Dio è la mia casa. Il peccato non è l’omosessualità ma il pregiudizio
Testimonianza di Pietro del gruppo Effatà di Milano e volontario de La Tenda e del Progetto Gionata
Era l’8 dicembre del 1994 e Dio mi venne incontro. Avevo 20 anni, avevo appena accettato la mia omosessualità e mi ero innamorato. Nulla di grave apparentemente. Invece ciò che a me sembrava normale (naturale oserei dire) per gli altri non lo era affatto.
Ricordo ancora la confusione che si generò fra i miei amici dell’università nello scoprire che ero gay, semplicemente perché le mie attenzioni verso uno di loro erano cresciute e si capiva che provavo per lui, qualcosa di più di una semplice amicizia.
Fu così che iniziò una sorta di progressivo allontanamento da parte dei mie amici, accompagnato dall’inesorabile giro di chiacchiericci curiosi e malevoli, che mi isolò e che mi lasciò in uno stato di profonda prostrazione psicologica. Mi resi conto, essendo io sempre stato religioso, che la religione in cui avevo vissuto da sempre, mi stava tradendo e che poteva essermi usata contro, come un randello sulla testa. Per questa ragione sapevo di non poterne parlare nemmeno con i miei, specialmente mia madre, troppo cattolica a quei tempi, per capire senza farne una tragedia ed in quel momento delicato, sapevo che non avrei potuto reggere ad una scenata materna.
Fu allora che pensai che la vita non valesse la pena di essere vissuta. E la mia logica era piuttosto lineare: potevo forse accettare di vivere in un mondo che considerava lo splendore dell’innamoramento alla stregua di una colpa tanto grave?
Fortunatamente Dio è un padre attento. Quando si rende conto che un suo figlio rischia di perdersi, esce di casa e gli corre incontro proprio come un padre vero, riportandolo a casa e riconsegnandogli la dignità di figlio. Il paradosso è che in questo caso il peccato (del mondo) che mi stava facendo perdere me stesso non era l’omosessualità ma il pregiudizio che, purtroppo, anche la religione contribuiva e contribuisce ad alimentare.
Io sono sempre stato molto sensibile alla vita di fede ma non avevo mai incontrato Dio personalmente. In quell’8 dicembre disperato, in cui vagavo senza meta per la città, Lui mi corse incontro.
Fu allora che capii chi era Dio e capii la differenza fondamentale tra fede e religione. Dovrei dire meglio, che percepii chi era Dio: Dio era casa mia. Era il luogo dell’accoglienza incondizionata. Era quell’amore che tutti vorremmo gustare. Ancora mi commuovo ripensando all’intensità di quel senso di accoglienza e di quella luce calda e rassicurante che ho avvertito nel mio cuore all’improvviso. Questa esperienza fu come un sogno ad occhi aperti, in pieno giorno.
Da quel momento la mia vita non fu più la stessa. Mi resi conto che Dio era la mia felicità e io dovevo sapere di più su di lui. Ogni occasione era buona per studiare la bibbia.
Mi fu di aiuto in quel periodo, un giovane prete cattolico a cui decisi di parlare che, nonostante non avesse alcuna formazione sull’omosessualità, cercò comunque di farmi coraggio e soprattutto mi ascoltò molto. A volte il semplice saper ascoltare è importante.
Ho anche frequentato a lungo il gruppo di LGBT credenti Kairos di Firenze, esperienza che ricordo sempre con grande piacere e che mi fu di grande aiuto.
Con il tempo crebbe la conoscenza del Vangelo anche grazie alla frequentazione di biblisti esperti e con la conoscenza del Vangelo, aumentava l’accettazione di me stesso come gay credente e le mie paure lentamente svanivano.
Per molti anni mi identificai semplicemente come credente in Cristo, anche se continuavo ad avere la Chiesa Cattolica Romana come riferimento non mi definivo più cattolico. Mi vergognavo a dire che ero cattolico specialmente parlando con gay lontani dalla fede, perché questa parola chiudeva immediatamente ogni possibilità di parlare della fede.
Nel frattempo, anche al lavoro i problemi non sono mancati. Omofobia più o meno strisciante mi ha appesantito la vita lavorativa.
In occasione del rancoroso family day del 2016, contro l’introduzione della legge sulle unioni gay in Italia, decisi che era giunto il momento di fare una scelta di campo e mi allontanai definitivamente dal cattolicesimo romano, per mettermi stavolta alla ricerca una chiesa più accogliente in cui riconoscermi. Certo, ho una simpatia “oscillante” per Papa Francesco, non sufficiente per accettare tutto il resto, soprattutto l’offensiva definizione di “atti intrinsecamente disordinati” contenuta nel CCC, con cui la chiesa cattolica svilisce il nostro modo di amare e fa il gioco dei fondamentalisti.
Così oggi, dopo un percorso di ricerca complesso, mi sono recentemente avvicinato alla chiesa episcopale (chiesa alta), che trovo, per gli aspetti liturgici, molto simile alla Chiesa Cattolica ma con in più, una grande apertura verso le tematiche LGBT e in maggior sintonia con il mio modo di percepire una comunità cristiana oggi. Ho contribuito a creare anche un gruppo di gay credenti vicino alla chiesa episcopale milanese che si chiama Effatà.
In questa mia ricerca di una dimensione di sempre maggior sintonia con me stesso e con il mondo che mi circonda, non ho mai smesso di desiderare una mia storia familiare personale, insieme ad un compagno con cui condividere un pezzo di vita terrena.
Oggi, a oltre 20 anni da quel fatidico 8 dicembre, sono felice di quello che sono. Ringrazio Dio di avermi fatto gay, perché la mia vita fino ad ora, è stata un’avventura a volte faticosa ma meravigliosamente irripetibile, proprio per questa mia condizione. Ringrazio Dio per la fedeltà con cui mi ha amato, dimostrandomi “con i fatti” di essere dalla mia parte anche di fronte a “nemici” molto più potenti di me e che oggi mi fa dire: “Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura?” (Salmo 26).
Auguro a tutti il coraggio della ricerca del meglio per se stessi, perché tutti ci meritiamo un po’ di pace, una vita serena, liberata per quanto possibile, da inutili pesi e una comunità davvero cristiana cioè liberante, che ci accolga nella quotidianità per quello che realmente siamo e che sia immagine accogliente del nostro Dio.