Dov’è tuo fratello? L’insofferenza e il disagio verso l’alterità
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Riflessione dell’incontro del Progetto Ruah, del 20 novembre a Treviso sul tema “Dov’è tuo fratello?”
Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: “Ho acquistato un uomo grazie al Signore”. Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo.
Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai”.
Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?”. Riprese: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra”. Disse Caino al Signore: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà”. Ma il Signore gli disse: “Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!”. Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden (Genesi 4,1-16)
La Bibbia ci dice che la seconda porta attraverso la quale entra nel mondo il peccato è il disagio insofferente di fronte al fratello e alla sua diversità tanto da percepirlo come ostacolo e giungere al fratricidio. Paradigma di questo peccato è l’episodio di Caino che uccide il fratello Abele.
Nella radice del nome Caino (l’ebraico Qajin) abbiamo presentata in modo chiaro la situazione. Tale nome:
– può significare “acquistato”; non è un caso che il brano inizia con una constatazione da parte di Eva: “Ho acquistato [qaniti, dal verbo qanah] un uomo grazie al Signore” (Gen 4,1). Nel concepire e partorire un figlio ella sperimenta che la benedizione di Dio non è venuta meno, che la maledizione (per la cultura del tempo la sterilità era considerata tale) non è scesa su di lei. Acquistato, pertanto, nel senso di ricevuto in dono;
– ma può significare anche “geloso” (se connettiamo il nome alla radice qana’, che significa gelosia).
Caino è il dono fedele di Dio, Caino è colui che è geloso. Nel nome abbiamo condensata la sua storia…
Rispetto a Caino, pure il nome Abele è interessante: in ebraico è Hebel, che significa “soffio”, “fiato”, “fumo”, “vanità”: il suo nome si ripete 7 volte in questi pochi versetti, per indicare che la sua pienezza (il numero 7 indica pienezza, perfezione, totalità) è tutta nella sua inconsistenza radicale. Così inizierà il libro del Qoelet: “Habel habalim, hakkol habel” (“Vanità delle vanità, tutto è vanità”, Qo 1,2); così dirà il Salmista: “L’uomo è come un soffio [hebel]” (Sl 144,4; 39,7). Abele non parla, non genera, non ha discendenza, mentre Caino avrà un nome e una discendenza, diventerà costruttore di città (“Ora Caino conobbe sua moglie, che concepì e partorì Enoc; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoc, dal nome del figlio”, Gen 4,17).
Il testo narrerà il peccato di Caino che giunge fino all’omicidio, ma con finezza lascia percepire una situazione segnata da un male, da una ferita fin dalla nascita e che si è riflessa nella storia successiva: per Caino c’è la reazione di un grido di gioia, di esultanza, perfino di orgoglio; per Abele no, c’è silenzio, la sua nascita appare meno che niente. Abele che, nascendo come secondo dopo un altro, instaura la fraternità e fa di Caino un fratello, nasce come uno che è di troppo, che è di più; egli spezza per Caino la possibilità di possedere tutto.
Caino sente il fratello come un’insidia, una minaccia, un ostacolo. La radice del fratricidio che Caino consumerà risiede in famiglia nel rapporto avuto con i genitori stessi, risale al contesto e all’ambiente che gli è stato preparato. Caino cresce, infatti, abituato ad essere il primo dei due, quello che è sempre salutato al suo apparire, non cresce nella relazione con Abele!
Tutta la Scrittura porta molta attenzione al rapporto primogenito-secondogenito, fratello maggiore-fratello minore. Ma cosa differenzia il primogenito da quelli che vengono dopo? Il primogenito:
- è colui cui spetta per diritto doppia parte dell’eredità (Dt 21,17);
- è colui che durante la vita ha precedenza sui fratelli (Gen 43,33);
- e deve diventare il capofamiglia.
La Scrittura, dunque, fa del rapporto fratello maggiore-fratello minore un luogo di rivelazione dell’agire di Dio, il quale preferisce il minore al maggiore: Dio, eleggendo il minore, attesta la gratuità della sua azione e la tenerezza del suo amore che si riversa in modo privilegiato sull’ultimo, sullo scartato, sul più indifeso. Dio ama il più piccolo, il più povero, il più disprezzato. Così avviene:
- che Isacco soppianta Ismaele (Gen 16; 21,1-7);
- che Giacobbe soppianta Esaù (Gen 25,19-34; 27,1-45);
- che a Peres è concessa la precedenza su Zerach (Gen 38,27-30);
- che Giuda, quartogenito di 12 figli di Giacobbe, ottiene un posto primaziale e da lui uscirà la dinastia davidica in Israele (Gen 35,23-26; 37,26-27; 44,18-34);
- che Davide, il più piccolo tra i suoi fratelli, è unto re su Israele a preferenza degli altri (1Sam 16,1-13);
- che Salomone, il più giovane tra i figli di Davide, sale lui al trono, lui che era il minore (2Sam 5,13-14).
