Diventare il popolo della resurrezione. La risposta dei gay all’AIDS
Riflessioni del teologo cattolico John J. McNeill pubblicate su The Way, rivista di spiritualità contemporanea dei gesuiti inglesi, ottobre 1988, pp.332–341, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
In che modo un gay affetto da AIDS e vicino alla morte dovrebbe gestire i suoi sentimenti di paura e di rabbia, il suo senso di colpa, la sua relazione con Dio? (1) È qualcosa che migliaia di gay devono affrontare ogni giorno. Negli Stati Uniti sono morte di AIDS più di 34.000 persone e centinaia di migliaia sono state infettate. In passato la maggior parte delle persone infettate erano uomini gay, ma le cose stanno rapidamente cambiando e la maggior parte dei nuovi casi si verifica tra chi fa uso di droga per endovena. Sono consapevole che l’AIDS non sia una malattia che colpisce esclusivamente i gay. Tuttavia in questo articolo vorrei dire una cosa importate, e cioè che il contesto teologico per una riflessione genuinamente cristiana sull’esperienza dell’AIDS degli uomini gay non può essere scissa dal più vasto contesto della riflessione teologica sull’esperienza dell’essere omosessuale.
Questo articolo nasce dal contesto del mio ministero ventennale di sacerdote e psicoterapeuta omosessuale nella comunità lesbica e gay. Negli ultimi otto anni il mio ministero si è rivolto sempre di più ai gay affetti da AIDS. Ho in mente tutti i miei fratelli gay che hanno l’AIDS o sono a rischio di svilupparlo, i loro compagni, gli amici e le famiglie. Queste persone hanno un disperato bisogno di comprendere quello che stanno vivendo nel contesto di una teologia e una spiritualità cristiane che permetterà loro di collegare la realtà e l’esperienza di gay e di persone con l’AIDS all’autorivelazione di Dio in Gesù.
Queste persone sono fonte di molte ricche intuizioni, che possono sorgere soltanto dalla condivisione del loro dolore, della loro paura, della loro sofferenza e del loro coraggio, della gioia e della speranza nel continuare a vivere e nel cercare di vivere bene pur in presenza della malattia, dell’avversità e della morte.
Questioni metodologiche
Prima di affrontare direttamente la questione del significato teologico dell’esperienza dell’AIDS per le persone gay, vorrei dire una parola della nuova comprensione del ruolo che l’esperienza personale delle persone gay affette da AIDS dovrebbe svolgere nella riflessione teologica. Come indica Thomas E. Clarke nel suo articolo “A new way: reflecting on experience”, la teologia non può più essere una disciplina esclusivamente aprioristica (2). Esiste nella Chiesa contemporanea un nuovo modo di fare teologia, basato fondamentalmente sulla’”esperienza rivelatoria”. L’agente e il luogo di questa nuova forma di riflessione teologica non è il teologo di professione inserito in un ambiente accademico ma i membri delle comunità cristiane di base, nel nostro caso la comunità cristiana gay, che cercano di rendere conto della loro fede a se stessi e agli altri per dare forma alla loro azione pastorale. Il suo metodo viene descritto come
“… una riflessione cristiana comune sull’esperienza rivelatoria (in particolare sui “segni dei tempi”) interpretata con l’aiuto dell’analisi sociale, sulla base della Scrittura e della tradizione, con lo sguardo rivolto all’azione cristiana nel mondo.” (3)
Di conseguenza, se desideriamo conoscere il significato teologico e spirituale dell’AIDS per i gay, dobbiamo considerare il lato empirico della questione. Dobbiamo scoprire che significato teologico e spirituale ha l’AIDS per chi ne soffre!
Questa inchiesta ha un’altra dimensione metodologica che dovrebbe essere esplorata. La domanda solitamente posta in passato sulla relazione tra religione e sesso era: cosa dice la nostra fede cristiana (Bibbia, tradizione, opinione teologica) sulla nostra sessualità umana, sul suo scopo e su come dovremmo esprimerla? C’è una seconda domanda, ugualmente importante, come fa notare James Nelson (4), e cioè: cos’ha da dire la nostra esperienza di esseri umani sessuali sul modo in cui facciamo teologia, leggiamo la Scrittura, interpretiamo la tradizione e cerchiamo di vivere concretamente il Vangelo?
Oggi c’è particolare bisogno di una teologia sessuale, distinta dalla teologia sulla sessualità umana. La nostra sessualità umana ha sempre svolto un ruolo vitale nella nostra vita di fede, che fino ad ora è rimasto nascosto. La teologia femminista ha fatto piena luce sul fatto che le teologie più tradizionali erano basate esclusivamente su una visione patriarcale della realtà. Oggi siamo consapevole che un celato sessismo ha fatto parte per duemila anni della tradizione della Chiesa. Non siamo ancora diventati altrettanto consapevoli di quale grande ruolo abbia svolto l’omofobia nella tradizione, nell’interpretazione della Scrittura e nel giudizio morale.
L’intuizione centrale di Edmund Husserl, il padre della fenomenologia, è espressa nella frase: la realtà ci risponde sempre a seconda della domanda che le poniamo! Una persona dal corpo femminile perciò porrà domande radicalmente diverse da chi ha un corpo maschile: di conseguenza, anche la risposta che ciascuno riceverà sarà radicalmente diversa.
La premessa di questo articolo è che esistono delle domande specifiche che le donne lesbiche e gli uomini gay chiedono alla realtà e che sono diverse dalle domande eterosessuali, e che quindi abbiamo un loro contributo specifico, ovvero la teologia e la spiritualità da un punto di vista omosessuale. In questo articolo cercherò di identificare e discutere alcuni dei principali domini dell’esperienza, particolarmente in relazione all’esperienza dell’AIDS, nella quale i gay, a causa del loro orientamento omosessuale, pongono domande diverse, hanno esigenze diverse e quindi hanno bisogno di elaborare le speciali implicazioni teologiche e spirituali dell’esperienza gay dell’AIDS.
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1. Le idee presenti in questo articolo vengono sviluppate meglio nel mio nuovo libro Taking a chance on God: liberating theology for gays, lesbians, and their lovers, families and friends che verrà pubblicato nell’ottobre 1988 da Beacon Press, Boston, Massachusetts.
2. Clarke, Thomas E.: ‘A new way: reflecting on experience’ in James E. Hug (ed), Tracing the spirit: communities, social action and theological refection, (Paulist Press, 1983), pp 18-50.
3. Ibid., p 22, nota 1.
4. Nelson, James: Between two gardens: reflection on sexuality and religious experience (The Pilgrim Press, New York, 1983).
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Testo originale: The gay response to Aids: becoming a resurrection people