Dove è l’arcobaleno? Le contraddizioni del Gay Pride di Johannesburg troppo bianco e per pochi
Articolo di Adrien Barbier pubblicato sul sito del quotidiano Le Monde (Francia) il 30 ottobre 2017, liberamente tradotto da Nadia Di Iorio
«Mi piace tanto l’atmosfera che si crea, tutta questa stravaganza. Da dove vengo io, questo non si vede tutti i giorni!».
Mole, 20 anni, gli occhi nascosti dagli occhiali da sole, fissa due ragazzi mulatti che indossano i tacchi, e i cui costumi sono ridotti a delle reti. Mole viene da una township di Pretoria e prende parte per la prima volta al «Joburg Pride», la marcia dell’orgoglio delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGTB) che si è tenuta sabato 28 ottobre [2017] nella capitale economica del Sudafrica.
È anche la prima volta che Mole mette piede a Melrose Arch, un quartiere chic e moderno a nord di Johannesburg. La scelta di questo luogo per accogliere la più longeva marcia LGTB del continente africano ha fatto sì che alcuni militanti, scandalizzati, giudicassero l’evento troppo depoliticizzato, troppo etilista e troppo distante dai problemi a cui vanno incontro le minoranze sessuali in Africa del Sud.
Protestare «fingendosi morti»
Con il suo grande palco e gli stand, la parte del viale delimitata dalle barriere di sicurezza ha tutta l’aria di essere un festival. La folla è esplicativa della diversità che contraddistingue il popolo arcobaleno.
Tuttavia, il posto «riservato ai VIP» per i paganti che vogliono vedere il palco da vicino, e senza essere spintonati, è formato esclusivamente da uomini bianchi.
La sfilata, in sé abbastanza simbolica, è durata soltanto pochi minuti, e nel mezzo si è distinta soprattutto una grande bandiera «Google». Una promozione commerciale giudicata eccessiva da molte figure di spicco del movimento LGTB, le quali hanno invitato a boicottare l’evento che si è tenuto la scorsa settimana: «Dei suprematisti bianchi,capitalisti l’hanno trasformato in un progetto commerciale di “pink washing”, affinché torni utile agli interessi di altri uomini bianchi e ricchi. Dicono di “servire” la causa LGTB, invece celebrano i propri progressi escludendo gli altri»; questa è stata la denuncia esposta due giorni prima della marcia dal militante Sekoatlane Phamodi all’edizione sudafricana dell’Huffington Post.
Queste critiche non sono nuove, e ricordano che il Joburg Pride originariamente era un atto politico. La prima edizione risale all’ottobre 1990, quando un migliaio di persone sfilarono nel centro della città, alcuni con un sacchetto di carta in testa per nascondere il proprio volto. All’epoca, i partecipanti denunciarono sia le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, sia quelle imposte dal regime dell’apartheid.
Tuttavia, da molti anni la marcia ha lasciato il centro della città, dove gli indici di criminalità sono i più elevati di tutto il Paese, e si è spostata nelle periferie bianche e agiate a nord di Johannesburg.
Nel 2012 una ventina di donne lesbiche bloccarono la manifestazione organizzando un «die in»: si distesero sulla strada per «fingersi morte»: «Protestavamo contro il fatto che la violenza contro le persone gay di colore non veniva più affrontata, e che veniva lasciata da parte la politica» spiega Phindi Malaza, la coordinatrice dell’organizzazione femminista Forum for the Empowerment of Women (FEW). La reazione fu di una violenza inaspettata: le militanti vennero respinte, ferite, minacciate, alcune perfino calpestate. Si urlò loro di «tornare nelle loro township», prima che la polizia le facesse sloggiare.
Dopo quest’incidente, Phindi Malaza non ha preso più parte alla marcia. Tutti gli anni la sua organizzazione è a capo del Soweto Pride, che quest’anno, alla fine di settembre, ha riunito qualche centinaio di persone nella township storica di Johannesburg.
«Stupri correttivi»
Marcia di Melrose Arch e marcia delle township: questi due eventi sono due realtà molto differenti tra loro, poiché da una parte il Sudafrica è uno dei Paesi più avanzati al mondo in termini di diritti LGBT: il matrimonio tra coppie dello stesso sesso è autorizzato dal 2005, e la protezione delle minoranze sessuali è sancita dalla Costituzione. Tuttavia, nelle township sono moltissimi gli «stupri correttivi» che vengono subiti dalle donne lesbiche, e i giovani gay sono perseguitati per strada o sui mezzi di trasporto, specialmente dai conducenti di minibus.
A Melrose Arch alcuni partecipanti si rammaricano che l’evento non sia seguito da tutti. Palesa, una ragazza di ventitré anni mascherata da «drag king» con delle ciglia finte e una barba con paillettes dorate, afferma:«Qui non si accede facilmente se si viene dalle township. Non ci sono a disposizione i bus, non ci sono viaggi organizzati».
Seduti sul marciapiede mano nella mano, Bobano e Mkhuli, due ragazzi di colore di venti e diciotto anni, si mantengono in disparte: «Non è male qui, c’è più sicurezza e ci sono più persone bianche, non si rischia di essere aggrediti appena si esce» spiega Mkhuli, «Però è un po’ noioso, non c’è molto movimento come per il Soweto Pride. Forse perché tutti i gay sono nelle township».
Dall’altra parte delle barriere poste all’entrata, l’organizzatrice del Joburg Pride, Kaye Ally, ascolta le critiche: «La verità è che esiste un grosso divario socioeconomico nel nostro Paese, e non è una questione che riguarda solo il movimento LGTB, è un problema che affligge l’intero Paese» afferma, e conclude: «La nostra comunità si trova costantemente a dover combattere, la nostra vita quotidiana è una lotta continua, contro l’omofobia, per l’uguaglianza, per la nostra salute. Dopo tutto la marcia, essendo per sua natura una festa, ci dà l’opportunità di svagarci, di divertirci, e infine di approfittare della nostra diversità».
Testo originale: Gay Pride à Johannesburg : une marche des fiertés « trop blanche et trop élitiste »