Dell’esclusione a una misericordia senza limiti. Due modi per vivere la propria fede cristiana
Testo di Dawn Eden Goldstein pubblicato sul blog Where Peter Is (Stati Uniti) l’11 febbraio 2025. Liberamente tradotto dai volontari del progetto Gionata.
Il 9 giugno 1918, in una cappella cattolica di Denver (Stati Uniti), migliaia di persone sfilarono silenziosamente davanti al corpo della prima laica cattolica americana a cui sia mai stato concesso il privilegio di essere esposta in chiesa. Questa donna straordinaria non apparteneva alla classe dirigente della città.
Era una domestica, precedentemente schiava, che vedeva da un solo occhio e indossava gli stessi vestiti ogni giorno. Il suo nome era Julia Greeley, e si dedicò al servizio dei poveri di Denver.
La signora Greeley, una dei “Saintly Six” (i “Sei Santi”) afroamericani in fase di canonizzazione, mi è venuta in mente da quando il Vice Presidente statunitense JD Vance – che, come la signora Greeley (e me), è un convertito al cattolicesimo – ha iniziato a usare la sua carica per inveire contro i vescovi cattolici.
Secondo Vance, vice presidente degli Stati Uniti, l’attenzione della Chiesa cattolica per gli immigrati sarebbe solo un pretesto per suoi interessi economici, mentre il principi dell’ America First incarnerebbero un’idea “cristiana”, che antepone l’amore per la famiglia a quello per il prossimo.
Ma se Vance, e con lui il 54% dei cattolici americani che hanno votato per Trump, ha bisogno di un esempio concreto di cosa significhi “un amore che costruisce una fraternità aperta a tutti“, dovrebbe conoscere la storia di Julia Greeley. Il suo è un modello autentico di come vivere il Vangelo.
La fede di Julia Greeley
Nata in schiavitù a Hannibal, Missouri, negli anni ’30 o ’40 del XIX secolo, Julia non sapeva con certezza la sua data di nascita. A tre anni, un colpo di frusta del padrone la colpì al volto, danneggiandole irrimediabilmente l’occhio destro. Da allora, lacrimava costantemente.
Liberata con il Proclama di Emancipazione, si mantenne lavorando come domestica. Negli anni ’70 dell’Ottocento, si trasferì a Denver, impiegata presso William e Julia Gilpin. Fu proprio la signora Gilpin, cattolica devota, a ispirarla a convertirsi. Il 26 giugno 1880, Julia fu battezzata nella chiesa del Sacro Cuore di Denver (Sacred Heart Catholic Church) e sviluppò una profonda devozione per il Sacro Cuore di Gesù.
Il signor Gilpin, invece, non era cattolico e non vedeva di buon occhio il legame tra sua moglie e Julia. Anzi, arrivò a licenziarla con accuse infamanti, cercando di rovinarle la reputazione per impedirle di trovare lavoro altrove.
Nel frattempo, il matrimonio dei Gilpin andava in pezzi. Nel 1887, il signor Gilpin chiese il divorzio, accusando la moglie di aver accolto in casa una “donna immorale” – un chiaro riferimento a Julia.
Molti testimoni si schierarono in difesa di Julia, descrivendola come una persona di grande moralità e virtù. Tuttavia, il processo durò anni e fu un tormento per lei, che si vide calunniata ingiustamente.
La carità oltre ogni barriera
Nonostante tutto, Julia non lasciò che l’amarezza la cambiasse. Trovò conforto nel Sacro Cuore e, anziché chiudersi nel dolore, si dedicò agli altri.
Denver, all’epoca, era una città profondamente razzista. Il 98% della popolazione era bianca e il Ku Klux Klan aveva infiltrato le istituzioni. I neri erano emarginati e discriminati ovunque, dai ristoranti ai teatri.
Se avesse seguito l’idea di Vance, secondo cui la carità dovrebbe restare “in famiglia”, Julia si sarebbe limitata ad aiutare il piccolo quartiere nero della città. Ma il suo amore non conosceva confini.
Quando non era impegnata a pulire la chiesa per pagare l’affitto della sua stanza, girava per Denver con un carretto rosso, raccogliendo e distribuendo vestiti ai poveri. E non si fermava davanti al colore della pelle: aiutava chiunque ne avesse bisogno.
Sapeva che molte famiglie bianche avrebbero preferito morire di fame piuttosto che essere viste ricevere aiuto da una donna nera. Così, per proteggerle dall’umiliazione, usciva di notte e lasciava il necessario davanti alle loro porte, senza farsi vedere.
Alla sua morte, Julia Greeley ricevette un omaggio straordinario: la sua bara fu esposta una chiesa cattolica, onore mai concesso prima a una laica negli Stati Uniti. Migliaia di persone accorsero per darle l’ultimo saluto.
La sua storia è una testimonianza vivente di cosa significhi amare come Cristo. Non un amore limitato dai confini di una nazione o di un gruppo, ma un amore senza eccezioni.
*Dawn Eden Goldstein è una teologa e canonista. Ha studiato la vita di Julia Greeley che ha raccontato nel suo libro “The Sacred Heart: A Love for All Times“. Seguitela su BlueSky @dawnofmercy
Testo originale: A Tale of Two Converts