Desiderio e amore coniugale omosessuale. Una vecchia accusa e quello che può pro-vocare
Riflessioni di Luigi Testa*, prima parte
L’accusa di promiscuità che viene mossa alle persone omosessuali è ormai così logora e usurata da non indignare più nessuno.
Forse, proprio questo stemperamento dei toni può far sì che quell’accusa, anziché agitarci, pro-vochi qualche lucida e distaccata riflessione sulla nostra realtà, a cui queste pagine vogliono essere un contributo personalissimo, forse ancora in divenire, e dunque libero da ogni pretesa di condivisione assoluta o universale.
L’unica richiesta per la franchezza del dialogo è che si abbia la serenità di abbandonare ogni difesa ideologica e di constatare con semplicità l’esistenza – in noi e in chi ci è intorno – di desideri a volte disordinati, di relazioni spesso intermittenti, di ricerche affannose e talvolta bulimiche.
Mano a mano che la realtà si va svelando, emergono sempre di più esperienze di amore coniugale tra persone omosessuali che vivono la scommessa della relazione “per sempre” – il recente libro di Gianni Geraci, Nella buona e nella cattiva sorte, è prezioso da questo punto di vista. Ma ciascuno di noi fa esperienza quotidiana anche di altra parte della realtà – e la fa anzitutto nella sua carne, guardando se stesso e il mondo che lo abita.
Non si tratta evidentemente di qualcosa che appartiene solo al mondo omosessuale, da cui il mondo eterosessuale è immune: bisogna guardarsi bene dalla tentazione manichea di contrapporre questo mondo a quell’altro, come forse anche alcuni residui di omofobia interiorizzata possono inclinarci a fare.
Ma è probabilmente vero – e si tenterà a breve qualche abbozzo di motivo – che le persone omosessuali hanno un’esperienza forse più viva di quella che è in realtà una cifra costitutiva, essenziale, dell’essere umano, su cui la psicanalisi dell’ultimo secolo ha riflettuto diffusamente.
La legge del «non tutto» e il desiderio di essere desiderati.
Già la riflessione freudiana ha messo bene in luce la tensione che c’è tra la capacità espansiva e predatoria dello spirito dell’uomo e la natura invece limitata dell’essere umano.
Si tratta della tensione drammatica tra il desiderio di tutto del cuore umano e la “legge di castrazione” che è iscritta nella sua stessa natura, e che sul piano simbolico elaborato da Freud è figurata dal divieto di incesto: non puoi possedere tua madre – non puoi tutto. Si tratta, beninteso, di una legge che non è di condanna – sebbene possa essere talvolta così percepita – ma di salvezza, perché solo essa – e la sua accettazione – garantisce l’esistenza. Lo si comprende bene, forse, se si considera che sul piano politico, l’aspirazione a superare tale legge è rappresentata dall’esperienza del totalitarismo, che conduce all’annientamento dell’uomo.
La legge del «non tutto» è dunque la cifra essenziale dell’esperienza umana, di cui facciamo continuamente esperienza, e la sua mancata accettazione – già figurata nella vicenda del peccato originale: «puoi mangiare di tutti gli alberi, ma non» – sfocia in atteggiamenti di delirio talvolta anche propriamente clinici.
Siamo strutturalmente una mancanza, dunque, e dobbiamo alla riflessione di Lacan l’idea che, nell’ordinarietà, il sintomo di questa mancanza strutturale è il nostro desiderio.
Non è questa la sede per una più diffusa disamina della tesi lacaniana: si può rinviare, oltre che ai testi originali, alla lettura che ne fa oggi Massimo Recalcati, nei suoi numerosi scritti.
Con brutale approssimazione, si può almeno dire che Lacan scompone il desiderio per coglierne l’oggetto proprio, e arriva per questa strada a sostenere che l’oggetto del desiderio non sia altro che il desiderio dell’altro. In sostanza: io desidero essere desiderato. In altri termini: io desidero che l’altro mi desideri.
Ancora meglio: io desidero che l’altro risponda alla “domanda di riconoscimento” che mi mette al mondo, che mi mette alla vita, tanto che sul piano simbolico è la domanda la cui risposta si attenderebbe dal padre. Questa “domanda di riconoscimento” è, per Lacan, «Puoi perdermi?», puoi fare a meno di me? sono sostituibile?
Per Lacan il desiderio, nella sua radicale essenzialità, desidera che ci sia qualcuno (perché il desiderio fondamentale è desiderio di relazione) che mi dica: «Io non posso perderti. Tu per me sei insostituibile».
D’altra parte, l’esperienza tragica della fine dell’amore ha in questo il suo risvolto più doloroso: nella scoperta, all’improvviso, che l’altro può vivere anche senza di me. Questo ci turba: accorgerci che l’altro va avanti anche senza sentirci, senza vederci, senza stare con noi. Non siamo per lui insostituibili.
È forse il caso di precisare, peraltro, che la stessa dinamica costituisce la cifra essenziale anche del cosiddetto desiderio sessuale, che è sempre desiderio di relazione, tanto che sarebbe più corrispondente alla realtà parlare di desiderio tout court, senza altre etichette.
Anche se io non cerco una relazione nel senso corrente del termine, in realtà, io sto cercando uno che in quel momento mi dica «Tu sei insostituibile»; e, in quel momento, lo sono realmente, perché il godimento fisico cui sto contribuendo non ci sarebbe se non ci fossi io: quel godimento non può fare a meno di me, in quel momento. Ancora una volta: io ho desiderato essere insostituibile per l’altro amante.
Probabilmente, questo desiderio del desiderio dell’altro – che è la cifra essenziale di ogni essere umano, a prescindere dall’orientamento sessuale – è più vivido nell’esperienza delle persone omosessuali. Forse a motivo della non istituzionalizzazione (o perlomeno della non completa istituzionalizzazione) che accompagna, almeno nella nostra società, le loro esperienze affettive. O forse, più convincentemente, a motivo della particolare forza – spesso della particolare violenza – con cui la “domanda di riconoscimento” si presenta nell’esperienza faticosa di chi si scopre omosessuale.
*Luigi Testa è autore di testi a carattere giuridico e scrive su alcuni quotidiani nazionali. “Via crucis di un ragazzo gay” (Castelvecchi, 2024) è il suo primo libro di natura spirituale, altre sue riflessioni sono pubblicate anche su Gionata.org