Discutere di realtà o di presunte lobby gay? I due poli dell’infuocato dibattito sui preti gay
Articolo di Francis X. Rocca* pubblicato sul sito del quotidiano Wall Street Journal (Stati Uniti) il 19 gennaio 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
La scorsa estate la Chiesa Cattolica ha cominciato ad essere scossa dalle accuse rivolte all’arcivescovo emerito di Washington DC, Theodore McCarrick, secondo cui avrebbe molestato dei minori e commesso abusi sessuali su seminaristi e sacerdoti nell’arco di più di vent’anni. Il caso McCarrick ha ravvivato l’annoso e teso dibattito sulla questione dell’omosessualità nel clero cattolico, composto da soli uomini.
Vescovi, sacerdoti e laici hanno preso l’ascesa al potere del cardinale McCarrick, nonostante già allora si parlasse molto dei suoi comportamenti, come prova dell’esistenza di una “sottocultura omosessuale” all’interno della gerarchia cattolica, che prima permetterebbe gli abusi sessuali, poi li coprirebbe: “Queste reti di omosessuali, ormai diffuse in molte diocesi, seminari, ordini religiosi, ecc., agiscono coperte dal segreto e dalla menzogna con la potenza dei tentacoli di una piovra e stritolano vittime innocenti, vocazioni sacerdotali e stanno strangolando l’intera Chiesa” scrive l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, nella sua lettera pubblicata lo scorso agosto.
Nell’incontro di novembre della Conferenza Episcopale Statunitense l’arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone ha citato una ricerca di padre D. Paul Sullins, sociologo alla Catholic University of America (Università Cattolica d’America), che afferma la correlazione tra l’incidenza di presunti abusi sessuali, la percentuale di sacerdoti che si definiscono omosessuali e l’esistenza, da taluni confermata, di una “sottocultura omosessuale” in alcuni seminari statunitensi. L’arcivescovo Cordileone esclude un “collegamento causale diretto” tra l’omosessualità e gli abusi, ma ha auspicato ulteriori studi sul tema.
Una parte del clero denuncia simili affermazioni come tentativi di scaricare tutte le colpe sui sacerdoti omosessuali. Il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, che è uno degli organizzatori del summit vaticano sugli abusi sessuali convocato da papa Francesco, smentisce ogni collegamento tra omosessualità e abusi, che trovano piuttosto le loro radici “nei privilegi, nel potere e nell’omertà della cultura clericale”.
Uno studio del John Jay College of Criminal Justice (Ateneo John Jay di diritto penale), commissionato dalla Conferenza Episcopale Statunitense e pubblicato nel 2004, afferma che l’81% delle vittime di abuso da parte di sacerdoti di cui si è a conoscenza è maschio. In un’ulteriore studio del 2011 i ricercatori del John Jay non hanno trovato prove che l’orientamento omosessuale sia un fattore che spinge a compiere abusi, suggerendo che l’alta percentuale di vittime maschi sia almeno in parte causata dalla loro maggiore disponibilità, soprattutto quando alle ragazze non era ancora concesso fare le chierichette.
Chi asserisce il collegamento tra gli abusi sessuali e la sottocultura omosessuale del clero cita spesso l’opera del defunto A.W. Richard Sipe, uno psicoterapeuta pioniere nello studio degli abusi clericali. Nel 2008, in una lettera aperta a Benedetto XVI, Sipe scrisse di aver udito “da molti sacerdoti di essere stati sedotti da prelati di alto rango e le terribili conseguenze che ciò ebbe nella loro vita, per il fatto di essere delle vittime, ma non solo […] Quegli abusi erano un qualcosa che andava poi trasmesso ad altri, come una catena, in cui si avevano rapporti tra sacerdoti e anche con minori”.
Sipe scrisse anche però che “gli abusi sessuali di ragazzi minorenni da parte di sacerdoti non vanno confusi con l’orientamento omosessuale […] il che è perfettamente chiaro quando un uomo di 35 anni abusa di una ragazzina tredicenne. In questo caso, nessuno incolpa l’orientamento eterosessuale”.
Padre James Martin, autore di Un ponte da costruire, un libro che parla delle relazioni tra la Chiesa con le persone cattoliche omosessuali, liquida le voci che parlano della “sottocultura omosessuale” come leggende in malafede: “Esiste una sottocultura gay come esistono una sottocultura irlandese o una sottocultura sportiva. In un certo senso, è naturale che i sacerdoti e i religiosi gay facciano gruppo”, ma nega che in qualche modo abbiano il controllo della gerarchia: “Il pensiero che a qualcuno possa essere impedito di diventare vescovo o superiore di un ordine perché etero è ridicolo”.
