Il drammatico triangolo tra religione e violenza. L’Islam, il terrorismo e i richiedenti asilo
Testo del professore di teologia R. Ruard Ganzevoort* tratto da The Drama Triangle of Religion and Violence pubblicato nel saggio Religion and Violence: Christian and Muslim Theological and Pedagogical Reflections, a cura di Ednan Aslan e Marcia Hermansen Springer, editore Springer Fachmedien Wiesbaden (Germania), giugno 2017, pp.20-22, secondo paragrafo, libera traduzione di Giacomo Tessaro
Nell’Europa contemporanea si parla di Islam soprattutto in merito a due argomenti, separati ma collegati: il terrorismo jihadista e i rifugiati siriani che chiedono asilo in Europa. Sono separati in quanto nulla indica una significativa presenza di potenziali terroristi tra i rifugiati; sono collegati in quanto i populisti di destra (ma non solo) proclamano che costoro non sono veri rifugiati che fuggono da circostanze drammatiche, bensì migranti in cerca di opportunità economiche o terroristi infiltrati.
Il populismo di destra (ne sono un esempio il gruppo tedesco Pegida e il politico olandese Geert Wilders) non fa che collegare l’Islam con la violenza, la crudeltà e la disonestà; punta il dito sulle foto dei rifugiati dotati di smartphone, insinuando che costoro sono ricchi e non “veri rifugiati”; utilizza i social media per evidenziare le risse tra i richiedenti asilo nei campi di accoglienza, suggerendo così che non sono e non saranno mai cittadini rispettosi della legge; parla di richiedenti asilo (vale a dire dei giovani maschi) come di “bombe al testosterone”, paventando aggressioni sessuali contro le quali dobbiamo proteggere le donne e i bambini; posta e riposta ogni minimo messaggio su atti violenti compiuti da musulmani in ogni parte del mondo e ignora, nega o reinterpreta gli atti violenti compiuti contro i musulmani stessi. Facendo tutto questo, crea una polarizzazione in cui l’Islam è inequivocabilmente associato con la violenza.
Nel linguaggio del triangolo drammatico, il paradigma dei populisti di destra assegna ai musulmani il ruolo di persecutore. Pur essendo rifugiati provenienti da Paesi dilaniati da guerre, la loro religione ha la precedenza in questo paradigma. I rifugiati cristiani provenienti dagli stessi Paesi vengono, al contrario, percepiti come vittime, per esempio interpretando le lotte tra i vari gruppi all’interno dei campi di accoglienza come un’oppressione religiosa esercitata dai musulmani. Inchiodati al ruolo di persecutori, i rifugiati musulmani vengono perciò percepiti come una minaccia per la società: la nostra libertà di parola, il nostro sistema sanitario e di abitazione popolare, la nostra economia, la nostra sicurezza, la nostra pace e la nostra società armoniosa sono minati alla base dallo “tsunami” dei rifugiati musulmani; inoltre, i populisti si rifiutano di considerare l’Islam una religione e lo definiscono “una ideologia politica”.
Tale paradigma fa leva sulla paura diffusa tra la popolazione ed effettivamente pone “il bravo lavoratore e cittadino europeo o olandese” nel ruolo della vittima. Diffonde la paura di perdere il lavoro, di non ottenere la casa e di pagare il prezzo del flusso di rifugiati. Come sappiamo bene guardando ad altri periodi di declino economico, la paura xenofoba aumenta sempre più e prendere di mira i migranti in quanto fonte di tutti i problemi della società (attraverso “l’islamizzazione”) diventa sempre più socialmente accettabile.
Ma nel dibattito politico il triangolo drammatico non vede come protagonisti solo i rifugiati e i cittadini tradizionali: i populisti di destra, infatti, si definiscono come gli spettatori-salvatori. Usano espressioni come “cominciare a resistere” e pretendono di essere l’unico gruppo con una visione adeguata della situazione, che è in grado di offrire una soluzione per fermare la minaccia; nel frattempo descrivono i politici tradizionali, inclusi i partiti di governo, come cospiratori e complici, oppure come inetti e perciò spettatori negligenti. Alcuni di essi arrivano a dire che il parlamento e il governo non rappresentano più l’autentica volontà del popolo e che ci vuole un’azione diretta, anzi arrivano fin quasi ad auspicare azioni violente da parte dei loro seguaci.
Per tutta risposta, gli attivisti e i politici di sinistra, le organizzazioni di aiuto ai rifugiati e le Chiese applicano il triangolo drammatico in maniera alquanto diversa: vedono i loro oppositori di destra come i veri persecutori, i quali minacciano e talvolta commettono violenze contro i rifugiati musulmani; fanno notare le frasi discriminatorie scritte sulle moschee, sui centri di accoglienza e sui muri delle città e gli incidenti concreti; descrivono il linguaggio politico della destra come un linguaggio impregnato d’odio, usato dagli aggressori dei musulmani innocenti; questi ultimi vengono da loro descritti come più volte vittime, in primo luogo a causa di regimi oppressivi e nemici crudeli, poi a causa dei trafficanti e delle dure leggi sull’immigrazione, infine dei movimenti anti-immigrazione. Ovviamente anche gli attivisti di sinistra si calano nel ruolo degli spettatori-salvatori che stanno dalla parte delle vittime; anch’essi criticano il governo e i politici di maggioranza per la loro negligenza e il loro silenzio sulla crisi dei rifugiati, per poi magari osannare la cancelliera tedesca Angela Merkel per la sua (presunta) leadership morale.
È interessante come la coalizione che difende i rifugiati non badi alla dimensione religiosa, bensì a quella politica. Alcuni sottolineano la libertà di religione, ma ciò che è centrale è il sostegno umanitario. Gli attivisti di sinistra sono tradizionalmente critici verso le religioni organizzate e in teoria dovrebbero essere ugualmente critici delle idee talvolta rigide, delle reazioni intolleranti verso le società liberali occidentali e dei punti di vista sulla posizione delle donne e delle minoranze sessuali tipiche dei migranti musulmani; nel dibattito attuale, tuttavia, gli attivisti di sinistra non affrontano tali questioni critiche, concentrandosi unicamente sul bisogno di sicurezza e di accoglienza dei rifugiati.
* Ruard Ganzevoort é professore di Teologia pratica presso la Vrije Universiteit di Amsterdam (Olanda). Le sue principali aree di interesse sono la teologia e la psicologia pastorale, la psicologia della religione, gli approcci narrativi, i traumi e la cultura popolare. Ha pubblicato pubblicato 16 libri e più di 130 pubblicazioni scientifiche o professionali, è stato presidente dell’Accademia Internazionale di Teologia Pratica, dal 2007 al 2009, attualmente è presidente della Società internazionale per la ricerca empirica in teologia.
Testo originale: The Drama Triangle of Religion and Violence