Dopo la differenza collegata al contesto familiare, la Scrittura ci presenta una seconda diversità tra i due fratelli, quella socio-culturale: “Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo”; uno è pastore, l’altro contadino; uno seminomade, l’altro tendente alla sedentarizzazione. Due lavori diversi, due impostazioni mentali e di vita diverse che derivano dall’essere sedentario o nomade.
C’è inoltre una terza diversità tra i due fratelli: quella religiosa. L’uomo ha sempre offerto sacrifici alla divinità per porsi in comunione con essa. E sa che per il peccato dovrebbe morire, ma al posto della sua vita offre un’altra vita, animale o vegetale che sia. Entrambi offrono qualcosa: “Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso” (Gen 4,3-4a). Caino offre vegetali, prodotti del lavoro della terra; Abele primogeniti del suo gregge. La rottura tra i due fratelli si manifesta anche nel riconoscimento di Dio con due sacrifici diversi.
Quello di oggi è un episodio paradigmatico perché include varie tipologie di diversità che non sono accettate dall’uomo, così come ci testimoniano i seguenti episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento… fino ad arrivare ai giorni nostri. Possiamo parlare, infatti, della:
• diversità uomo-donna, ad esempio:
- sdegno dei discepoli a Betania al gesto della donna che versa il prezioso olio di alabastro sul capo di Gesù (Mt 26,6-13 e paralleli);
- i discepoli non credono alla testimonianza di risurrezione portata da Maria Maddalena in quanto donna (Mc 16,10-11);
- diversità di contegno della donna rispetto all’uomo (1Tm 2,8-15), ad esempio sul copricapo da portare (1Cor 11,3-16) e sul silenzio da rispettare nelle assemblee (1Cor 14,34-36);
• diversità donna-donna, ad esempio:
- dopo che Abramo si è unito alla schiava Agar su richiesta della stessa moglie Sara, sterile, sorge un rapporto di forte gelosia; Sara maltratterà Agar tanto da farla scappare (Gen 16,4-16);
- Rachele, vedendosi impossibilitata a dare figli a Giacobbe, diventa gelosa della sorella Lia, resa ben 4 volte feconda dal Signore perché molto trascurata dalla famiglia (Gen 30,1-24);
• diversità fratello-fratello, ad esempio:
- gelosia dei fratelli nei confronti di Giuseppe d’Egitto, amato in modo privilegiato dal padre (Gen 37-38).
La diversità fa problema! La diversità fa paura! Se da noi non è riconosciuta e accolta, diventa fonte di stizza, gelosia, invidia, rabbia, resistenza, irrigidimento, rifiuto, discriminazione, violenza, esercizio di potere sullaltro. E ci fa conseguentemente antievangelizzatori, portatori di cattiva notizia.
Enzo Bianchi afferma:
“È una consapevolezza, quella dell’intima connessione tra ciascuno di noi e gli altri, che va ridestata con lucidità in questa nostra epoca in cui si può ipotizzare la ‘morte del prossimo’, la scomparsa di colui che, letteralmente, è ‘più vicino’. Se infatti veniamo quotidianamente sollecitati a una generica solidarietà con chi è lontano, siamo nel contempo spinti a non vedere chi ci è accanto e attende, prima ancora che un gesto di comunione, il semplice riconoscimento della propria esistenza. Comunichiamo a distanza, interagiamo in ‘tempo reale’, ci sentiamo connessi a una rete globale, ma distogliamo lo sguardo e il cuore da ‘l’altro accanto a noi’, nella paura che il diverso cessi di restarci estraneo e inizi a inquietare la falsa sicurezza che regna tra i ‘simili’”.
(Enzo Bianchi in “L’altro siamo noi”, Einaudi Ed., Torino 2010, pagg. 4-5)
Affermava proprio ieri mattina Papa Francesco:
“La nostra è un’epoca caratterizzata da forti problematiche e interrogativi su scala mondiale. Ci capita di attraversare un tempo in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti. Vediamo, ad esempio, come rapidamente chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico. Nemico perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze. Nemico per il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale, nemico perché pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede. Nemico per… E, senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia. Poco a poco le differenze si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza. Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza, che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza! Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni. Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore”.
(Francesco, dall’omelia nella Messa per il Concistoro per la creazione di nuovi cardinali, Basilica Vaticana 19 novembre 2016)
Oggi il Signore ci chiama a vincere le resistenze e ad accogliere il diverso. Ci chiede di aprirci!
