Dietro la realtà del silenzio. Le speranze e le difficoltà che vivono le suore lesbiche
Testo tratto dal libretto Out of Silence God Has Called Me; A Lesbian Religious Tells Her Story (Dal silenzio Dio mi ha chiamata. Una suora lesbica racconta la sua storia), di suor Janet Rozzano RSM, pubblicato nel 2008 dall’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry, pp. 6-10, liberamente tradotto da Diana, revisione di Giovanna e Giacomo Tessaro, parte terza
Voglio ora parlare delle suore lesbiche in generale: chi sono, come si relazionano, come escono dal silenzio, quali sono le loro speranze e difficoltà. Comincerò col ripetere che le suore lesbiche non si adattano a nessuno stampo. Conosco alcune di loro che sono religiose da cinquant’anni, altre appena entrate in comunità, e altre in punti diversi lungo la strada. Lavorano nei campi della salute, dell’istruzione, della pastorale, nel campo sociale, altre invece dirigono le loro congregazioni.
Alcune suore hanno fatto coming out con la loro comunità, con le colleghe e i colleghi, con la famiglia e con gli amici, mentre altre rivelano la loro identità sessuale solo a poche persone fidate. Alcune si sentono libere di parlare di temi sessuali; altre tendono, per varie ragioni, a rimanere in silenzio.
Non è stato semplice, per le suore lesbiche, trovarsi e comunicare fra loro. Possono essere entrate in comunicazione tramite gli eventi di New Ways Ministry, oppure attraverso WomanJourney
Weavings, una pubblicazione non periodica di New Ways Ministry dedicata alle religiose lesbiche.
Alcune si sono incontrate a Rockhaven, un centro del Missouri dove si svolgono ritiri estivi per suore lesbiche; altre ancora si sono incontrate tramite i bollettini, i ritiri o gli inviti di Communication Ministry, una rete nazionale per i consacrati gay e le consacrate lesbiche. In alcune zone urbane del Paese le religiose lesbiche hanno trovato gruppi di supporto, che hanno fornito un luogo di accoglienza.
Anche i ministeri diocesani e nazionali per persone gay e lesbiche e i Capitoli Dignity hanno offerto luoghi di incontro alle suore lesbiche. Alcune di loro si ritrovano online su siti appositi. Oltre queste poche risorse, le suore lesbiche sono abbastanza isolate, ed è facile che pensino che non c’è nessun’altra come loro nella loro congregazione, o nell’area geografica in cui risiedono.
Speranze e difficoltà
Vorrei condividere con voi alcune speranze e difficoltà delle suore lesbiche. Ho chiesto loro di inviarmi idee per preparare queste riflessioni, e le loro risposte toccano temi importanti per la nostra consapevolezza.
Una di loro scrive: “La mia prima speranza è venir accettata ed accolta come lesbica dalle mie consorelle”. Un’altra parla di speranze simili: “Voglio essere ‘diversa’ e completamente me stessa, senza paura di essere giudicata, ostracizzata, esclusa. Vorrei poter stare coi miei fratelli e sorelle gay e lesbiche, orgogliosa dei doni che offriamo al popolo di Dio”.
Una terza suora scrive: “Spero che il mio orientamento sessuale possa diventare un dato di fatto, come il colore degli occhi. Vorrei essere aperta e sincera con tutti […] essere riconosciuta come lesbica, solo così sarebbe [chiaro] che siamo ovunque e su ogni sentiero della vita”. Infine, una suora scrive: “Le lesbiche sono qui tra noi e noi, in quanto suore, abbiamo l’obbligo di creare una comunità e una casa in cui si sentano accolte […] per condividere le loro storie e […] l’immagine di Dio che esse portano in sé. Vorrei poter creare un ambiente realmente accogliente, e non semplicemente una bandiera dietro cui ci nascondiamo. Vorrei poter creare un ambiente dove le donne, le nostre sorelle, non debbano sentirsi in imbarazzo o vergognarsi, in cui possano mettere sul tavolo la loro vera identità”.
In un ambiente che spesso infrange queste basilari speranze di vita, le suore lesbiche affrontano grandi difficoltà. Ecco alcune delle loro riflessioni: “Sto appena cominciando a vivere la mia identità di lesbica e di religiosa”, scrive una di loro, “Ho trovato difficile parlare del mio percorso, perché noi religiose non ci sentiamo a nostro agio a parlare della nostra sessualità, per questo diventa difficile parlare della mia consapevolezza di essere lesbica, e non ho mai sentito altre suore parlare delle proprie pulsioni sessuali, dei loro desideri e delle loro attrazioni [… ] Penso che dovremmo correre il rischio di affrontare queste discussioni, anche se si parla di sessualità, e non di omosessualità”.
