Dolore e resurrezione nel giorno della memoria Transgender (Ez 37,1-14; Gv 11)
Riflessioni di Shannon Kearns*
Il Giorno della Memoria Transgender (TDoR) è un giorno dedicato a ricordare coloro che sono stati uccisi nell’ultimo anno a causa della loro identità di genere o alla loro espressione di genere. Ogni anno sembra che l’elenco dei nomi diventi più lungo. Ogni anno l’elenco è principalmente composto da donne transgender …
Oggi desidero offrire una riflessione in due parti.
Ogni volta che mi preparo per il Giorno della Memoria Transgender (TDoR) è difficile non sentirsi sopraffatti. Sopraffatti dall’elenco dei nomi. Sopraffatti dalla brutalità con cui ogni persona transgender è stata uccisa; come se non fossero nemmeno persone. Sopraffatti dal fatto che così tanti nel nostro elenco fossero così giovani.
Nel bel mezzo di questa sensazione di sopraffazione, è facile restare immobili. Sentire che non c’è nulla che possiamo fare. Che la vastità del problema è troppo grande. Perché, diciamolo chiaramente, il problema è enorme. Non si tratta solo di violenza contro persone transgender o non conformi al genere. Si tratta anche di misoginia, razzismo e povertà. È il modo in cui tutte queste cose si incrociano, rendendo la vita di una donna transgender di colore estremamente pericolosa. È fondamentale che, mentre commemoriamo queste vite oggi, non perdiamo di vista come tutte queste cose si intersecano.
Il testo biblico del libro di Ezechiele inizia proprio con Ezechiele che viene portato in un campo ricoperto di ossa. Queste sono le ossa delle persone morte in esilio, lontano dalle loro case. Queste sono le ossa delle persone uccise da nazioni più grandi e potenti di loro. Queste erano le ossa del suo popolo, eppure Ezechiele è stato risparmiato. Immagino che, mentre guardava quel campo di ossa, si sentisse sopraffatto. Si sentiva disperato. Si sentiva il cuore spezzato. Si sentiva sopraffatto. E sembrava, quasi, che Dio lo stesse sfidando: “Ezechiele, queste ossa possono vivere?“.
In quel momento, sono sicuro che Ezechiele avrebbe voluto dire alcune parole scelte. Forse avrebbe voluto gridare: “Non lo so, Dio, forse se fossi stato lì loro non sarebbero morti! Forse se avessi protetto il tuo popolo! Forse se il mondo non fosse così in rovina”. Invece, offre una sorta di risposta sarcastica, e in quella risposta riassume tutta la sua rabbia e la sua disperazione: “Non lo so, Dio, possono vivere? Dimmelo tu. Tu hai visto tutto questo succedere. Dimmelo tu.”
Nel Vangelo leggiamo di Maria e Marta e di loro fratello Lazzaro. Gesù viene a sapere che Lazzaro è malato e, invece di correre subito da lui, rimane ancora per un paio di giorni lontano, poi finalmente va a trovare la famiglia. Lazzaro muore mentre Gesù non si decide ad andare da lui. Quando incontra Marta, lei gli da una risposta simile a quella di Ezechiele: “Signore, se fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto.”. E ancora sembra esserci una sfida: Gesù le dice: “Tuo fratello risorgerà.” E Marta risponde, “Sì, lo so, risorgerà alla risurrezione.”
Ma questo non mi aiuta adesso, ora che sto soffrendo. E ora anche noi stiamo soffrendo. Siamo forse sopraffatti. Forse indignati. Forse arrabbiati per il silenzio di Dio o per la sua inattività. O forse siamo sopraffatti dalla nostra stessa ignoranza; di quanto non sappiamo sulla vita delle persone transgender, di quanto non sappiamo su come razzismo, misoginia e povertà si intersecano.
Forse siamo sopraffatti da come affrontare il nostro stessi privilegi nel mondo; sopraffatti dalla nostra complicità con i sistemi e le strutture di violenza e oppressione. Forse stiamo piangendo la perdita di persone che conosciamo.
