“Dignità e responsabilità”. Un cammino di liberazione spirituale per tutti
Postfazione di Gianni Geraci al libro di Pino Piva, “Dignità e responsabilità. Un cammino di liberazione spirituale per tutt*” (Il Pellegrino editore, 2024)
È appena stato pubblicato il libro “Dignità e responsabilità. Un cammino di liberazione spirituale per tutt*” (editore Il Pellegrino,2024, 160 pagine) in cui padre Pino Piva raccoglie l’articolata esperienza di accompagnamento spirituale delle persone LGBT che ha maturato durante i tanti esercizi spirituali che ha guidato nell’ambito del suo ministero all’interno della Compagnia di Gesù. Pubblichiamo la postfazione in cui Gianni Geraci racconta l’importanza che questo libro può avere nella vita spirituale di tanti cristiani LGBT+.
Quando il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda che le persone omosessuali, «attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana», più che un percorso concreto indica un ideale.
Leggendo questo scritto di padre Pino Piva ho pensato: «Finalmente trovo delle indicazioni concrete capaci di aiutare le persone omosessuali ad avvicinarsi a quella “perfezione cristiana” di cui parla il Catechismo! Finalmente non si chiudono gli occhi sulle vere difficoltà oggettive che una persona omosessuale incontra nel suo cammino di avvicinamento a questa perfezione! Finalmente si propongono dei percorsi capaci di mettere da parte secoli di pregiudizi e di sterile fatalismo che porta spesso alla conclusione secondo cui cristianesimo e omosessualità sono incompatibili!».
Conosco poco il “metodo ignaziano”, nel leggere le parole di padre Piva ho però ritrovato alcune reminiscenze di un’idea che si era formata dentro di me più di trent’anni fa, quando in seguito alla scoperta delle opere di Gustave Thils ero arrivato alla conclusione che la mia strada verso la santità non poteva escludere la mia omosessualità, ma passava “attraverso” il mio orientamento omosessuale. Da allora posso dire che tutta la mia vita è stata un susseguirsi di tentativi, più o meno goffi, di realizzare nella mia vita questa intuizione di fondo. Da allora ho sempre pensato che uno dei grandi limiti della proposta che il magistero cattolico fa alle persone omosessuali è l’assenza di qualunque indicazione ispirata a quel sano realismo senza il quale il rischio è quello di generare dei comportamenti schizofrenici, in cui si esalta una perfezione che in realtà non si cerca e si disprezza una vita che, in realtà, è quella che ispira le nostre scelte concrete.
Alcune delle scoperte che ho fatto nel frattempo si sono rilevate solide (penso ad esempio all’idea di mettere al primo posto la mia vita di preghiera e di mettere in secondo piano la mia capacità di vivere nel concreto quella temperanza che stava diventando per me più un’ossessione che un ideale), altre si sono rivelate sbagliate (penso per esempio ai tentativi di “guarire” dalla mia omosessualità o ad alcune mortificazioni corporali che mi hanno fatto star male senza aumentare la mia capacità di autocontrollo). Rivedendolo ora con gli occhi di chi l’ha vissuto in prima persona mi rendo conto che è stato un percorso tortuoso, pieno di contraddizioni, di sofferenze e di scelte sbagliate, ma ricco anche di scoperte esaltanti e di momenti di grazia. Più di una volta, durante questo percorso che è durato quasi quarant’anni, ho sentito l’esigenza di incontrare una proposta di cammino sistematica che fosse capace di tener conto non solo dell’ideale che il Vangelo propone, ma anche delle difficoltà specifiche che una persona omosessuale ha nel perseguire questo ideale. Ora finalmente l’ho incontrato.
Un cammino verso la santità, l’avrei definito quando ho iniziato a cercarlo.
Un cammino di liberazione, lo definisce padre Piva.
Un cammino di riconciliazione con la propria vita o, meglio, con l’idea che Dio ha di ciascuno di noi. Ecco perché vorrei chiudere questa breve riflessione ricordando quello che si legge nel capitolo 3 della Prima lettera di Giovanni: «Se anche il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore».