la propaganda di guerra) a ricordarci la nostra comune appartenenza al genere umano.