Diventare il popolo della resurrezione. L’AIDS e il giudizio di Dio
Riflessioni del teologo cattolico John J. McNeill pubblicate su The Way, rivista di spiritualità contemporanea dei gesuiti inglesi, ottobre 1988, pp.332–341, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Possiamo essere assolutamente certi di una cosa: l’AIDS non è la volontà di Dio per nessuno! Chi cerca di leggere nell’epidemia di AIDS il giudizio e la punizione di Dio per gli omosessuali rivela, prima di tutto, il suo pregiudizio omofobico e il suo appena velato odio per i gay; in secondo luogo, rivela la sua ignoranza del Dio rivelato da Gesù, che ha insistito sul fatto che Dio è un genitore amorevole e misericordioso che non punisce i suoi figli, soprattutto non per qualcosa che non hanno scelto.
In più occasioni Gesù ha ripudiato la nozione che Dio punisca fisicamente qui sulla terra per un presunto peccato: “Credete che quei Galilei” disse una volta riferendosi a degli uomini uccisi in un incidente nel tempio “fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico” (Luca 13:2-3). Oggigiorno ci sono degli evangelisti che vogliono riportare le lesbiche e i gay all’adorazione del dio pagano della paura e pretendono che sacrifichino la loro vita e la loro intimità sessuale per sfuggire alla paura della punizione di Dio.
In una occasione i discepoli interrogarono Gesù sul destino di un uomo nato cieco: “«Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio” (Giovanni 9:2-3). Le opere di Dio a cui si riferiva Gesù era la sua missione di “luce del mondo”. Gesù impastò la sua saliva con il fango e toccò gli occhi del cieco, che venne così curato.
Alla luce dell’insegnamento di Gesù l’unica vera domanda da fare è: quale opera di Dio si compie nella sofferenza e nella morte dei malati di AIDS? Non presumo certamente di avere una risposta definitiva! In effetti la risposta probabilmente è diversa da individuo a individuo. C’è l’”opera di Dio” che ha a che fare con il cammino personale di ogni individuo affetto da AIDS attraverso la vita e la morte fino all’incontro personale con il Dio d’amore e la loro possibilità finale.
Ma ci sono anche degli indizi che Dio ricava il bene dal male dell’AIDS in questo mondo e nella nostra storia. Tra di essi abbiamo già visto la rinnovata consapevolezza e accettazione della nostra mortalità e, di conseguenza, una più intensa consapevolezza della preziosità e della qualità della vita. Da un punto di vista medico possiamo sperare in una grande scoperta scientifica nel trattamento delle infezioni virali. In termini di liberazione gay e lesbica l’AIDS ha avuto il paradossale risultato di far uscire dal nascondiglio l’amore gay.
Mi ricordo che prima dell’AIDS avevo paura che la liberazione lesbica e gay non avrebbe mai prodotto un sostanziale cambiamento negli atteggiamenti sociali perché tantissime eccezionali persone omosessuali, per quello che ne sapevo, se ne stavano ben nascoste. Ma è capitato spesso che l’AIDS abbia strappato queste persone fuori dal loro nascondiglio. Penso alle centinaia di coppie gay il cui amore reciproco sarebbe rimasto nascosto, ma ora la loro dedizione e la loro devozione, che si è interrotta solo con la morte, è stata resa pubblica nei reparti ospedalieri e nelle cliniche di tutto il paese.
Oggi ho la speranza ben fondata che questa nuova consapevolezza pubblica delle persone omosessuali e delle loro relazioni amorose condurrà prima o poi alla piena accettazione delle coppie omosessuali, che verranno considerate identiche alle loro controparti eterosessuali nella società e nella Chiesa.
L’unica risposta chiara e certa che Gesù diede alle vittime della malattia della sua epoca, come i lebbrosi, non implicava certamente il giudizio e la condanna, bensì la compassione. Quando incontrava i lebbrosi li ascoltava, li toccava, li guariva. “Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». Subito la lebbra scomparve ed egli guarì” (Marco 1:40-44).
La persona affetta da AIDS ha bisogno sopra ogni altra cosa di qualcuno che sia disposto a toccarla; qualcuno che sappia ascoltare e che non scappi via quando questa sente il bisogno di sfogare la sua rabbia o di condividere la sua paura e la sua disperazione. Dovremmo ricordarci la domanda che Gesù fece ai suoi discepoli nel giardino di Getsemani: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?” (Marco 14:37).
L’AIDS è perciò diventato un segno dei tempi, un segno di contraddizione. Coloro che prima erano considerati emarginati, disprezzati e rifiutati, sono diventati il centro dell’eterno dramma dell’amore di Dio che cerca di raggiungere in modo speciale gli anawim. E siamo tutti provocati a mettere da parte i nostri pregiudizi ed ascoltare attentamente quell’autorivelazione di Dio che sono le persone affette da AIDS. “Oracolo del Signore Dio che raduna i dispersi di Israele: «Io ancora radunerò i suoi prigionieri, oltre quelli già radunati»” (Isaia 56:8).
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Testo originale: The gay response to Aids: becoming a resurrection people