Donne e persone LGBT+ pagano il prezzo più alto per mantenere l’unità nella Chiesa cattolica
Articolo di Mary McAuliffe* pubblicato sul sito America Magazine (USA) il 2 gennaio 2025, liberamente tradotto da Luigi e Valeria de La Tenda di Gionata
Come molti di coloro che sperano in un miglioramento tangibile della condizione delle donne e delle persone LGBTQ+ nella Chiesa cattolica, ho visto il Sinodo sulla Sinodalità come un misto di grandi aspettative, delusione e attenta ricerca della grazia di Dio all’opera nella storia.
Ho nutrito un cauto ottimismo sul fatto che la mia Chiesa potesse essere pronta a fare più spazio ai cattolici LGBTQ+, consentendo loro di essere autenticamente se stessi, e a onorare più pienamente la dignità battesimale delle donne ripristinando il diaconato femminile. Adesso ho capito chiaramente che intraprendere questo viaggio sinodale con la mia Chiesa in uno spirito di preghiera significherà spesso mettere da parte i miei desideri di cambiamenti immediati su larga scala.
Sto cercando di prendere sul serio le parole del cardinale designato Timothy Radcliffe, secondo cui questo sinodo, e la sinodalità stessa, non è un mezzo per realizzare degli interventi specifici, ma piuttosto «evoca modalità nuove di essere Chiesa, cioè di entrare in relazione gli uni con gli altri molto più profondamente in Cristo, e di entrare in relazione con Cristo molto più profondamente gli uni con gli altri».
La sinodalità dovrebbe mantenerci uniti fra noi e con Gesù; eppure mi rimane ancora il dubbio su quanto le persone della mia Chiesa vogliano davvero entrare in comunione più profonda con Cristo insieme a me e ai nostri fratelli e sorelle LGBTQ+.
Nel dicembre 2023, ho condiviso con gioia la notizia della pubblicazione della dichiarazione Fiducia Supplicans (che consente la benedizione pastorale delle persone in unione omoaffettiva) con i miei studenti di religione dell’ultimo anno del liceo, quando ho ricevuto una notifica nel bel mezzo della lezione.
Da allora, però, non ho più sentito tanti riferimenti alla comunità LGBTQ+ da parte del Sinodo stesso. Sono rimasta sconcertata dalla dichiarazione del cardinale Víctor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, secondo cui «la questione del diaconato femminile non è matura» e che i gruppi di studio sinodali non avrebbero preso in considerazione questa possibilità.
E sono indignata dalla descrizione offensiva fatta dal vescovo Anthony Randazzo dell’ordinazione femminile come una «ossessione» dei cattolici del Nord del mondo che distoglie l’attenzione dalla tragedia delle donne emarginate nel Sud del mondo. Ho vissuto in Oceania (la regione che ricade sotto la guida pastorale del vescovo Randazzo) e trovo spaventoso che egli non riesca a rendersi conto del fatto che l’emarginazione delle donne nella Chiesa rappresenti in qualche modo una legittimazione religiosa alla loro emarginazione nella società in generale.
Quando ho letto che né il diaconato femminile né le questioni relative alle persone LGBTQ+ erano all’ordine del giorno dell’incontro sinodale di ottobre, ho intuito che la paura di una frattura nella Chiesa universale è ancora un grosso ostacolo anche solo per discutere questi argomenti – e che, ancora una volta, alle donne e ai cattolici LGBTQ+ sarebbe stato chiesto il sacrificio di restare in silenzio e avere pazienza per il bene dell’unità.
Michael Sean Winters del National Catholic Reporter (agenzia giornalistica USA che si occupa di fede e religione, N.d.T.) lo ha suggerito in un episodio del podcast Jesuitical del sito America Magazine. Riferendosi alle questioni dell’ordinazione femminile e della comunità LGBTQ+, ha detto che «qualunque sia il vostro problema specifico», non vale la pena di rischiare l’unità della Chiesa.
Posso comprendere questo punto di vista, sia del signor Winters che dei partecipanti al sinodo, compreso lo stesso papa Francesco. Ho lavorato insieme ai gesuiti per due anni negli Stati Federati di Micronesia e l’ultima cosa che vorrei è che si creasse nella Chiesa una frattura completa basata su motivazioni culturali o tra il Nord e il Sud del mondo. Devo accettare che, per il momento, il fatto di non trattare questi argomenti può essere il prezzo da pagare per evitare uno scisma. Ma non posso ignorare il fatto che questo prezzo si ripercuota in maniera più pesante sulle donne e sulle persone LGBTQ+.
Dobbiamo chiederci se la Chiesa è disposta a riconoscere la profonda sofferenza che questa realtà provoca in molti membri del corpo di Cristo. A prescindere dalle altre porte che il sinodo aprirà, alle donne verrà comunque chiesto di far parte e di svolgere il loro ministero in una Chiesa che sostiene che Dio non ci considera adatte a rappresentare Cristo sull’altare. Ai cattolici LGBTQ+ verrà ancora chiesto di far parte e di svolgere il loro ministero in una Chiesa che definisce una parte della loro modalità di amare come «intrinsecamente disordinata».
Doversi chiedere continuamente: «Cosa pensa la mia Chiesa di me?» e «La Chiesa crede davvero che io sia fatta a immagine di Dio?» è una croce sostanzialmente unica per le donne e per i cattolici LGBTQ+.
La mancanza di iniziativa su queste tematiche da parte del Sinodo, seguita dalla rielezione di un Presidente degli Stati Uniti che proclama di voler ridurre le tutele legali delle persone LGBTQ+ e che insiste sul fatto che attuerà il suo programma di protezione delle donne «che alle donne piaccia o meno», ha lasciato molti cattolici americani sconvolti dal doppio pugno allo stomaco di dover affrontare nuovamente ciò che la nostra Chiesa e il nostro Paese pensano realmente di noi.
Se vogliamo essere una Chiesa sinodale, siamo tutti pronti a riconoscere e a fare onestamente i conti con il sacrificio che viene chiesto alle donne e ai cattolici LGBTQ+? La nostra Chiesa è in grado almeno di riconoscere il sacrificio che ci sta chiedendo? Le nostre parrocchie sono in grado di prendere sul serio il nostro dolore senza cercare di “rispiegarci” paternalisticamente qual è la dottrina ufficiale della Chiesa, o pensando di consolarci e porre fine alla nostra sofferenza elencando tutte le altre possibilità di servizio a disposizione di noi donne nella Chiesa?
Nella sua attività pastorale con le persone LGBTQ+ credenti, il delegato sinodale James Martin, S.J., dice spesso: «Dio vi ama già, la vostra Chiesa sta imparando ad amarvi». Prego anch’io che la sinodalità possa essere la via attraverso la quale la mia Chiesa impari ad amare pienamente sia me che i miei fratelli e sorelle LGBTQ+, e che Dio mi conceda una vita abbastanza lunga per vedere la realizzazione concreta di questo amore.
*Mary McAuliffe è insegnante di religione a Washington D.C. e studentessa presso la Clough School of Theology and Ministry del Boston College.
Testo originario: Women and LGBTQ Catholics are paying the price for church unity