Esiste una tendenza a superare velocemente i nostri sentimenti più complicati. A correre verso la redenzione, a trovare il conforto o la risurrezione. Ma ora, nei prossimi minuti, dobbiamo sentire su di noi tutte queste difficoltà. Dobbiamo sederci con la nostra complicità, ignoranza, dolore e sofferenza. Sino a esserne sopraffatti.
Amate/i che non ci siete più ora vi ricordiamo. Vi onoriamo.
Mentre stiamo con il nostro disagio, ricordiamo che apparteniamo a una tradizione che parla molto di morte. Per i seguaci di Gesù, crediamo che la morte non sia la fine. La storia in cui ci troviamo è quella di una persona innocente uccisa dai poteri forti. Uccisa perché era se stessa. Uccisa per aver lottato per la giustizia. E i poteri forti pensavano che fosse finita che la sua morte avrebbe fermato il movimento. Ma non è stato così. Con la sua risurrezione, ha detto al mondo che Dio aveva l’ultima parola. Dio ha potere anche sulla morte.
Ora, io sono cresciuto/a in una tradizione che correva verso la risurrezione senza prendersi il tempo di soffrire. E credevamo anche che, poiché le cose sarebbero state meglio in Cielo, dovevamo semplicemente aspettare qui sulla Terra. Ma voglio portarvi di nuovo ai testi biblici per un momento, perché ci indicano qualcosa di fondamentale.
Nel libro di Ezechiele il profeta risponde sarcasticamente a Dio, che gli dà un compito. Dio gli dice di profetizzare sulle ossa affinché vivano. E dopo che ha profetizzato e le ossa sono diventate dei corpi, non era respiro in loro, così a Ezechiele fu detto di chiamare i quattro venti, e così fece. E i corpi iniziarono a respirare finalmente resuscitati.
Anche nella storia di Gesù e Lazzaro, Gesù dice alla sua gente di rimuovere la pietra. Poi grida: “Lazzaro, vieni fuori!” E quando Lazzaro esce, Gesù chiede di liberarlo dai suoi sudari.
In ognuna di queste storie, Dio riporta la vita, ma non senza aiuto. Le situazioni che hanno portato alla risurrezione sono state provocate da persone disposte a fare il lavoro più duro. Ezechiele era disposto a profetizzare e a chiamare i venti. Le persone presenti erano disposte a rimuovere la pietra e a liberare dalle bende a Lazzaro. E nel mezzo dell’azione, tutti erano guidati da una profonda convinzione che la morte non ha l’ultima parola; che Dio è più potente anche della morte.
Ecco perché dobbiamo profetizzare affinché le persone trattate come spazzatura, i cui corpi vengono scartati, ricevano dignità e onore. Dobbiamo nominarle e ricordarne i nomi. E dobbiamo alzarci per dire che questa violenza deve fermarsi.
Dobbiamo rimuovere la pietra che impedisce alle persone di avere accesso a cure mediche adeguate, a lavori sicuri in cui possano lavorare con dignità, a luoghi sicuri dove vivere. Dobbiamo rimuovere le pietre del razzismo, della misoginia e della transfobia. Dobbiamo rimuovere la nostra stessa complicità nei sistemi che mantengono le persone oppresse.
E dobbiamo liberare le persone. Dobbiamo liberare le parole che dicono che le donne transgender sono inferiori, dobbiamo liberare i media che fanno delle vite transgender una barzelletta, dobbiamo liberare le storie che dicono che alcune persone sono più degne di amore, rispetto e vita rispetto alle altre.
Siamo sicuramente un popolo della risurrezione. Ma ciò non significa che dobbiamo solo aspettare. No, dobbiamo lavorare per essa. Dobbiamo lavorare per un mondo in cui le persone siano valorizzate. Dobbiamo lavorare per un mondo in cui non ci siano più sistemi che opprimano. Dobbiamo lavorare per un mondo che abbatta il privilegio dei bianchi e i sistemi che generano la misoginia affinché anche le donne di colore possano essere libere. Dobbiamo fare questo lavoro. La nostra fede ce lo chiede. La nostra umanità ce lo chiede.
Allora crediamo nella risurrezione della carne e lavoriamo per essa. Così sia.
*Shannon TL Kearns è teologo e co-fondatore di queertheology.com