Questa suora è molto conosciuta nella sua diocesi; vive nel silenzio per il timore di venir allontanata dal suo vescovo, se venisse a conoscenza del suo orientamento sessuale. Ciononostante si sente “chiamata ad aprirsi di più in futuro, in modo che la gente possa vedere com’è una ‘vera’ lesbica, e come vive”.
Un’altra suora è diventata più cauta nel fare coming out: “Di recente ho capito che devo sentirmi protetta. Non faccio più coming out con le persone quando emerge il tema dell’omosessualità. Anche fra noi religiose si avverte una sottile oppressione”.
In relazione alle difficoltà che comporta il suo orientamento sessuale, una suora scrive: “Penso di essere stata chiamata ad uscire sempre di più dal silenzio da quando, nei primi anni ’70, ho fatto coming out con me stessa. Ogni passo avviene con la riflessione e la preghiera. Se il momento è appropriato […] rivelo la mia identità con sempre più consorelle e amici. Personalmente ho trovato i primi anni dopo il coming out con me stessa e pochi altri i più dolorosi e spaventosi. Anche senza conoscere la parola, possedevo un alto grado di omofobia interiorizzata. Volevo morire, letteralmente, ho tentato il suicidio e sono stata ricoverata per depressione.
Nel momento in cui ho potuto dare un nome e affermare chi ero, il tutto ha continuato ad essere spaventoso, ma non mi annientava più. Rimango salda nel non interiorizzare gli insegnamenti negativi della Chiesa sulla mia identità, e nell’ascoltare altri insegnamenti che parlano di me come ‘figlia di Dio’, chiamata a seguire Cristo nei miei incarichi e nella mia testimonianza all’interno della Chiesa, il Popolo di Dio”.
Un’altra suora è messa alla prova dai suoi stessi sentimenti mentre lotta per integrare la propria identità sessuale: “Non mi piace sentirmi diversa, e non mi piace, in particolare, sentirmi da meno di qualcuno. Non mi piace che si parli di me come di una persona anormale […] e sentirmi etichettata come ‘malvagia’. Non mi piace il conflitto che si crea quando mi guardo allo specchio, una donna lesbica, e so che sono stata creata da Dio, a sua immagine. Non mi piace nascondermi. Non mi piace dovermi proteggere e stare sempre in allerta perché nessuno mi scopra. E non mi piace aver paura e vergognarmi, pensare di aver fatto qualcosa di male mentre non è vero.
Il fatto di dovermi nascondere dice che non sono libera, nemmeno nella mia comunità religiosa, non posso condividere le mie esperienze, i miei pensieri, pregare in un modo che possa rivelarmi, e questo significa paura e vergogna. In fin dei conti porto le cicatrici che accompagnano il nascondimento. Forse la più significativa di queste è una profonda solitudine che avverto quando sembra che le persone non mi conoscano davvero, e che non sarà mai permesso loro di conoscermi”.
Alcune suore devono affrontare il fatto di lavorare in piccole città, in zone conservatrici o in posti dove la loro congregazione è molto conosciuta. Per questi motivi, cercare un supporto o essere aperte sulla loro identità sessuale appare come una minaccia, e le tiene nel silenzio. Una suora sperimenta la mancanza di consapevolezza e l’omofobia fra le proprie consorelle: “A volte mi sento invisibile”, scrive.
Nonostante queste difficoltà, le suore trovano i modi per esercitare la loro influenza. Alcune lavorano in comitati per la giustizia, per informare sui temi dell’omofobia e della discriminazione. Un’insegnante di scuola superiore sostiene gli studenti gay e lesbiche e si descrive “pronta a dire la mia, anche senza coming out”.
Molte suore sono impegnate ogni giorno a cogliere i momenti in cui devono insegnare, quei momenti in cui emergono gli argomenti “omosessualità” e “omofobia”. Queste suore offrono il loro punto di vista e la loro comprensione come aiuto o correttivo agli altri.
Da questa scelta di commenti emerge la realtà del silenzio in cui spesso vivono le nostre consorelle lesbiche. Sfortunatamente non si tratta, nella maggior parte dei casi, di un silenzio desiderabile o sano, bensì pieno di timori e di quella ambiguità morale che permea le istituzioni della società e della cultura.
Certamente, all’interno della nostra Chiesa e delle nostre comunità religiose, non siamo immuni da queste influenze negative. Voglio ora raccontare la situazione nelle nostre comunità religiose femminili, e condividere con voi i miei pensieri.
Testo originale (PDF): Out of Silence God Has Called Me. A Lesbian Religious Tells Her Story
> Brani tratti da “Out of Silence. Una suora lesbica racconta la sua storia”