Il drammatico triangolo tra religione e violenza: la vittima
Testo del professore di teologia R. Ruard Ganzevoort* tratto da The Drama Triangle of Religion and Violence pubblicato nel saggio Religion and Violence: Christian and Muslim Theological and Pedagogical Reflections, a cura di Ednan Aslan e Marcia Hermansen Springer, editore Springer Fachmedien Wiesbaden (Germania), giugno 2017, pp. 23-25, quarto paragrafo, libera traduzione di Giacomo Tessaro
Sul tema della posizione della vittima, i contributi più importanti provengono dalla teoria del trauma e dalle ricerche sul coping religioso [vale a dire, come superare il trauma facendo ricorso a una fede religiosa, n.d.t.]. La teoria del trauma è emersa nel XX secolo partendo dalle ricerche sulle vittime di guerra e di violenze sessuali e domestiche. Solitamente la teoria del trauma sottolinea l’importanza di un fattore di stress esterno che è la causa di esperienze al di fuori dell’ordinario, le quali comprendono “paura intensa, sensazione di essere abbandonati e terrore”.
Le vittime di violenza, oppressione o discriminazione possono certamente sviluppare problemi seri, ma questo dipende da molti fattori, non solo dalla gravità della violenza: esistono molte variabili, come il sostegno sociale, a chi le vittime attribuiscono ciò che è successo e la loro capacità di ricostruirsi, variabili che mediano gli effetti dell’esperienza di violenza sui sintomi del trauma. Anche le influenze culturali e religiose possono ispirare resilienza nei confronti degli effetti del trauma, quando addirittura non ne esaltano gli aspetti positivi attraverso quella che è chiamata “la crescita post-traumatica”.
Sono campi di ricerca emergenti, nei quali la spiritualità e la religione hanno un posto di tutto rispetto: spesso si insiste sull’importanza dell’integrazione del lato spirituale nella cura delle vittime. Alcuni ricercatori affermano che i sensi di colpa e una fede religiosa poco sentita prolungano i tempi di trattamento nei centri di salute mentale dei soggetti e ne concludono che la ricerca di senso e la spiritualità meritano più attenzione nella cura della sindrome da stress post-traumatico; altri sostengono che, per i sopravvissuti a traumi violenti, le credenze spirituali in generale sono associate alla salute fisica e mentale, ai disturbi legati al trauma, alla gravità dei sintomi post-traumatici e alla crescita; secondo altri, al contrario, la religione non ha praticamente nessun effetto, per questo abbiamo bisogno di ulteriori ricerche per capire le condizioni necessarie perché la religione abbia un effetto salutare.
Anche gli effetti del trauma sulla religiosità sono ambigui. Alcuni studi parlano di un effetto negativo sulle credenze religiose e le rappresentazioni di Dio, ma solo nei casi di traumi molto gravi o di una sindrome da stress post-traumatica complessa; altri studi, invece, parlano di esperienze di vittime che sfociano in esperienze religiose trascendenti e in un rafforzamento delle credenze religiose.
Potremmo ipotizzare che gli eventi traumatici riducano il benessere, il che rafforzerebbe la spiritualità come processo di adattamento per ritornare a uno stato di benessere; gli studi disponibili, tuttavia, differiscono moltissimo per tipo di violenza, gravità dei traumi, tipo di religiosità e capacità di elaborare una sintesi fruttuosa. Stiamo appena cominciando a comprendere i vari effetti che lo condizione di vittima può avere sulla religiosità, a seconda delle persone e delle situazioni.
Le ricerche future dovranno attingere agli studi sul coping religioso, sul perdono e la crescita post-traumatica per sviluppare nuovi punti di vista.
Per quanto riguarda la nostra discussione, tuttavia, dobbiamo andare oltre il livello della psicologia individuale e chiederci quale ruolo giochi la religione nella costruzione del triangolo drammatico e nell’autoposizionarsi nel ruolo della vittima. Sia i migranti musulmani (inclusi i rifugiati e, per esempio, i cittadini olandesi di seconda generazione) che gli islamofobi di destra affermano che la religione è parte della loro politica identitaria: secondo questi ultimi, l’influsso dei musulmani e della minaccia terroristica prende di mira “il retaggio e l’identità giudaico-cristiani” dell’Europa.
Le vittime identificate da questa narrazione sono i normali cittadini europei, ma vengono menzionati regolarmente anche gli ebrei e le persone omosessuali, in quanto gruppi vulnerabili. È interessante il rapporto, estremamente ambiguo, di questi movimenti di destra con la religione, l’omosessualità e le minoranze ebraiche. Ci sono buone ragioni per dubitare delle loro motivazioni e chiedersi se i loro riferimenti alla religione siano più che pura retorica.
Allo stesso modo, anche le minoranze islamiche giocano la carta della religione nel rivendicare la loro identità di minoranza: è risaputo che l’identificazione con l’Islam può essere più forte in un contesto di minoranza che nei Paesi d’origine, soprattutto tra i giovani ribelli che rifiutano i valori della loro cultura e della loro religione e assumono comportamenti antisociali, pur utilizzando a volte argomentazioni religiose per opporsi ai valori e ai costumi occidentali, definiti “haram” (proibiti).
La reazione talvolta aggressiva al dibattito liberale occidentale e alle vignette e testi che criticano l’Islam è riconoscibile per la sua combinazione di intolleranza religiosa e di rivendicazioni minoritarie, secondo la quale questo utilizzo della libertà di espressione prende di mira le minoranze religiose, che diventano così vittime. Anche queste ultime, proprio come gli aggressori, possono usare la religione per legittimare il loro ruolo.
* Ruard Ganzevoort é professore di Teologia pratica presso la Vrije Universiteit di Amsterdam (Olanda). Le sue principali aree di interesse sono la teologia e la psicologia pastorale, la psicologia della religione, gli approcci narrativi, i traumi e la cultura popolare. Ha pubblicato pubblicato 16 libri e più di 130 pubblicazioni scientifiche o professionali, è stato presidente dell’Accademia Internazionale di Teologia Pratica, dal 2007 al 2009, attualmente è presidente della Società internazionale per la ricerca empirica in teologia.
Testo originale: The Drama Triangle of Religion and Violence