Degni di fedeltà, chiamati alla fedeltà. Genesi come modello di amore per tutti
Riflessioni di Antonio De Caro*
Secondo alcuni sarebbe immorale accogliere le relazioni omosessuali e trasmettere loro il messaggio dell’amore fedele di Dio. Siamo certi che sia davvero così? Vorrei provare a rispondere attraverso alcune riflessioni su Genesi 2.18-25: il così detto “secondo racconto della creazione”, in cui si narra anche la creazione della donna.
Dio pensa che l’uomo non debba stare solo. Non è bene: non corrisponde al carattere sociale di questa creatura chiamata a rispecchiare l’intima natura relazionale del Creatore, che è in sé Comunità d’amore. Allora, per creare un altro essere umano, la donna, fece scendere un torpore sull’uomo. Cioè: l’uomo dorme mentre Dio crea.
Il sonno di Adamo rappresenta un’assenza di Adamo dalla creazione della donna: nel senso che essa nasce dalla libera iniziativa e dalla potenza sovrana di Dio. Dio crea la donna da solo, senza che l’uomo ne sia nemmeno spettatore, quasi riavvolgendo indietro il nastro della storia e riportandolo al punto zero: questo vuol dire che fra Dio e la donna, fra Dio e l’Altro essere umano, vi è lo stesso rapporto che c’è fra Dio e il Primo.
L’Altro discende direttamente dalle mani del Creatore, come il Primo, come me: quindi possiede la stessa dignità assoluta, e la sua identità scaturisce, come la mia, dal mistero della creatività saggia e amorevole di Dio. L’Altro è uguale a me per dignità, ha un valore assoluto e va rispettato come mistero, come creatura altrettanto libera e sacra.
Immaginiamo la forza di questa rivelazione nel contesto del libro più antico e autorevole dell’Antico Testamento: una rivelazione da cui si evince, nel cuore di una cultura patriarcale come quella giudaica, la piena dignità e parità della donna rispetto all’uomo. Tale messaggio è pienamente coerente con quello del “primo racconto della creazione”, quando dice che Dio creò l’uomo “maschio e femmina” (Gen 1.27), come varianti della stessa natura e portatrici dello stesso valore.
Dio plasma la donna da una costola di Adamo, che poi la riconosce come parte autentica di sé. Le costole proteggono, senza stringere, le parti vitali del corpo umano e gli danno forma. Nella relazione d’amore, ognuno dei due è chiamato a proteggere, senza opprimere, le parti vitali dell’altro.
I due erano nudi e non provavano vergogna, come poi avverrà invece dopo il peccato (Gen 3.10). Nella relazione d’amore ognuno dei due è libero di mostrare all’altro la propria intimità, i propri difetti, la propria fragilità, senza paura di essere giudicato, nella consapevolezza che l’Altro è come me, bisognoso di essere accolto, rispettato, compreso e protetto. I limiti umani non ce lo consentono mai fino in fondo, ma è una forma di amore molto simile a quella che Dio ha per noi.
Questi versetti delineano, quindi, un’etica della relazione d’amore, che rappresenta un ideale verso cui tendere: è la condizione dell’umanità prima della caduta, quando la creatura sentiva e agiva ancora in piena sintonia con il Creatore.
“Per questo”, cioè in forza della chiamata a questa etica della relazione, “l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne”. Il versetto svela anche che la famiglia di origine è una condizione che ogni individuo trova prima di sé senza sceglierla; ma il traguardo verso cui tendere è un progetto di vita che si sceglie e si costruisce insieme; il valore morale di tale progetto deriva dall’impegno personale e dall’intenzione di realizzare il modello proposto dal racconto della creazione.
Il testo contiene infatti 3 verbi al futuro, prima singolare e poi plurale (lascerà, si unirà, saranno): l’essere umano realizza la propria chiamata e il senso della sua vita facendo liberamente delle scelte ed impegnandosi in un progetto che informa di sé il tempo dell’esistenza. Ecco perché poi Gesù riprende il versetto per ribadire che la donna non può essere ripudiata come un oggetto, poiché in quel progetto possiede la stessa autonomia, da protagonista (Mt 19.4-5).