Il necessario confronto con ogni possibile “diverso”, il dialogo aperto e cordiale con coloro che sono o sembrano lontani, possono sì creare problemi, ma potrebbero aiutarci a scoprire volti inediti di Dio. Lo Spirito del Signore ci doni la gioia di scoprirli!
…“gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta” (Gen 4,4b-5a). La traduzione letterale dall’ebraico suonerebbe “guardò”-“non guardò”, espressione semitica che indica una preferenza, per questo la nostra traduzione italiana riporta il verbo “gradire”. Il secondogenito è dunque preferito al primogenito.
Dio guarda con benevolenza chi è disprezzato dagli uomini fin dalla nascita, chi è chiamato Hebel, “soffio”, “fiato”, “fumo”, “vanità”, “poca cosa”; chi non ha ricevuto la terra e deve essere nomade esercitando la pastorizia, chi è il più povero. La Madre di Gesù è consapevole di questa scelta di Dio tanto che, cantando il “Magnificat”, affermerà che il Signore “ha guardato l’umiltà della sua serva… ha innalzato gli umili… ha ricolmato di beni gli affamati…” (Lc 1,48a.52b.53a).
“Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto” (Gen 4,5b).
Il testo ebraico dice letteralmente “questo bruciò molto Caino”: è come il primogenito della parabola del figliol prodigo (cf. Lc 15), geloso dell’accoglienza festosa riservata dal padre al figlio minore non appena ritornato a casa dopo aver dilapidato l’eredità concessagli. Caino bruciò… si accese di gelosia.
L’intervento di Dio su Caino, prima che passi al peccato, è consolante perché una parola contro lo scoraggiamento e la tentazione fratricida:
«Il Signore disse allora a Caino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai”» (Gen 4,6-7).
Questo intervento è incoraggiante perché afferma come Caino sia nella capacità di combattere contro la tentazione, di dominare l’istinto: è la grazia che ci è sempre assicurata per non cadere nel peccato. San Paolo afferma nella sua prima Lettera ai Corinzi: “Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere” (1Cor 10,13).
Dio invita, dunque, Caino a scegliere il bene e ad assumere il peccato che ha commesso, avvisandolo che il peccato lo desidera, lo brama, lo reclama per sé. Nel movimento che porta al peccato prima di tutto noi ci uniamo, entriamo in dialogo e in unione con il sentimento cattivo.
Se non lottiamo, vi acconsentiamo personalmente. Si tratta invece di lottare, dominando l’istinto che ci conduce al peccato: così, dice la Scrittura con fermezza, “tu lo dominerai” (Gen 4,7). Il libro del Siracide lo conferma: “Come davanti a un serpente, fuggi il peccato: se ti avvicini, ti morderà” (Sir 21,2).
Nel nostro brano cosa succede, dunque?
- Il Signore avvisa Caino che non è in balia dei propri istinti e che li può vincere, dominare… sarà lo stesso atteggiamento che Gesù avrà con Giuda quando gli metterà davanti ai propri occhi quello che sta facendo;
- questo istinto è lasciato da Caino libero di dominare in lui a tal punto che non lotterà, lo lascerà crescere in sé finché davanti a sé egli non avrà più un fratello, ma solo un oggetto su cui scaricare la voracità e l’odio. Caino non vedrà più in Abele il fratello, ma solo l’ostacolo, colui che gli impedisce di essere il primo.
L’atteggiamento di Caino al richiamo di Dio, un richiamo che era una buona notizia, è stato un restare muto! Non è stato capace di parlare con Dio. Forse, se avesse avviato un dialogo, ne sarebbe anche uscito. Invece no, si è rinchiuso in se stesso. E quando l’uomo non è più capace di parlare con Dio, non è nemmeno più capace di parlare a suo fratello. Ed è quello che accade:
“Caino parlò al fratello Abele” (Gen 4,8a); tradotto letteralmente dall’ebraico sarebbe: “Caino disse al fratello Abele”… Peccato che non c’è nessun seguito, nessuna parola, nessun dialogo… è davvero imbarazzante… Perché questa stranezza?
Il vuoto è molto parlante… Caino parla, emette suoni, ma non è un dialogo, perché si può parlare senza lasciare posto a una risposta, a un confronto, appunto a un dialogo. Caino non ha parlato, in realtà ha solo fatto rumore, ad Abele non ha comunicato nulla. Questa è un’altra esperienza di peccato che facciamo tutti noi nello spazio della relazionalità umana. E sono esemplari certi pubblici dibattiti di politici o artisti, o addirittura certe trasmissioni tv e talk show basati proprio su questo meccanismo (ne ho avuto conferma anche qualche giorno fa che ho dovuto seguire quell’inascoltabile trasmissione che è “Quinta colonna”)… Anche noi, quando usiamo toni che non ammettono repliche, quando siamo categorici, quando parliamo senza attendere le parole dell’altro o senza aver presente chi è l’altro che ci sta davanti, allora, di fatto, siamo come Caino: parliamo senza dir niente e ci prepariamo soltanto all’odio e all’omicidio.
