Diventare il popolo della resurrezione. L’AIDS, il corpo e l’essere mortale
Riflessioni del teologo cattolico John J. McNeill pubblicate su The Way, rivista di spiritualità contemporanea dei gesuiti inglesi, ottobre 1988, pp.332–341, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Gli psicoterapeuti sono consapevoli che una delle radici più profonde dell’omofobia è l’inconscia paura della morte. La principale fuga istintiva dalla morte è la procreazione: si è immortali attraverso la propria progenie. Il risultato è che le lesbiche e i gay, dato che spesso non procreano, inconsciamente possono rappresentare la mortalità della comunità nel suo complesso.
Nell’Antico Testamento il patto originale di Dio con il suo popolo eletto è un patto procreativo. Il suo popolo doveva “crescere e moltiplicarsi” fino a che i discendenti fossero stati numerosi come la sabbia del mare (Genesi 1:28). E da quei discendenti sarebbe venuto il Messia. Perciò gli eunuchi e chiunque non fosse sposato con figli era escluso da questa comunità (Deuteronomio 23:1). La più grande benedizione che Dio potesse concedere era la fertilità e la più grande maledizione era la sterilità. Ma una volta arrivato il Messia, egli avrebbe stabilito un nuovo patto tra Dio e l’umanità, basato sulla speranza dell’immortalità attraverso la resurrezione. Questo nuovo patto instaurato dal Messia avrebbe rappresentato la restaurazione del patto dell’arcobaleno, un patto universale tra Dio e “ogni essere che vive in ogni carne” (Genesi 9:15).
Isaia predice che dopo la venuta del Messia gli eunuchi verranno accettati come membri a pieno titolo della nuova comunità: “io concederò [loro] nella mia casa e dentro le mie mura un posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato” (Isaia 56:4-6). In Matteo 19:12 Gesù chiarisce che il termine “eunuco” si applica a chiunque sia sessualmente diverso e che per qualsiasi ragione non procrea: “Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli”.
La profezia di Isaia divenne realtà quando in Atti 8:26 lo Spirito Santo spinse Filippo a battezzare l’eunuco che stava leggendo Isaia mentre stava viaggiando col suo carro, quell’Isaia che aveva profetizzato che tutte le persone sessualmente diverse avrebbero avuto un posto speciale nella casa del Signore. Io vedo nel movimento cristiano lesbico e gay di oggi l’adempimento letterale della profezia. La stessa Scrittura collega la condizione non procreativa di lesbiche e gay alla speranza della resurrezione.
Genesi ritrae Adamo ed Eva che, per paura della morte, divengono alienati dai loro corpi e vergognosi della sessualità. Le persone omosessuali sono sempre state fedeli a una mezza verità sul nostro corpo umano; hanno accettato la saggezza del vivere un’esistenza incarnata il più pienamente possibile. Si sono identificati con il corpo e l’hanno celebrato, specialmente nella sua dimensione sessuale. È sempre stato il ruolo profetico di lesbiche e gay quello di guidare la Chiesa e la cultura occidentale verso il riaccoglimento dell’incarnazione, ovvero il sentimento di identità con il corpo e i suoi cinque sensi. Dobbiamo impadronirci del nostro “la parola è diventata carne”. Dobbiamo abbandonare il nostro concetto dualista ed evasivo secondo il quale siamo anime immortali, immortali per loro natura e non attraverso la grazia e la potenza di Dio, incapsulate in un corpo mortale che utilizziamo ma con il quale non ci identifichiamo. Noi siamo il nostro corpo: dobbiamo imparare a viverci, a goderne e a celebrarlo, grati a Dio.
Oggi l’epidemia di AIDS ha collegato ancora una volta l’omosessualità con la mortalità e i gay sono incaricati di dare una speciale testimonianza al significato della morte e alla speranza della resurrezione. John Fortunato vede un beneficio per l’umanità che emerge dalla cicatrice dell’AIDS, cioè insegnarci una volta di più la verità della mortalità:
“Se questo incubo riporterà alla nostra coscienza la speranza della resurrezione, senza la quale la vita è poco più di una coraggiosa disperazione, allora nei gemiti della creazione, tra le lacrime e i sospiri, forse lo Spirito Santo farà sorgere un piccolo brandello di pace o persino un angolo di salvezza, che altrimenti non potremmo ottenere” (7).
Con tutte le vie di fuga dalla mortalità, dalla disincarnazione e dalla procreazione chiuse, alle lesbiche e i gay non rimane che una scelta: la disperazione o la fiducia nella potenza e nella promessa di Dio per diventare il popolo della resurrezione. Nel mezzo della crisi dell’AIDS, chi lo ha contratto è testimone della preziosità della vita e dell’autentico coraggio di fronte alla morte. Nella mia esperienza pastorale ho visto con i miei occhi la particolare pace spirituale, la gioia e la fiducia con le quali moltissimi malati hanno affrontato la minaccia mortale. È questa sicurezza spirituale che ha permesso a molti malati, mentre erano ancora in buona salute, di dedicarsi a celebrare la vita e di migliorarne la qualità per se stessi e per gli altri con opere compassionevoli.
L’AIDS è perciò stato il catalizzatore che ha accelerato il processo attraverso il quale i gay e le lesbiche stanno irrompendo nella storia con una nuova, positiva consapevolezza di se stessi. Stanno diventando consapevoli che il Dio che adorano è un Dio di amore, che non vuole che essi odino se stessi ma che celebrino la loro esistenza nel caldo abbraccio del suo amore.
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Testo originale: The gay response to Aids: becoming a resurrection people