Sono ben consapevole che questo testo viene interpretato da molti cattolici per dimostrare che l’orientamento e le relazioni omosessuali sono contrari alla natura umana e al progetto di Dio. Non intendo qui affrontare il problema della “legge naturale”, su cui rimando alle efficaci riflessioni (nell’alveo della teologia cattolica) di Salzman Lawler e Migliorini.[1]
Richiamo semplicemente un concetto essenziale: le persone omosessuali non scelgono il loro orientamento affettivo e sessuale, che per loro è dato e costituisce la loro natura. Se agissero da eterosessuali, agirebbero contro la propria natura psicofisica e spirituale. Ma se da un lato l’orientamento omosessuale costituisce una condizione di partenza, di cui non sono imputabili, ciò in cui possono esercitare una responsabilità morale è come vivere l’affettività e la sessualità: cioè verso quali scelte, quale progetto, quale futuro (singolare che diventa plurale).
Se due persone omosessuali, adulte e libere, scelgono di stare insieme e di amarsi, e si sforzano di assomigliare giorno per giorno all’etica della relazione delineata nel passo della Genesi, possono davvero essere condannate? Solo perché non possono generare biologicamente la vita? Nel passo in questione non si fa riferimento alla procreazione, ma al partner che è nello stesso tempo “altro da me” e “carne della mia carne”, mistero, dono di Dio, portatore di eguale dignità e valore. Crediamo davvero che Dio abbia a cuore l’anatomia e la fisiologia della materia più della capacità d’amore delle sue creature?
Forse è questo uno dei messaggi specifici che l’amore omosessuale può trasmettere all’umanità e alla Chiesa: che la cosa importante, per la vita umana in questo mondo e nell’altro, è vivere all’insegna dell’amore, in cui si realizza il più possibile il proprio desiderio di individui chiamati alla relazione. E questo messaggio non intende scalfire minimamente la bellezza e la dignità dell’amore eterosessuale, -chiamato anche a propagare la vita biologica- né a soppiantarlo, né a sovvertirlo: l’etica della relazione (dignità dell’Altro, protezione, fiducia, accoglienza, progetto) è, in quanto modello spirituale e non materiale, accessibile ad ogni forma di amore umano, quindi anche all’amore omosessuale (cioè alle persone che si orientano verso di esso).
Da questo punto di vista, quando gli omosessuali chiedono che le loro relazioni siano riconosciute civilmente e moralmente e quando aspirano alla dignità sponsale, non si tratta (se non in alcuni casi, ovviamente) di “conformismo”. Sono conformista se il mio obiettivo è solo una esteriore omologazione, un’imitazione dell’apparenza (la cerimonia, gli anelli, la festa…).
Ma se due persone omosessuali (anche solo convivendo) cercano di amarsi secondo l’etica della relazione che abbiamo visto prima, esse aspirano alla “conformità”, cioè a condividere gli stessi doveri e diritti delle altre forme di relazione. Con-formità vuol dire infatti “avere una forma insieme” (i due saranno una sola carne…); o anche “dare una forma insieme”, poiché tutta la comunità trae beneficio se le persone scelgono liberamente di amarsi in modo costruttivo ed oblativo.
La fedeltà è quello che nasce -dentro di me e dentro il mio compagno o la mia compagna- quando capiamo tutto questo, e quando capiamo che tutto questo può darci la forza e la gioia di cui abbiamo bisogno. Lo capisci, però, quando lo “desideri”, cioè quando ascolti l’impulso al bene che porti nel cuore.
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[1] T.A.Salzman – M. G. Lawler, The sexual person. Toward a renewed Catholic anthropology, Washington 2008; D. Migliorini, L’amore omosessuale (con B. Brogliato), Assisi 2014; D. Migliorini, Gender, filosofie, teologie. La complessità, contro ogni ideologia, Milano-Udine, 2017.
* Antonio De Caro (Palermo, 1970) insegna Lettere nelle Scuole Superiori. Esperto di filologia e cultura greco-latina, ha svolto progetti di ricerca in Italia e all’estero, e ha pubblicato diversi contributi su temi di letteratura e didattica. Recentemente i suoi interessi si sono rivolti al campo della comunicazione, soprattutto riguardo l’impiego della letteratura nel counseling. Collabora con il Portale Gionata e fa parte dei gruppi Davide e Spiritualità Arcobaleno (Parma).