Il testo ci dice che Caino ha fatto soltanto un monologo e le parole, che non gli sono servite per entrare in comunicazione, diventano armi che uccidono: l’omicidio ha qui la sua origine.
Se io parlo con un altro senza tener conto di lui, se non mi adatto a lui e non cerco di capire là dove può nascere il confronto fra me e lui, io in realtà esercito violenza. Se realizzo o dico ciò che io voglio senza tener conto della dualità io-altro, senza tener presente che l’altro che mi sta davanti è un chi, non un ciò, allora l’altro diventa per me un oggetto e io gli uso violenza e di fatto lo uccido. Qui sta la difficoltà del dialogo, del faccia a faccia, dell’accoglienza dell’altro.
La parola è il primo luogo di pace o di violenza, di accoglienza o di rifiuto, di amore o di odio. Già parlando noi dobbiamo ascoltare e accogliere l’altro, altrimenti siamo violenti. Il primo peccato è la perversione della parola: il discorso di Caino è stato un monologo.
Il peccato di Caino si va quindi a “consumare”, in seguito interviene Dio stesso interrogando Caino: così come aveva interrogato Adamo ed Eva con “Dove sei?” (Gen 3,9), ora chiede:
“Dov’è Abele, tuo fratello?” (Gen 4,9a). Anche qui è un aiuto per rendere consapevole Caino di quello che ha commesso. La domanda di Dio “Dov’è tuo fratello?” esige una risposta concreta, implica un guardare alle proprie relazioni collocandosi di fronte a Dio, alla realtà e al mondo.
Caino risponde “Non lo so, sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen 4,9b).
La parola custode ha una bellissima etimologia che deriva da una radice (‘kuh’) che ha come significato quello di coprire, difendere. Il custode è chi provvede a difendere, a conservare, a mantenere integro un bene ideale.
Custodire il fratello, esserne responsabili significa “vedere” l’altro, accoglierlo nella sua diversità e avere a cuore che possa realizzarsi senza dover rinunciare a ciò che è, che possa realizzare pienamente la sua identità di persona. La responsabilità – come risposta d’amore all’altro – crea lo spazio per incontrare Dio. Il dono della fede ha bisogno, quindi, dello sguardo dell’altro.
“Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20).
Caino ha allontanato da sé il fratello Abele e ha usato violenza pur di avere maggior spazio nel proprio vivere ed essere l’unico uomo destinatario della benedizione di Dio. “Non lo so” è una risposta che indica come possiamo cancellare dai nostri occhi il volto e le necessità del fratello. È una questione di (in)visibilità, quindi, ma non solo.
Inoltre, come hanno agito Adamo ed Eva, rifiutando l’assunzione della responsabilità e scaricando le colpe su qualcun altro, così agisce Caino, rifiutando l’assunzione della responsabilità per rigettare la colpa su Dio stesso, per accusare Dio. Infatti, nel dire “Sono forse io il custode di mio fratello?” Caino in realtà vuol dire “Se non sono io il custode, di certo lo sei Tu, Dio!”. Del resto il titolo di “custode” è spesso attribuito a Dio, che si prende cura e protegge il suo popolo come il pastore nei confronti del suo gregge (cf. Sl 121,4-8; 127,1b).
Allora c’è una certa sintonia tra il custodire da parte di Dio e il custodire da parte dell’uomo: l’irripetibilità del proprio io l’uomo la realizza assumendo la responsabilità del fratello, la realizza dicendo: “Io sono il custode di mio fratello”, e allora Dio è custode.
Quale è, allora, l’operazione compiuta da Caino? Scinde la propria responsabilità dal fratello e così si separa inevitabilmente da Dio. Questo è un passaggio importante del racconto.
Un grande filosofo del secolo scorso austriaco naturalizzato ebreo, Martin Buber, riflettendo proprio su questo passo, sottolinea che ognuno di noi è veramente se stesso quando sa dire io-tu, quando si coglie nella relazione di dualità io-tu, che significa accettare di essere custode dell’altro e di essere custodito dall’altro.
Afferma Papa Francesco:
«Proprio in questo caos è quando Dio chiede alla coscienza dell’uomo: “Dov’è Abele tuo fratello?”. E Caino risponde: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen 4,9). Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Non si tratta di qualcosa di congiunturale, ma questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!».
(Francesco, dal discorso alla Veglia di preghiera per la Pace, San Pietro – 7 settembre 2013)
Da questa parola l’invito a considerare l’impegno del “prenderci cura”, del farci “custodi” del fratello o della sorella che fa parte del nostro vissuto. Solo così il giardino tornerà a fiorire.