Un punto su cui tutti sembrano essere d’accordo è che oggi il sacerdozio è una vocazione che attira un numero spropositato di omosessuali. Dei 37.000 sacerdoti che operano negli Stati Uniti padre Martin stima che i gay, in tutte le diocesi, siano tra il 25% e il 40%. Janet Smith, una docente di teologia morale di un seminario di Detroit che ha auspicato “lo sradicamento […] delle reti di omosessuali” stima che la percentuale di “omosessuali attivi” vari molto [da diocesi a diocesi], ma che in alcune diocesi statunitensi sia attorno al 50%.
Perché ci sono tanti sacerdoti gay? Una ragione spesso citata è che, quando ancora l’accettazione sociale dell’omosessualità era minima o nulla, il celibato clericale era un’alternativa rispettabile per i cattolici che non desideravano sposarsi: “Il coming out non era possibile negli ambienti conservatori e molto religiosi; farsi prete, quindi, era un’alternativa perfetta. In seminario, e anche dopo, si viveva in una comunità maschile. Era un ambiente perfetto e una perfetta copertura” dice Thomas Plante, docente di psicologia all’Università di Santa Clara.
Un altro fattore sembrano essere stati i tumultuosi cambiamenti seguiti al Concilio Vaticano II (1962-65), quando solo negli Stati Uniti 20.000 uomini abbandonarono il sacerdozio, la maggior parte per potersi sposare: “Si può ipotizzare che la loro defezione abbia aumentato drasticamente la percentuale di sacerdoti gay” scrisse nel 2000 padre Donald Cozzens nel suo libro The Changing Face of the Priesthood (Un sacerdozio che cambia volto).
Secondo la Chiesa Cattolica le “tendenze omosessuali” non sono in sé peccaminose, ma sono “oggettivamente disordinate” in quanto costituiscono un’inclinazione ad atti peccaminosi. Nel 2005 un documento vaticano stabilì che la Chiesa “non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”.
Papa Francesco ha dimostrato una maggiore apertura sul tema rispetto ai suoi predecessori; la frase più celebre del suo pontificato è un riferimento ai sacerdoti gay: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicare?”, eppure nel 2016 ha approvato un documento che conferma l’esclusione dei gay dai seminari, esclusione che ha riformulato con parole sue nel libro-intervista pubblicato lo scorso dicembre: “Nella vita consacrata e in quella sacerdotale non c’è posto per questo tipo di affetti. Per questa ragione, la Chiesa raccomanda che le persone con questa tendenza radicata non siano accettate al ministero né alla vita consacrata. Il ministero o la vita consacrata non sono il loro posto”.
Francesco non ha ordinato l’espulsione dei gay che sono già sacerdoti, ma ha detto comunque che devono essere “perfettamente responsabili, cercando di non creare mai scandalo nelle proprie comunità né nel santo popolo fedele di Dio vivendo una doppia vita”.
Alcuni sostengono che la vita clericale ponga delle tentazioni troppo forti di fronte a un gay: “Stare in un ambiente esclusivamente maschile non è una buona cosa per chi è attratto dalle persone dello stesso sesso” afferma monsignor Charles Pope, un sacerdote di Washington DC che ha scritto sull’argomento sul [quotidiano] National Catholic Register: “Se un alcolista venisse da me e mi dicesse ‘Non bevo più, e ho trovato lavoro in un bar’ io gli direi ‘Questo lavoro non è per te’”.
Padre Martin è d’accordo sul fatto che “chi non è capace di vivere il celibato non dovrebbe essere sacerdote”, ma secondo lui non c’è nessuna ragione di pensare che i gay siano meno capaci di rimanere celibi: “Il Catechismo dice che il celibato è la strada per tutte le persone omosessuali, quindi i sacerdoti gay lo seguono alla lettera. Chi dice che un gay non può essere celibe, sta dicendo che non è possibile vivere il Catechismo”.
* Francis X. Rocca è vaticanista per il Wall Street Journal, su cui tiene la rubrica Urbi et Orbi: il mondo delle religioni visto da Roma. Nato a Washington DC, si è occupato di politica europea, università, arte e cultura. Rocca è autore di due libri e di un documentario sul Concilio Vaticano II.
Testo originale: The Tense Debate Over Gay Priests